mercoledì 29 aprile 2009

Spesso si sentono i politici sciacquarsi la bocca con la parola legalità. Anche oggi con l’approvazione del federalismo fiscale la Lega ha provato di impadronirsi del concetto e del termine legalità. Essi la citano spesso con la scusa di responsabilizzare il sud. Da ciò se ne deduce che, secondo i leghisti, il problema dell’illegalità sia un’esclusiva del sud. Sono sorpreso di apprendere così che la corruzione, l’evasione fiscale, l’abusivismo edilizio sono problemi esclusivamente meridionale.
Prendo comunque atto che la Lega si batte in parlamento per l’affermazione della legalità, almeno questi sono i loro annunci. Resta da capire cosa centri l’alleanza con Berlusconi con la difesa della legalità. Mi sembrano due cose in antitesi tra di loro. Mi pare che Berlusconi sia sempre stato il difensore di interessi quali l’evasione fiscale, la corruzione, i vari reati economico-finanziari o di matrice politico-amministrativa, la mafia. Mi pare che Berlusconi, coi voti della Lega, abbia varato numerosi condoni fiscali ed edilizi, lo scudo fiscale. Mi pare che Berlusconi, con l’appoggio della Lega, abbia lanciato una lotta senza quartiere alla magistratura, rendendo di fatto impossibile effettuare indagini e processi in maniera seria, efficace, razionale, rapida. Mi pare che i futuri progetti (dalla separazione delle carriere allo stop alle intercettazioni) in materia di giustizia vadano proprio a contrastare con l’idea di legalità, per premiare quella della forza, della jungla. Senza contare che anche la Lega, alla pari di Forza Italia e DS fu coinvolta in uno degli scandali più preoccupanti della nostra storia recente, ovvero quello dei furbetti del quartierino. Mi pare che poi che le tanto ammirate amministrazioni locali gestite dai leghisti abbiano lasciato montagne di debiti. Non ovunque, certo, ma in alcuni comuni è stato così. E nemmeno le numerosissime province ormai occupate da oltre un decennio dai leghisti abbiano prodotto risultati di livello qualitativo e quantitativo così migliore rispetto ai loro predecessori di altri partiti. Se non erro anche i ministri leghisti non badano a sprechi, una volta seduti sulla “carega”.
Dunque i leghisti farebbero meglio a pensarci non una, ma cento volta prima di dichiararsi difensori della legalità. Perché la loro politica è tutto fuorchè portatrice di legalità. A cominciare dalle proteste contro le tasse, a cominciare dai cobas del latte, a cominciare dalle politiche sull’immigrazione, a cominciare dai favori illeciti (o illegali) che vari sindaci e assessori fanno ai piccoli ras di tanti comuni del norditalia. Tutto ciò è l’antitesi della legalità, del diritto, del rispetto della legge. Per i leghisti esiste una sola legge, la loro. Essi si sentono in diritto di rispettare solo le leggi che stanno bene a loro. Poco importa se esse sono anche le leggi dello stato o meno. E se una legge dello stato non li aggrada allora fanno a meno di rispettarla. Questo è il loro senso di legalità. Una legalità che, a sentir loro, dovrebbe essere osservata più che altro dagli stranieri e dai meridionali perché poi al nord essa è solo un bastone tra le ruote.
Cari leghisti, prima di venire a fare lezioni di moralità, di etica, di civiltà a chicchessia guardatevi bene allo specchio e pensate a ciò che fate e a ciò che dite.

martedì 28 aprile 2009

La questione energetico come questione politica

di Pierfranco Pellizzetti, il Secolo XIX, 26 aprile 2009

Di questi tempi riprende in varie sedi il dibattito sulla questione energetica. Secondo modalità che continuano a evidenziare una sorta di persistente pigrizia intellettuale.
Chi scrive non è nuclearista e neppure anti-nuclearista, non crede nelle virtù salvifiche delle “rinnovabili” ma neppure è pregiudizialmente contrario a dare loro credito.
Semmai è altrove, interessato a un modo diverso di impostare tale questione. Visto che l’indirizzo dominante segue un’ottica tipica di questi ultimi decenni, rivelatasi perniciosa: il punto di vista dell’offerta. Quella teoria economica dell’offerta che ha funzionato male - come ci ripete sempre il premio Nobel Paul Krugman - e che, applicata alla crescente penuria di energia, si traduce nella banale (pigra) ricetta di sostituire le fonti in via di esaurimento con altre, ma sempre presupposte abbondanti, di facile reperibilità e gestione, a buon mercato. Insomma, il magico e semplicistico rimpiazzo degli idrocarburi con qualcos’altro. In ogni caso, presupponendo come immutata/immutabile la domanda.
Per cui il cuore del problema pare quello di ricercare risorse equipollenti da bruciare nell’irrinunciabile ventre mai sazio dei SUV, per cui continuare a riscaldare e termoregolare tanto le abitazioni come gli uffici nei modi più dissipatori e scriteriati odierni; e così via.
Magari dimenticando (volutamente?) che se i combustibili fossili sono dati in esaurimento tra qualche decennio, l’uranio li seguirà nel comune destino ben poco dopo; trascurando il fatto che qualsivoglia soluzione alternativa non è in grado di reggere gli attuali livelli di consumo. Non accettando la semplice evidenza che viviamo in un sistema finito e che i limiti stanno nell’ordine naturale delle cose.
Per questo sembra molto più ragionevole (e responsabile) ribaltare il punto di osservazione ragionando in termini di domanda: non lo sforzo da inconcludente Sisifo di inseguire ansimanti un livello di offerta a misura degli attuali standard di consumo quanto - piuttosto - riallineare l’organizzazione della società e i conseguenti stili di vita alle effettive possibilità a nostra disposizione. Risparmiando e riconvertendo.
Risulta evidente che - a questo punto - la questione energetica da scientifica e tecnologica diventa eminentemente politica. Con tutte le difficoltà che ciò comporta, dato l’attuale stato dell’arte (abbastanza sinistrato) dell’azione pubblica. Resta fermo il fatto che l’impostazione corrente è soltanto rinvio consolatorio a breve, che ci avvia tranquilli e soddisfatti verso la catastrofe a medio periodo.
L’alternativa - appunto - è quella di riorientare verso la sobrietà: dunque, prevalenza dei consumi pubblici, ripensamento dei modelli collettivi e una straordinaria opera di educazione civica a largo raggio. A partire dalla selezione e dal riutilizzo dello scarto.
Insomma, prima ancora dei presunti abrakadabra della scienza e della tecnica, attesi fideisticamente come una sorta di manna dal cielo, l’impegno collettivo per pratiche improntate alla consapevolezza attiva.
Per fare questo si richiedono passaggi di certo molto difficili. Che presuppongono il coinvolgimento diretto della cittadinanza che va sensibilizzata e - in contemporaneo - una profonda riflessione sulle tendenze intrinseche alle dinamiche sociali come linee guida di una politica rinnovata alla radice; a partire da quel grado di credibilità che le consenta di esercitare il ruolo di guida delle proprie comunità (che oggi nutrono nei suoi confronti una radicata disistima).
D’altro canto, a livello mondiale è in corso un’intensa opera critica dei “pigri” impianti di governo basati sulle teorie dell’offerta, all’origine delle bolle economiche che stanno scoppiando in faccia all’intera umanità. La stessa operazione si impone per quella che è la primaria questione della nostra sopravvivenza: come alimentare e far girare in modi plausibili un mondo finito in bolletta.

