martedì 26 maggio 2009

Milano è la capitale della ‘ndrangheta”

A differenza di altre organizzazioni mafiose (Cosa Nostra,
ad esempio, è sicuramente Palermo-centrica), la ‘ndrangheta è policentrica,
nel senso che non ha una sola capitale, ma una serie di capitali, in Italia e
all’estero, collocate laddove la sua presenza assume aspetti più estesi per numero
di affiliati, per numero di cosche operanti, per rilevanza degli interessi economici
in esse presenti. E’ il caso di Milano, capitale della Lombardia, regione
che, tradizionalmente, ha visto la presenza della ‘ndrangheta in misura ampia e
pervasiva, seconda solo al territorio calabrese. E non è una presenza che risale
a questi anni. Si dimentica che negli anni ’70 e ’80, la Lombardia è stata al centro
dei sequestri di persona, cioè dell’attività criminale più odiosa e feroce messa
in atto della ‘ndrangheta, al fine di realizzare quella accumulazione di capitale
che le avrebbe consentito di entrare, negli anni ’90, da protagonista nel mercato
internazionale della droga. L’elevatissimo numero dei sequestri consumati
dalla ‘ndrangheta in Lombardia è la dimostrazione di come la sua operatività su
quel territorio fosse elevatissima sin da allora, non potendosi compiere altrimenti
quel genere di reati senza una conoscenza approfondita del territorio, delle risorse
in esso presenti, delle occasioni di profitto offerte. L’affermazione dunque
che Milano sia la capitale della ‘ndrangheta, quanto meno sotto il profilo economico finanziario, non deve destare stupore, né dare scandalo, quasi che si
fosse con tale definizione, imbrattato un territorio immune da questo tipo di contaminazioni.
Non è così, come sa bene la DDA di Milano, che, nel corso di tutti
gli anni ’90, si è occupata quasi esclusivamente del fenomeno ‘ndrangheta in
Lombardia, grazie anche ad una lunga e qualificata serie di collaboratori, che
hanno consentito di disvelare i suoi organigrammi, gli insediamenti, le attività,
gli interessi, la rete di copertura anche istituzionale di cui essa godeva. Accanto
alle indagini giudiziarie, vi è poi l’attività, preziosa, delle Commissioni parlamentari
d’inchiesta, che hanno dedicato alle infiltrazioni delle mafie nel Nord
un’attenzione particolare, le cui relazioni andrebbero forse rilette per cogliere i
dati di una realtà criminale, a lungo sottovalutata.


Ancora, nella relazione per l’anno in corso sulla DDA di Milano, vengono segnalate
non solo le consuete attività di traffico internazionale di droga, con al centro
le altrettanto consuete cosche ioniche operative nel settore, ma anche fenomeni
di tipo diverso, come ad esempio, quelle di cui al proc. pen. n. 30500/04
R.G.N.R., della ordinanza di custodia cautelare in carcere del GIP di Milano per
il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., in data 10.07.2008. Nell’ordinanza di misura
cautelare, ai principali indagati appartenenti alla articolazione lombarda delle
famiglie BARBARO-PAPALIA di Platì (tra loro legate anche da vincoli parentali),
si addebita che, sotto l’egida di BARBARO Salvatore (genero del noto PAPALIA
Rocco, in atto detenuto), e strettamente collaborato da PAPALIA Pasquale (figlio
di PAPALIA Antonio, fratello di Rocco ed anch’egli detenuto), avrebbero
acquisito “il controllo della attività di movimento terra nell’ambito territoriale della
zona sud ovest dell’interland milanese”, in particolare “nel territorio del Comune
di Buccinasco”, imponendo “agli operatori economici la loro necessaria presenza
negli interventi immobiliari”. Il tutto attraverso intimidazioni consistite in “danneggiamenti
e incendi sui cantieri, esplosioni di colpi d’arma da fuoco contro
beni di altri imprenditori, incendi di vetture in uso a concorrenti o a pubblici amministratori,
minacce a mano armata, imposizione di un sovrapprezzo nei lavoratori
di scavo”. Una attività del genere lascia intendere, a coloro che conoscono
il tipico modo di procedere delle cosche calabresi, che è in atto una vera e
propria conquista del territorio, al fine di sfruttarne tutte le potenzialità economiche
(assai maggiori, si converrà, rispetto a quelle offerte nei territori di origine),
attraverso i tipici metodi di intimidazione, dissuasione violenta, nei confronti degli
operatori economici locali, che, è prevedibile, nel giro di alcuni anni, si vedranno
soppiantati ed estromessi, almeno per quanto attiene il settore
dell’edilizia pubblica e privata. La circostanza che l’area di Milano ospiterà
l’Expo 2015, con il giro di opere pubbliche e dei conseguenti interventi finanziari
ed investimenti immobiliari che ruotano intorno all’evento, dimostra a sufficienza
quali siano gli interessi in gioco, maggiori persino ipotizzabili dalla realizzazione
del ponte sullo Stretto di Messina, e quali gli appetiti mafiosi che si scateneranno,
con il corollario di violenza verso i concorrenti esterni, regolamenti interni, e
quant’altro accompagna di solito tali realizzazioni.
