di Emilio Carnevali
Confesso di esserci rimasto piuttosto male quando, fortunatamente già grandicello, ho appreso che una delle mie preferite favole dell’infanzia – Il mago di Oz – era in realtà una metafora di politica monetaria scritta in occasione della colossale deflazione del 1880-1896 negli Stati Uniti. L’autore del libro, il giornalista democratico L. Frank Baum, intendeva così sostenere l’introduzione di un sistema bimetallico (le babbucce di Dorothy erano infatti, nella versione originale, d’argento) che avrebbe aumentato l’offerta di moneta, fermando la deflazione e salvando così gli agricoltori del sud (lo spaventapasseri) e i lavoratori industriali (l’uomo di latta) strozzati dai pesanti debiti contratti. Nella realtà l’allora candidato democratico Bryan, sostenitore del Free Silver, fu sconfitto dal candidato repubblicano McKinley, rappresentante dei banchieri e dell’establishment conservatore delle grandi città orientali. McKinley mantenne il sistema aureo, ma grazie alla scoperta di nuovi giacimenti d’oro in Alaska, Australia e Sud Africa l’offerta di moneta aumentò lo stesso e con essa i prezzi e le precarie condizioni degli “spaventapasseri”.
Un trauma da infanzia negata a posteriori – quello di scoprire che la magica strada dorata che tanto aveva acceso la mia prolifica fantasia di bambino era in realtà “la corona di spine sulla testa dei lavoratori” (il gold standard) – dal quale solo ora riesco a riprendermi grazie all’immaginifico ministro dell’economia che la provvidenza ci ha portato in dote.
Già autore della celebre Robin Hood Tax, già gran maestro della finanza creativa, Giulio Tremonti ci dimostra infatti che dopo una lettura macroeconomica delle fiabe è possibile anche addentrarsi in una lettura fiabesca della macroeconomia.
Il governo Berlusconi non ha fatto praticamente nulla per contrastare la crisi economica in atto e le conseguenze di essa su cittadini e lavoratori, ma la filastrocca con la quale sono stati caricati a molla i suoi ministri e portavoce é che la l’Italia “sta reagendo meglio di ogni altro Paese europeo”. Questa affermazione è, semplicemente, una fiaba. I recenti dati Istat indicano che dall’inizio della crisi (che possiamo datare simbolicamente con il fallimento della Lehman Brothers), il Pil italiano ha registrato una flessione del 4,4 % in sei mesi (quarto trimestre del 2008 e primo del 2009 rispetto al terzo trimestre del 2008). Solo la Germania fra i grandi Paesi Europei ha fatto peggio, con un –5,8%, ma questo è comprensibile vista l’importanza dell’export per l’economia tedesca. Stanno invece meglio dell’Italia il Regno Unito (-3,5%), la Spagna (-2,8%) e la Francia (-2,4%).
Con tutto ciò Tremonti si è vantato ieri di fronte alla platea della Confcooperative che “la velocità di crescita del debito e del deficit è inferiore alla media europea e i dati italiani, corretti per il ciclo, dimostrano che è l'unico Paese che sta sotto il 3%” del rapporto deficit/pil. In sostanza si è vantato di non aver fatto nulla, al contrario dei governi degli altri Paesi europei, e ha poi rivendicato il risultato di conti pubblici in ordine se facessimo finta che non ci sia la crisi. Poteva aggiungere anche che se ipotizzassimo la scoperta di grandi giacimenti di diamanti sul Gran Sasso potremmo considerare l’Italia il maggior esportatore europeo di diamanti e che – si diceva al mio paese, sempre ai tempi della mia infanzia – se ipotizzassimo mio nonno dotato di ruote potremmo anche considerarlo una carriola.
Ma il passaggio dal filone fantasy all’epopea mistico-millenaristica è stato opera di un altro ministro, il prode Maurizio Sacconi (altro ex socialista), autore di una delle dichiarazioni più incredibili registrate negli ultimi mesi dalle agenzie di stampa: con il protrarsi della crisi – ha detto il responsabile del Welfare sempre all’assemblea di Confcooperative – “avremo bisogno dell'illuminazione della nuova enciclica sociale del Papa. Le nostre comunità, di fronte alla crisi saranno spaventate dalle incognite. Nell'attraversamento del guado, quando la notte è buia, non possiamo non rivolgerci a questi valori”.
E siamo così ritornati all’immaginario della mia infanzia, a quegli stupendi b-movie demenziali americani tipo “L’aereo più pazzo del mondo” (Jim Abrahams, David Zucker, Jerry Zucker, Usa 1980). A un certo punto del volo gli altoparlanti annunciavano ai passeggeri: “Niente panico, la situazione è assolutamente sottocontrollo… a proposito, c’è qualcuno che sa pilotare un aereo?”.
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