(28 aprile 2009)

lunedì 27 aprile 2009

Un falso problema

Spesso si sente dire che le tasse sono troppo alte, che tutti vorrebbero detrarre qualsiasi spesa dalla propria dichiarazione dei redditi. Nei giornali compaiono istruzioni per pagare meno tasse possibili. I politici promettono di abbassarle e i cittadini li votano per questo motivo. Ma siamo davvero sicuri che questo sia un valore positivo, una necessità di tutti o un problema da risolvere? E’ vero che a tutti piace pagare meno tasse possibili? Secondo me no.
In paesi più civili dell’Italia ad esempio no. Negli USA ad esempio è un grande disonore non pagare le tasse, si finisce in galera per questi, con l’infamia di aver tradito il popolo americano. Ma gli americani, si sa, sono un po’ strani a volte. Non penso nemmeno che la galera sia la giusta punizione, almeno entro una certa cifra di imposte evase. In Europa però abbiamo esempi di paesi che pagano molte più tasse di noi (oltre il 70%) eppure sono molto felici. I danesi ad esempio, il popolo più felice dell’UE. Ebbene in Danimarca le tasse sono molto più alte che in Italia, eppure li si vive bene, tutti sono soddisfatti e lo sono perché c’è un welfare state che funziona. Ci sono i servizi, c’è lo stato sociale, che però non va confuso con l’assistenzialismo. Quest’ultimo infatti è tipicamente italiano e consiste nell’elargire vantaggi economici a poca gente che spesso non merita tali vantaggi e che li ottiene o per vantaggi politico-elettorali o per favoritismi fari. Uno stato sociale sano invece si occupa di tutti i cittadini, anzitutto dei più deboli, ma alla fine la positività si riflette su tutta la società. Infatti se un lavoratore dipendente sa che verrà sempre curato in ospedale, sa che l’autobus sarà puntuale, sa che se resta senza lavoro avrà comunque un reddito (minore, ma ce lo avrà), sa che può contare sull’aiuto dello stato (ovvero della collettività, della società), sa che le strade saranno sempre tenute bene, i parchi saranno verdi, sa che la scuola sarà pensata per valorizzare i talenti e le prospettive di tutti, la polizia presente, la giustizia efficiente, la posta puntale, questo cittadino, questo lavoratore dipendente è chiaro che sarà più felice, dunque potrà consumare di più, senza paura, senza problemi. Potrà acquistare ciò di cui ha bisogno senza timore di restare senza denaro a fine mese. Potrà anche accettare un lavoro temporaneo, anzi, preferirà un lavoro temporaneo, per fare più esperienze, conoscere persone nuove, cercare qualcosa che gli piaccia sempre di più. E lo stato potrà facilitare proprio questo tipo di assunzioni che spesso le aziende preferiscono per poter variare la propria forza lavoro a seconda del loro bisogno momentaneo. Si può così ragionare a medio termine, avere una visuale più definita, programmare anche all’ultimo secondo se necessario. Si è dunque più flessibili e più protetti. E dunque la società raggiunge l’obiettivo per la quale nasce: garantire a tutti di poter ricercare la propria felicità. Esattamente il contrario di ciò che avviene in Italia. Dunque siamo sicuri che siano le tasse il problema fondamentale della nostra infelicità?

venerdì 24 aprile 2009

Il lodo Thyssenkrupp, licenza di uccidere

di Loris Campetti, Il manifesto, 21 aprile 2009

Se un muratore cade da un'impalcatura e si frattura le gambe - o se un operaio muore bruciato in acciaieria - è per colpa sua: si è distratto, non ha rispettato le norme di sicurezza. Quante volte ci hanno raccontato questa favoletta, i padroni. Ogni volta che c'è un infortunio sul lavoro, ogni volta che un lavoratore perde la vita, loro hanno le mani pulite come i democristiani raccontati da Francesco Rosi in «Mani sulla città». Se non è colpa del destino cinico e baro, è colpa sua. Ma nel paese europeo in cui si uccide di più chi crea la ricchezza per la collettività, finalmente erano arrivate norme serie per individuare tutti i livelli di responsabilità nel ciclo lavorativo. Norme che affermavano il principio per cui la responsabilità prima risiede in chi sta sullo scalino più alto della catena di comando, che è poi chi ha il potere di spesa e di decisione per rendere sicuri gli impianti e i processi lavorativi. La prassi giudiziaria, corroborata dalla Cassazione, confermava questa tesi.