Gli esperti sanno bene che prospettive di tale portata comportano anche
un riassetto, un riposizionamento organizzativo delle cosche sul territorio, in
modo da adattare le strutture ai nuovi impegni imprenditoriali. Come ricorda la
relazione sulla DDA di Milano, una delle più significative indagini svolte dalla
DDA di Milano in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, quella recante
il n. 43733/06 R.G.N.R., “ha proprio per oggetto la individuazione e neutralizzazione di aggregazioni in territorio lombardo di formazioni di tipo ‘ndranghetistico,
costituenti veri e propri “locali” , la cui esistenza pone in serio pericolo
il tranquillo svolgersi della vita della collettività interessata da tali presenze,
che non sono puramente formali, ma incidono sostanzialmente sul tessuto sociale
anche attraverso la esecuzione di gravi azioni delittuose che quella collettività
turbano notevolmente. E grave sarebbe se in essa si determinasse una
sorta di assuefazione che sarebbe l’anticamera della predisposizione alla convivenza
col fenomeno mafioso, in termini di sua accettazione e, peggio ancora,
sfruttamento a scopi utilitaristici, come si è già notato in alcuni settori e puntualmente
segnalato con la precedente relazione.
L’aspetto di tale importantissima indagine che desta maggiore preoccupazione
è quello, illustrato nella citata relazione, secondo il quale “L’indagine in
questione, altresì, consente di confermare una realtà che da un po’ di tempo si
constata in territorio lombardo, e cioè quella del progressivo affrancamento delle
formazioni criminali mafiose di matrice calabrese dalla “madrepatria” calabra,
in termini di sostanziale autonomia delle associazioni per delinquere di tipo mafioso
che si sono costituite, o vanno costituendosi, resa anche evidente dal fatto
che le aggregazioni lombarde non ripetono la rigida ripartizione territoriale di
quelle calabresi.”…E ancora “In altri termini, il fenomeno che in passato si era
constatato, dell’occasionale coagularsi nel territorio in questione di gruppi di
‘ndrangheta di matrice diversa ed anche contrapposta in Calabria in alcuni momenti
storici, oggi appare “istituzionalizzarsi” in forma stabile ed organica, pur
permanendo sempre i rapporti con le zone d’origine, non in termini di dipendenza
funzionale, bensì di interscambio operativo all’occorrenza e di riconoscimento
da parte delle strutture lombarde della “primogenitura” di quelle calabresi”.
Par di capire, insomma, che si è alla vigilia di una vera e propria rivoluzione
copernicana. Non vi sono più tanti satelliti che ruotano ad un unico sole
(la ‘ndrangheta di San Luca), ma una struttura federata, disposta a dialogare
con la vecchia casa-madre, ma non più a dipendere da essa, sia quanto alla
nomina dei responsabili della periferia dell’impero, sia quanto all’adozione delle
nuove strategie e alla condivisione dei profitti. La ‘ndrangheta avrà, in tal modo,
completato il suo lungo percorso di occupazione della più ricca e produttiva regione
del paese. Non più un’occupazione precaria, ma definitiva, con strutture
permanenti di direzione, con il territorio rigidamente suddiviso. “In pratica- secondo
la relazione della DDA - corpi separati ma provenienti dal medesimo
ceppo, e viventi nell’ambito di quella che può definirsi una “coesistenza autonoma
ma interattiva”. Quando l’indagine sarà conclusa sarà possibile trarre ulteriori
elementi di conoscenza, ma se il quadro prospettato dai magistrati di
questo Ufficio dovesse essere confermato, non sarà difficile comprendere, a
chiunque, che nel giro di pochi anni, i rapporti di forza potrebbero rovesciarsi e,
davvero, i centri decisionali potrebbero spostarsi dalla Calabria alla Lombardia.
Non è un caso, se esponenti della ‘ndrangheta calabrese, quali SERGI Paolo e
PIROMALLI Antonio, siano stati catturati proprio a Milano, da dove dirigevano il
primo traffici di droga transnazionali, il secondo lucrosi affari e collegamenti con
esponenti della politica e delle istituzioni.