I tempi, però, sono cambiati. Si sono spenti i riflettori sulla ThyssenKrupp, sul lavoro si continua a morire come e più di prima ma le vittime sono tornate invisibili. Se non ne muoiono sette alla volta, o almeno tre nello stesso posto, non c'è notizia. Poi al governo è tornato Berlusconi, il presidente imprenditore che non può restare insensibile al grido di dolore dei suoi colleghi, quando denunciano gli alti costi del nuovo Testo unico sulla sicurezza che ha visto la luce durante il governo Prodi sull'onda dell'emozione creata dalla stage di Torino. Così, ecco pronto il nuovo Testo, una controriforma che ci ributta indietro di anni, a tanti morti fa quando la colpa era sempre dell'operaio, mai del padrone e dei suoi manager. In una sorta di vendetta berluscon-marcegagliana, le multe per il mancato rispetto delle norme da parte dell'impresa diminuiscono e di carcere, di fatto non si parla più. Licenza di uccidere, e non siamo in un film ma in fabbrica e nei cantieri.

Non basta, bisogna introdurre la norma per liberare i top manager dalle loro responsabilità. Detto fatto, se ci sono sottoposti coinvolti nella stessa inchiesta, la responsabilità ricadrà su di loro, loro andranno sotto processo, ammesso che non ci sia qualcuno ancora più in basso su cui scaricare il fastidio, fino ad arrivare alla base della piramide: l'operaio, sempre che non sia bruciato in acciaieria. Peggio del lodo Alfano, che dichiara non processabili i vertici dello stato ma solo per la durata del mandato.

Non basta ancora. Bisogna far saltare i processi in corso in cui sono imputati gli alti vertici industriali. Detto fatto, il Testo unico che una volta varato dal governo entrerebbe immediatamente in vigore, avrebbe effetto retroattivo. L'effetto ammazza-processi, quello ThyssenKrupp in primis, annullando il lavoro certosino del giudice Raffaele Guariniello, colpevole di aver risalito l'intera catena di comando, individuando i livelli crescenti di responsabilità.

Il lodo ThyssenKrupp si può e si deve fermare, anche se il tempo stringe. Altrimenti, al prossimo funerale operaio i sopravvissuti potrebbero non limitarsi a buttare giù per le scale della chiesa solo le corone di fiori dei loro padroni.

(22 aprile 2009)

Appello di Articolo21

Nei giorni scorsi vi avevamo annunciato la decisione dell'associazione Articolo21 di promuovere una serie di iniziative, in sede internazionale e nazionale, per denunciare l'ulteriore degenerazione del conflitto di interessi in Italia. Ci riferiamo in particolare alla riunione che si è svolta nella casa del proprietario di Mediaset per decidere i futuri assetti della concorrenza. Tale riunione non solo non è stata negata da Silvio Berlusconi, ma anzi è stata apertamente rivendicata, come stanno a testimoniare le dichiarazioni dei protagonisti, le centinaia di lanci d'agenzia, le decine e decine di articoli pubblicati da tutti i quotidiani italiani.
Per queste ragioni l'assemblea di Articolo21 che si è svolta ieri sera a Roma ha deciso di aderire all'esposto già presentato al Consiglio d'Europa da Lucio Manisco, da Giuseppe Di Lello e da Alessandro Cislin.
Contestualmente l'associazione, d'intesa con la CGIL ed il Comitato della libertà d'informazione ha annunciato che il prossimo 11 maggio a Roma si svolgerà una grande iniziativa per la difesa dei valori racchiusi nell'Art.21 della Costituzione. L'iniziativa sarà caratterizzata dalle due relazioni introduttive affidate al presidente Emerito Oscar Luigi Scalfaro e al presidente dei costituzionalisti italiani professor Alessandro Pace. Il comitato dei giuristi aderenti all'associazione ha infine predisposto un esposto da presentare all'autorità antitrust e all'autorità di garanzia delle telecomunicazioni. Vi proponiamo il testo della lettera e vi chiediamo di sottoscriverla perché vorremmo che questo diventasse un vero e proprio esposto collettivo sottoscritto da quanti non intendono rassegnarsi alla sub-cultura della illegalità e della colpevole indifferenza.

All'Autorità garante della concorrenza e del mercato

p.c. All'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni

Da notizie stampa e dalle stesse dichiarazioni pubbliche dell'interessato è emerso un intervento diretto del Presidente del Consiglio nel procedimento di nomina dei dirigenti delle testate e delle reti della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo.
Il Presidente del Consiglio tuttavia è proprietario della principale azienda concorrente della RAI e ciò determina una palese situazione di conflitto di interessi rilevante ai sensi degli artt. 3 e 4 della legge n. 215/2004.
Tale circostanza, fermi restando ulteriori profili di responsabilità, deve quindi essere accertata e sanzionata dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato che ha l'obbligo di legge di aprire immediatamente il relativo procedimento.
L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, cui la presente denuncia è inviata per conoscenza, ha d'altra parte il compito di vigilare sulla correttezza e sull'equilibrio dell'informazione radiotelevisiva, compito reso più stringente non solo dall'attuale regime di par condicio ma anche dalla suddetta situazione di conflitto.
Ciò premesso, i sottoscritti chiedono all'Autorità garante della concorrenza e del mercato di adottare in ordine a quanto rappresentato tutti gli atti previsti dalla legge n. 215/2004, procedendo con urgenza ai necessari atti di accertamento.
Chiedono inoltre, ai fini dell'esercizio dei loro diritti di partecipazione, di essere avvisati dell'avvio del procedimento e di essere sentiti personalmente.

Federico Orlando presidente
Giuseppe Giulietti portavoce
Tommaso Fulfaro segretario

Vi invitiamo ad aderire a questo esposto ed anche a farlo circolare ovunque sia possibile per raccogliere il più alto numero di adesioni. Ci fa piacere, infine dare atto alla FNSI, al suo presidente Roberto Natale, al suo segretario Franco Siddi e al segretario dell'Usigrai Carlo Verna di avere immediatamente posto la questione all'attenzione della Federazione internazionale dei giornalisti (dove l'Italia è rappresentata da Paolo Serventi Longhi), affinché sia immediatamente sollevata in tutte le sedi istituzionali.

Giuseppe Giulietti

(23 aprile 2009)

Il no al referendum di Vannino Chiti

di Olga Piscitelli, 24-04-2009
da www.libertaegiustizia.it


Vannino Chiti, vicepresidente del Senato, si è esposto contro il Referendum, come Luciano Violante, Franco Bassanini e pochi altri. La direzione del Pd, partito cui appartiene, ha votato per il Sì. La seduta è stata combattuta. Ha vinto la linea a favore, con l’idea che solo così si potrà riformare la legge elettorale.
Presidente Chiti, cosa ne pensa: è così? Se vince il Sì, si potrà poi riformare la legge elettorale?
“Vorrei proprio sfatare un’illusione: se passa il sì, nessun Parlamento, meno che mai questo, sarebbe in grado di cambiare una legge elettorale che in partenza è una brutta legge e dopo le modifiche apportate, nel caso passasse il referendum, sarebbe ancora più brutta”.
Cioè, secondo lei la vittoria del Referendum peggiora il Porcellum?
“Il quesito referendario aggrava il Porcellum, rafforza quella brutta legge elettorale. Con la vittoria dei Sì uscirebbe un Porcellum al quadrato. E siccome a molti sta bene, la maggioranza ne uscirebbe così forte che non è difficile intuire nuove elezioni. Ma questa è una considerazione politica. Quel che mi preme adesso sono le questioni di principio: la democrazia è a rischio. E di fronte a questo non sono ammesse furbizie, non sono consentite tattiche. Ci si deve fermare a ragionare”.
Quali sono gli elementi di rischio, secondo lei?
“Guardi, se solo il quesito referendario avesse proposto di cancellare il premio di maggioranza, avrei dato il mio appoggio. Invece, così lo estremizza e lo assegna alla singola lista. Pensi che nel ’53 fu definita ‘legge truffa’ quella che faceva scattare il premio e cioè l’assegnazione del 65 per cento dei seggi alla Camera alla lista o al gruppo di liste che avessero raggiunto il 50 per cento più uno dei voti validi.
Qui, se passa il referendum, si assegna la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera, cioè il 54 per cento, alla singola lista che abbia conseguito la maggioranza relativa, quale che sia la percentuale di voti ottenuta. E’ uno sfregio alla democrazia”.
Poi c’è l’innalzamento della soglia di sbarramento…
“E questo è il secondo aspetto negativo: al Senato scatterebbe lo sbarramento dell’8 per cento su scala regionale. Il che vuol dire che in piccole regioni ci sarà il 15, in altre il 10. Sono percentuali che non esistono al mondo: lo sbarramento va bene, ma per il 4 o il 5 per cento al massimo. La democrazia deve garantire la governabilità, è vero, ma con una rappresentanza effettiva, reale, perché senza non è più democrazia: è un regime autoritario. Se forze politiche che hanno più del 5 per cento non possono entrare in Parlamento, be’, questa non è democrazia”.
Questo suo timore, presidente, non pare essere molto condiviso. Come mai?
“Si parte purtroppo dalla valutazione della legge in vigore, cioè il Porcellum, che è bruttissima. E su questo siamo d’accordo in molti. Ora questo referendum non modifica il punto essenziale e cioè i candidati devono essere scelti dai cittadini, con questa legge, quelli eletti sono solo i meglio piazzati in una lista bloccata, scelta dalle segreterie di partito. Allora bisogna rivedere questa legge: togliere il premio, ridiscutere la soglia di sbarramento e ridare ai cittadini quel che spetta loro, cioè il potere di scegliere la rappresentanza”.
Che resta da fare, a questo punto, visto che siamo chiamati a votare per il referendum?
“Occorre informare i cittadini sul merito e poi valutare nel corso della campagna elettorale quale sia l’atteggiamento più giusto, perché non si incontrino sul Sì due istanze, quella di chi vuole una democrazia controllata e un bipartitismo imposto dall’alto e quella di chi lotta contro questa brutta legge elettorale”.

Cosa sta diventando il 25 Aprile?

Sembra che anche nella nuova gestione della società per azioni PD imperi, malgrado tutto, il buonismo. Magari mascherato, qualche volta, da tigre….di carta. Non memori delle “tolate” sui denti (e non solo su quelli) ricevute dagli esimi pidiini, torniamo a fare il gioco dell’avversario. A parte l’indignazione, e non solo scandalo, che si deve provare per questo improvvido invito, in nome di una condivisione che non può esistere, bisogna chiedersi se non sia il caso di riflettere che se verrà accettato l’invito e, quindi con la presenza nel palco ufficiale di Berlusconi, non possa essere anche il caso di considerare un insulto a tutti i caduti nel corso della Resistenza . iniziando dai Martiri delle Fosse Ardeatine, passando dall’eccidio di Marzabotto, da tutti i Partigiani, compresi quelli di Giustizia e Libertà, nostri progenitori politici e finendo con lo sterminio della Brigata Alpina Acqui a Cefalù.

Con quale coraggio, se non quello dell’impudenza, il signor Berlusconi, discepolo tra l’altro, del Grande Maestro Venerabile Licio Gelli, della deviata loggia P2 della Massoneria, salirà nel palco? Con quale coraggio chi veramente si sente erede legittimo di quella Resistenza che liberò l’Italia dal nazifascismo, potrà rimanere a fianco di chi la Libertà degli altri la considera un ostacolo ed un impedimento allo sviluppo dei propri, non sempre chiari, interessi?

Sarà interessante vedere, quando il signor Berlusconi salirà sul palco ufficiale, quanti, per un minimo di dignità, ne scenderanno. Spero, ardentemente che una simile azione venga messa in atto perlomeno dalle Associazioni Partigiane e da quelle dei Deportati nei campi di sterminio nazisti.