Non dissimile appare la situazione nel territorio di Brescia, stando alla relazione
sulla DDA di quel distretto, stante la segnalata presenza di organizzazioni
facenti capo a ‘ndrangheta e camorra nell’area del basso lago di Garda
che “condizionava e condiziona tuttora il tessuto sociale e le iniziative di intrapresa finanziaria”. D’altra parte – prosegue la relazione – “è ben nota la massiccia
presenza, da decenni, della ‘ndrangheta calabrese, nell’area lombarda.
L’intensa operatività e pericolosità di sodalizi di matrice ‘ndranghetista si è delineata
concretamente a più riprese sul territorio bresciano, alla luce delle tante
investigazioni sviluppate e condotte a termine”. Tra le cosche di cui viene segnalata
la presenza vi sono quelle BELLOCCO, nell’ambito dell’operazione
Narcos, quelle originarie di Fabrizia di cui all’operazione Cometa, oltre ai risultati
dell’operazione Esodo. Degna di segnalazione è la sinergia che si sarebbe
realizzata tra ‘ndrangheta e mafie estere, e alla luce di una indagine dalla quale
“è emerso l’interesse di facoltosi soggetti russi, che intendono “investire” in Italia
- sia tramite l’acquisto di beni immobili sia tramite l’acquisizione di complessi aziendali
- capitali plurimilionari, che sono risultati pervenire da società off shore,
operanti in paesi noti come paradisi fiscali. Nell’ambito di tale procedimento è
altresì emersa l’esistenza di contatti fra gli investitori esteri e soggetti di origine
calabrese, in parte già oggetto d’indagine della DDA bresciana ed in parte di interesse
investigativo per la DDA di Reggio Calabria, con la quale è stata avviata
collaborazione investigativa al riguardo: in particolare, i calabresi appaiono
svolgere il ruolo di “procacciatori di affari” per i soggetti stranieri ed in siffatto
contesto si è rilevato l’interessamento per l’acquisizione di una raffineria”.
La ‘ndrangheta è presente anche in Piemonte, tradizionale territorio di insediamento
di numerose cosche calabresi, e talmente aggressive da potere ideare
e realizzare, in passato, l’omicidio del Procuratore della Repubblica di Torino,
Bruno Caccia. Fatta eccezione per la mafia catanese, è la ‘ndrangheta la
protagonista della scena criminale piemontese, tanto sul versante del traffico di
droga, quanto su quello più propriamente definibile di controllo del territorio,
quest’ultimo in fase di sicuro rafforzamento. Secondo la relazione sulla DDA di
Torino la ‘ndrangheta calabrese, che in Piemonte ha una sua tradizionale e
consolidata roccaforte, seconda, fuori dalla Calabria, solo a quella realizzata in
Lombardia. “Essa è presente in tutto il Piemonte, è dedita ancora al traffico di
sostanze stupefacenti, sia pure limitato alla fase organizzativa, i contrasti interni
sono ridotti e solo raramente risolti con la violenza, le estorsioni sono realizzate
attraverso il condizionamento e l’intimidazione ambientale, più che con
l’esercizio di pratiche di violenza esplicita, mentre la ripartizione delle zone e dei
settori di influenza tra cosche è regolata da rigorosi criteri di suddivisione territoriale.
Le attività di interesse continuano ad essere quelle del traffico di droga,
anche se l’uccisione di MARANDO Pasquale, l’arresto del fratello Domenico, e
la sostanziale perdita di influenza della famiglia omonima, ha sicuramente determinato
l’ascesa di nuovi gruppi dirigenti in tale genere di attività. Permangono
le attività di controllo del territorio nella sua accezione più vasta, che va dalle
estorsioni, al controllo, se non totale, di appalti e subappalti di lavori pubblici e
privati, al riciclaggio, alle attività illegali secondarie, quali il controllo delle bische
clandestine. Anche la ‘ndrangheta, seguendo in qualche modo un processo che
interessa l’intero territorio nazionale, ha in corso, in Piemonte, un processo di
trasformazione, di riorganizzazione, di redistribuzione di incarichi e ruoli
all’interno dei “locali”. Tale processo può trovare spiegazione nella circostanza
che si stanno allentando, per varie ragioni che non è qui il caso di analizzare, i
legami con i territori di origine, essendo maturate, nel corso degli anni, nuove esperienze, nuove esigenze, nuove forme di presenza, non necessariamente
legate ai vecchi moduli del passato.
Occorre ancora tenere presente che negli ultimi due anni sono avvenute le
scarcerazioni per espiazione pena di alcuni elementi di vertice della ‘ndrangheta
calabrese, che, o hanno ripreso il loro ruolo di direzione, ovvero stanno tentando
di farlo, riannodando vecchie alleanze e reinserendosi in alcune delle attività
più lucrose”.Consigliere Vincenzo Macrì
Dalla relazione annuale della Direzione nazionale antimafia
1° luglio 2007 – 30 giugno 2008Scarica qui la relazione integrale

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