Renato Bonini

Membro della Direzione Nazionale N.P.A

giovedì 23 aprile 2009

Tagliamo quelle radici

Oggi nel programma condotta da Corrado Augias l’ospite era monsignor Rino Fisichella, uno dei più reazionari, dei più intolleranti, dei più integralisti membri della curia romana di papa Benedetto XVI (Benito XVI, come direbbe Odifreddi). Non posso negare che le tesi che ha esposto mi fanno paura. Sono veramente convinto che se c’è un pericolo per l’Italia e per il mondo questo sia proprio la Chiesa fondamentalista (esattamente come tutte le altre religioni fondamentaliste). Ciò chiaramente non ha nulla a che vedere coi cristiani normali, con la cosiddetta base, normalmente tollerante, spesso indifferente ai totalitarismi del Vaticano. Ma forse sbagliano anche loro a essere così indifferenti, dato che Fisichella non è l’unico a pensarla così, anzi. Ci sono molti, troppi personaggi simili a lui.
Persone che vorrebbero che l’Europa scrivesse la sua Costituzione basandosi su non meglio specificate “radici cristiani”, le quali hanno (secondo loro) contribuito a forgiare i valori europei odierni.
Ma siamo sicuri che la Chiesa e il cristianesimo siano del tutto positivi per l’umanità, siamo certi che essi siano, tutto sommato, un’istituzione da proteggere, una religione migliore delle altre? Siamo sicuri che le recentissime prese di distanza dal passato siano reali e sentite? Siamo sicuri che la Chiesa non l’abbia fatto per proteggersi e per migliorare la propria immagine?
Probabilmente la maggior parte di quelle persone che, nonostante non gliene freghi nulla della Chiesa o di Gesù continua a battezzare i figli, sposarsi in chiesa, mandare al catechismo i bambini e inculcare loro la cosidetta cultura cristiana non sa in realtà cosa essa sia. Forse non sa che la Chiesa ha sempre protetto e giustificato la schiavitù, ha come valore fondamentale la sottomissione acritica a un capo, a un padrone, ha sempre considerato le donne come proprietà del maschio, ha fatto e fa tutt’oggi sfoggio di un’intolleranza nei confronti dei diversi degna dei peggiori nazisti. Forse non sanno che la Chiesa e il Vangelo prevedono sempre il perdono, anche per i peggiori criminali, anche per Hitler e Riina per intenderci, mentre, dall’altra parte, prevedono condanne eterne e dolorosissime nei confronti di coloro che non sono d’accordo con i dogmi della Chiesa, con coloro che non credono, che non sono cristiani, in pratica di coloro che la pensano diversamente. Ma non solo con l’astrazione dell’inferno e con minacce esoteriche di questo tipo, bensì anche con la pena di morte. Non sono molti anni che il Vaticano l’ha abolita e ancora oggi il catechismo prevede la possibilità di sopprimere coloro che ostacolano la Chiesa e per i quali non si trovino soluzioni meno cruente. Notate differenze coi tanto demonizzati musulmani?
Vogliamo poi parlare dell’oscurantismo scientifico che ci ha “regalato” 1000 e più anni di medioevo, un’era non certo tra le più floride e felici della storia umana. Vogliamo dire che il sogno della Chiesa (e l’unico modo in cui essa intende il governo di una società) è quello dell’assolutismo, del totalitarismo e dell’autoritarismo tipico delle dittatura (meglio se di destra)? Vogliamo dire che non è solo un caso e non dipende solo dagli indubbi vantaggi finanziari se il Vaticano ha sempre protetto i peggiori dittatori del ‘900?
Certo, loro si vantano di tutte le loro opere di carità. Ma è carità o sono operazioni pubblicitarie? I loro missionari vanno veramente in Africa per salvare la gente? Alcuni si, sicuramente, alcuni sono davvero brave persone ma spesso poi finiscono ai margini della Chiesa che talvolta li esclude dal sacerdozio. La Chiesa ufficiale infatti è li solo per poter iscrivere altra gente al loro club. Per battezzare i moribondi. Essi sono sempre stati sostenitori della teoria secondo la quale il dolore fisico non è un problema (neanche se viene da curabilissime ed evitabilissime malattie) ma una benedizione di dio, dimostrando un’insensibilità e una irresponsabilità senza paragoni. Loro intendono curare prima le anime (sempre che esistano) rispetto al corpo. Dunque meglio un morto convertito che un sano non cristiano. Vogliamo dire che per loro bisogna accettare passivamente le cose dannose, malvagie?
Vogliamo poi parlare di tutte le guerre da loro causate o sostenute? Vogliamo parlare della sessuofobia repressa, del fatto che sono apertamente illiberali e antidemocratici, del fatto che pretendono assoluto rispetto per il loro stato e la loro religione e poi si permettono di dettare il cammino politico agli altri paesi, soprattutto l’Italia, giustificando questo fatto con le cosidette “scritture”? Vogliamo condannare si o no quest’arroganza, questo totalitarismo inaccettabile?
Ecco cosa ci aspetta se dovesse vedere la luce lo stato etico che vogliono la CEI, Fisichella e Benito XVI. Ecco cos’è dunque il loro fondamentalismo cristiano.
Che poi su cosa si basano tutti questi bei valori che loro da due millenni si vantano (pure!) di portare in giro per il mondo? Si basano sulla falsità della croce, simbolo nato secoli dopo la nascita dei cristiani, forse anche perché 2000 anni fa le croci non esistevano nemmeno. Si basano su un personaggio che oggi definiremmo un truffatore, un santone, un pericoloso individuo che va in giro a turlupinare gli ingenui e che nella mitologia cristiana è perfino diventato “santo”. Sto parlando chiaramente di Paolo, il quale, senza nemmeno aver letto i vangeli (o perché ancora non c’erano o perché non sapeva che ci fossero, o perché non gliene fregava nulla) andava i giro a raccontare favole terribili ai popoli suscettibili e superstiziosi. Del resto è sua tutta l’invenzione del sacrificio di dio, che poi non è altro che la ripresa dell’usanza del sacrificio umano per dio. Poi sostengono pure di essere innovativi e invece. Poi il cristianesimo, e questo è meraviglioso, si basa su un personaggio che non si sa bene se sia esistito o meno, se fosse una sola persona o più di una, se derivi o meno da altri dei o eroi mitologici dell’antichità. Del resto è un fatto acclarato che i cristiani abbiano rubato nomi, feste, tradizioni, simbolismi alle religioni antiche per avere successo. Una sorta di plagio, di truffa universale, cattolico come si dice. Così si spiega anche la loro passione per Berlusconi. Un personaggio Gesù che comunque segue una pletora di altre invenzioni e contraddizioni contenute nella bibbia (leggasi libretto di miti e leggende) che dovrebbe essere la parola di dio (un dio indeciso, bugiardo o con poca memoria a quanto pare). Un dio, quello biblico, di cui non si possono tacere le pulizie etniche, le violenze gratuite, la mostruosità di quel dio che, anche se esitesse, mi guarderei bene dall’adorare.

mercoledì 22 aprile 2009

La resistenza non ha colore

Giorgio Bocca
la Repubblica
22-04-2009

Silvio Berlusconi, accogliendo l´invito del segretario pd Franceschini, parteciperà per la prima volta al 25 aprile. È una decisione che va giudicata positivamente perché in essa oltre che a un diritto si riconosce il dovere del presidente del Consiglio di celebrare assieme a tutti gli italiani la festa della Liberazione e i valori della Resistenza, dell´antifascismo e della Costituzione. Ma quando aggiunge che lo farà perché di questa festa non se ne appropri soltanto la sinistra il premier rivela di essere ancora lontano da una autentica maturità democratica e storica. Più fallace di lui si dimostra il ministro della Difesa Ignazio La Russa.
La Russa, uno dei neofascisti sdoganati da Berlusconi, dichiara che «i partigiani rossi meritano rispetto ma non possono essere celebrati come portatori di libertà», cioè fra i fondatori della democrazia italiana. È difficile capire su cosa si basi l´affermazione di La Russa dato che il Partito comunista italiano che organizzò e diresse i partigiani rossi, meglio noti come garibaldini, fece parte e parte decisiva dell´Assemblea costituente da cui è nata la Repubblica democratica. Che i comunisti italiani abbiano scelto la democrazia invece che la dittatura potrà sembrare ai loro avversari una scelta opportunistica, obbligata dai rapporti di forza in Europa e nel mondo ma si prenda atto anche da chi avrebbe preferito un esito diverso che essa ci fu e fu per i comunisti italiani vincolante. Gli storici non hanno ancora fornito la prova di chi fu la responsabilità di questa scelta: se fu decisa da Stalin o dalla Internazionale comunista di cui l´italiano Palmiro Togliatti era un autorevole dirigente, ma l´accettazione da parte comunista della divisione del mondo in due sfere di influenza fu un dato di fatto accettato sin dagli anni della guerra di Spagna, riconfermato nell´incontro fra i vincitori della guerra contro la Germania nazista e rispettato anche dopo l´invasione sovietica dell´Ungheria.
Fosse interprete del pensiero politico di Stalin o convinto della necessità di convivere con le grandi democrazie occidentali Togliatti, arrivato in Spagna durante la guerra civile, dettò i tredici punti di una costituzione che sarebbe entrata in vigore a guerra finita di chiara impostazione democratica: autonomie regionali, rispetto della proprietà e della iniziativa privata e dei diritti civili, libertà di coscienza e di fede religiosa, assistenza alla piccola proprietà, riforma agraria per la creazione di una democrazia rurale, rispetto delle proprietà straniere non compromesse con il nazismo, ingresso della Spagna nella Società delle nazioni. Naturalmente già allora gli avversari dei comunisti dissero che era una scelta tattica in attesa della rivoluzione, ma una scelta vincolante come si dimostrò in Grecia quando i partigiani rossi di Markos e il loro tentativo di impadronirsi del potere furono abbandonati alla più dura sconfitta. Che la scelta democratica fosse valida nella Repubblica fu chiaro quando tutte le fiammate rivoluzionarie della base comunista, dall´occupazione della prefettura di Milano a quella del monte Amiata dopo l´attentato a Togliatti, furono spente dalla polizia diretta da Scelba senza reazione del partito.
Possiamo dire che le affermazioni di La Russa sull´inaffidabilità democratica dei partigiani rossi sono un processo alle intenzioni smentito dal rispetto alla Costituzione dei comunisti italiani, che al contrario dei neofascisti alla Borghese o delle trame nere, non hanno mai progettato colpi di Stato e si sono schierati con decisione contro il terrorismo delle Br. Ma c´è un´altra ragione, anche essa storica, per dissentire dalla dichiarazione di La Russa ed è quella di considerare il movimento partigiano garibaldino come un tutt´uno con il partito comunista e il partito comunista come la stessa cosa di una dittatura stalinista. Procedere per generalizzazioni arbitrarie è un cattivo modo di fare la storia e anche la politica. Chi ha conosciuto il movimento partigiano nella sua improvvisazione e varietà estrema sa bene che diventare un partigiano rosso non era sempre una scelta politica, ideologica, che si andava nelle brigate Garibaldi per molte ragioni non politiche, perché erano fra le prime formatesi o le più vicine, le prime che si incontravano fuggendo dalle città occupate dai nazifascisti magari per raggiungere dei conoscenti, degli amici. Si pensi solo al comando garibaldino piemontese, che si forma in valle Po con gli ufficiali di cavalleria della scuola di Pinerolo che seguono Napoleone Colajanni, nome partigiano Barbato, perché loro amico non perché comunista, o gli altri che in Val Sesia vanno con Cino Moscatelli perché è uno della valle come loro non perché è comunista.
Così come noi delle bande di Giustizia e Libertà nel Cuneese che non avevamo mai sentito parlare del partito di azione e del suo riformismo liberal-socialista, ma che eravamo compagni di alpinismo di Duccio Galimberti o Detto Dalmastro. Nella guerra partigiana prima veniva la sopravvivenza, la ricerca delle armi e del cibo, poi sul finire arrivò anche la politica, ma le ragioni di lealtà e di amicizia restarono dominanti per cui egregio ministro La Russa mi creda ma per uno che è stato partigiano le differenze di cui parla non ci sono state. Per venti mesi, per tutti, la ragione di combattere era la libertà.

La giornata per a Terra

Oggi è la giornata dedicata alla Terra e mi pare giusto fare una riflessione sul nostro pianeta. Da pochi giorni è terminato il G8 dell’agricoltura, presto inizierà quello sull’ambiente. Forse saranno proprio i due settori più importanti del G8 generale questi due. Un po’ perché stiamo iniziando tutti a renderci conto che non possiamo continuare a sfruttare le risorse naturali al ritmo attuale, un po’ perché questa crisi ci permette di usare un po’ di fantasia. E spesso quando si usa la fantasia si torna al passato, almeno in apparenza. Io penso che non sia una brutta idea, in questo caso, tornare un po’ al passato, rimettere l’agricoltura e l’ambiente al primo posto. Del resto noi viviamo mangiando il cibo prodotto dagli agricoltori, non certo digerendo marmitte, travi o titoli finanziari. Dunque sono rimasto soddisfatto dalle conclusioni del G8 agricolo. Certo, sono poco più che promesse, intenzioni, programmi, ma rispetto ad altre volte direi che si va in una direzione positiva. Valorizzare l’agricoltura, soprattutto se di qualità e fatta rispettando l’uomo e l’ambiente è fondamentale per far progredire l’umanità. Soprattutto se pensiamo che c’è sempre più bisogno di cibo. Dunque è giusto che i paesi sviluppati e maggiormente industrializzati invitino i propri agricoltori a produrre di più (cosa che a loro certamente non dispiacerà) ed è giusto che poi questo surplus di cibo venga distribuito ai paesi più poveri, che in fondo di quello hanno bisogno. E se si fa il tutto rispettando la qualità e la serietà dei nostri agricoltori (ma anche di quelli di altri paesi europei, come la Francia) a trarne vantaggio saremo tutti quanti, perché è innanzitutto un valore aggiunto per l’immagine del nostro paese e poi anche perché così si sviluppa una branca importante dell’economia.
Altro settore che può e deve diventare economicamente vincente è quello del rispetto ambientale, delle energie pulite. Non è vero, come dicono certi personaggi faziosi, che l’unica maniera per risolvere il problema energetico è il nucleare. Può essere un aiuto il nucleare, ma è probabile che invece sia uno spreco energetico. Mi pare invece più sensato e meno pericoloso puntare sulle energie rinnovabili, cercare di migliorare questi sistemi. Soprattutto in un paese come l’Italia queste possono dare grosse soddisfazioni, aprire nuovi mercati, creare nuovi posti di lavoro.
Purtroppo però tutti questi obiettivi sono difficili da realizzare, a causa di governi che definire conservatori sarebbe fargli un complimento, ma anche a causa di molte lobby del petrolio, del nucleare e delle maxicostruzioni che chiaramente sono contro tutte queste cose. Il loro mondo ideale è quello che è crollato a ottobre e loro lo rivorrebbero tale e quale, per poter continuare a speculare sulla finanza, sul mattone, sul petrolio, sulle materie prime in genere. Quando si diceva che la crisi sarebbe stata anche un’occasione per cambiare un po’ il mondo ci credevo, ci speravo. Oggi invece mi pare che si stia ricostruendo lo stesso mondo di prima, con qualche apprezzabile miglioramento si, ma non certo quello che sarebbe ideale per evitare crisi disastrose come queste.

lunedì 20 aprile 2009

Doppia corsia

L’Italia è davvero un paese con due pesi e due misure per ogni cosa. E non è che ci sia da rallegrarsi di questo. Oggi su tutti i tg e su tutti i giornali si parlava dei cori razzisti rivolti dai tifosi juventini a Balotelli, giocatore di colore dell’Inter. Tutti quanti condannano quei cori, in quanto razzisti, ma mi sorprende che si faccia tanta attenzione su dei cori rivolti a un ragazzo che comunque sa il fatto suo, è famoso, ha talento, guadagna bene. Mentre invece non si da alcuna attenzione al reale razzismo che ormai da anni serpeggia in Italia. L’altro giorno il commissario UE per i diritti umani ha lanciato l’allarme per il trattamento che il governo riserva ai rom. Direi che è una lampante conferma di quanto noi andiamo dicendo da mesi, ovvero che questo governo, questa cultura berlusconista-leghista non permette di ottenere alcun risultato ed è solo fumo negli occhi. Col razzismo, con l’autoritarismo, con i mezzi rozzi e banali di questo governo non si otterranno mai risultati in nessun campo. Io penso che se si voglia risolvere il problema della microcriminalità e dell’immigrazione clandestina sia necessario pianificare a lungo termine, favorire l’ingresso nel mondo del lavoro per queste persone, contrastare la criminalità organizzata, evitare di rendere impossibile l’ingresso e il soggiorno regolari. Garantire a chi lavora e rispetta le leggi tutti i diritti riservati agli italiani. Fatto questo è giusto essere duri con chi infrange le leggi, con chi ruba, stupra, vende droga o sfrutta le prostitute. Ma innanzitutto bisogna permettere agli immigrati di poter vivere senza questi espedienti, altrimenti è chiaro che avremo sempre una convivenza difficile o impossibile. Il razzismo non c’è solo negli stadi. E quello è comunque un razzismo innocuo. Molto peggio è il razzismo benpensante, ottuso, irrazionale che striscia in questo paese. Riusciremo a tarare la nostra bilancia?

Stop alle telefonate!

di Aaron Pettinari – 20 aprile 2009

Roma. Se il governo non paga entro tre settimane il debito di oltre 200 milioni di euro contratto con le società specializzate in intercettazioni, queste fanno sapere che daranno il via al primo “sciopero bianco”. Un vero disastro per tantissime indagini in via di svolgimento.
Non potendo interrompere le intercettazioni in corso - le società private come incaricate di pubblico servizio rischierebbero di essere messe severamente sotto inchiesta - i lavoratori del settore hanno minacciato di non accettare più ulteriori incarichi. Le Procure si troverebbero così scoperte nelle proprie attività d'indagine con danni incalcolabili dal punto di vista investigativo. Si tratta di una situazione estrema a cui le aziende (in particolare Sio, Rcs, Area e Innova) sarebbero costrette a causa dei buchi di bilancio che restano insanati in conseguenza del mancato credito da parte delle banche. Da circa un anno queste società che occupano il 70 per cento del mercato delle intercettazioni faticano a garantire lo stipendio ai quasi 900 dipendenti che lavorano quotidianamente e che, visti i progetti di accorpamento già annunciati dal governo, vedono a rischio anche il proprio futuro.
La protesta si accompagnerebbe alle ingiunzioni di pagamento che i legali delle società faranno partire da questa settimana all’indirizzo del ministero della Giustizia , minacciando addirittura pignoramenti in sede. Lo stesso tipo di iniziativa, anche se solo per un giorno, verrà presa dalle altre piccole società del settore con le 214 aziendine artigianali d’intercettazione. Tutte operanti a Palermo attueranno lo “sciopero bianco” il prossimo 28 aprile.
In questo primo anno di governo Berlusconi si è parlato a lungo delle intercettazioni. Sono state presentate come un “costoso” mezzo d'indagine o, ancor peggio, come un problema da risolvere per la “sicurezza” dei cittadini Italiani. 
Ecco quindi il lampo di genio. La possibile “soluzione finale” per scongiurare definitivamente ogni pericolo d'indagine. Non servono decreti legge, basta non pagare le ditte addette, ignorandone i precedenti avvertimenti (inutile era stata la riunione con il Giardasigilli Alfano dello scorso 28 novembre). Anche le Procure avevano appunto accennato al suddetto rischio. Nel giugno dello scorso anno il procuratore della Dda di Palermo, Antonio Ingroia, avvertiva: “A Palermo, saremo costretti a fermare le intercettazioni. Ma non quelle per le veline. Quelle contro la mafia, quelle che hanno portato in galera Riina e Lo
Piccolo. Succede che, siccome microfoni e apparecchiature per l'ascolto ambientale vengono affittate da privati, e siccome lo Stato ha tagliato i fondi, le ditte non hanno
più intenzione di far credito al Palazzo di giustizia”.
Eppure i costi delle intercettazioni, così come è stato notato in un convegno di settore tenutosi a Cinisello Balsamo, potrebbero essere coperti dalla stessa attività giudiziaria. Basti pensare che con l’inchiesta Antonveneta la Procura di Milano ha recuperato allo Stato quasi 600 milioni di euro. Addirittura potrebbero essere abbattuti tramite una regolamentazione diversa degli appalti e dei prezzi imposti dai concessionari telefonici. 
Dopo la criminosa legge sulle intercettazioni, che di fatto ne limita l'utilizzo ai magistrati che compiono le indagini, dopo l'incredibile montatura del “caso Genchi”, istruito ad arte per alimentare le “fobie” degli italiani, ecco l'ultimo paradosso di uno Stato che dovrebbe essere garante di Giustizia e non intralcio. 



mercoledì 15 aprile 2009

Nessun risetto per l'onestà

La presa di posizione di Mauro Masi nei confronti di Santoro e Vauro dovrebbe far preoccupare tutti coloro che tengono in considerazione la libertà e la democrazia in questo paese. Ho paura che siano n pochi però.
Cosa vuol dire una puntata riparatrice? Hanno detto qualcosa di falso ad AnnoZero?
A quanto pare no, nessuno li ha denunciati per calunnia. Anzi. Nessuno si è nemmeno sognato di rispondere alle domande poste dalla trasmissione. Ancora una volta i politici da 4 soldi che ci ritroviamo non badano neanche alla sostanza, se la prendono con le persone per principio, perchè non sono simpatiche o, forse, perchè non sono servili come tanti altri.
Berlusconi e i suoi paggetti hanno sfilato ogni giorno davanti ai terremotati, si sono fatti belli davanti alla nazione, fanno credere a tutti di essere in prima fila per aiutare coloro che hanno perso tutto. Mentre invece non è così, le promesse di Berlusconi ormai le conosciamo, nessuno in Italia può vantare lo stesso numero di balle raccontate in pubblico dell’eroe degli italiani. L’unica preoccupazione del Popolo dei Piduisti è quello di zittire chi canta fuori dal coro. Forse perché rovina la candida veste di salvatore che è stata cucita addosso al Gran Piduista. Si definiscono liberali, ma la libertà dov’è? O racconti quelli che vogliono loro oppure nulla? Certo, la RAI e l’informazione sono sempre state condizionate dai partiti, ma mai come ora. E’ scandaloso tutto ciò. Sono profondamente indignato e preoccupato per il futuro. Già una volta abbiamo visto di cos’è capace l’”uomo della provvidenza”. E ora, dopo aver cacciato Mentana, caccerà anche Santoro? E magari anche Fazio? Italiani, svegliatevi.
La storia della puntata riparatrice poi è semplicemente ridicola. Da 10 giorni vengono continuamente cantate le lodi di Bertolaso e del governo, basta che per 2 ore e mezza una trasmissione si ponga delle domande su cosa si sarebbe potuto fare di più e meglio (mica cose impossibile, tutte cose abbastanza normali dopo 3 mesi di sciame sismico) e subito scatta l’indignazione dei servi del padrone. Se avessero detto falsità sarebbe un conto, ma come ben sappiamo queste non vengono punite, anzi. Spesso presenziano su RAIUNO dal Lunedì al Giovedì in seconda serata. Senza che nessuno dica nulla.
Io mi auguro che Santoro si rifiuti di fare questa “puntata riparatrice”, piuttosto che si dimetta.
Nel frattempo però il governo ha già trovato un altro modo per trarre vantaggio dal terremoto. In attesa di intascare i soldi delle mazzette che la mafia e la camorra daranno ai politici per poter entrare nel grande business della ricostruzione, i nostri geni al governo hanno già pensato di regalare ai suddetti mafiosi e a tanti altri evasori e corrotti un altro scudo fiscale. A ben vedere è un investimento per loro: più denaro sporco torna in Italia, più alte saranno le mazzette che intascheranno sulla ricostruzione de L’aquila.
Io sono ancora più schifato da questo provvedimento che dalla censura di AnnoZero. Innanzitutto perché si continua a premiare la disonestà e prendere in giro i cittadini onesti, che saranno anche pochi, ma hanno ragione e hanno diritto a veder rispettati i loro diritti. E poi perché così si incentiva l’economia nera, quella sommersa, quella mafiosa, proprio in un momento in cui bisognerebbe contrastarla ancor di più del solito. Ma del resto, da un governo presieduto da uno che non ha mai spiegato chi gli diede i soldi per iniziare la propria attività imprenditoriale e che ospitava in casa dei mafiosi, coi quali poi faceva anche affari in merito all’acquisizione di emittenti tv, cosa volevate aspettarvi?

martedì 14 aprile 2009

Bernardo Valli, la Repubblica, 14-04-2009

Avrei scritto anch´io, non volentieri ma con slancio, l´articolo di Philippe Ridet pubblicato ieri da Le Monde. Questa mia immediata e candida affermazione deriva dal fatto che quanto dice il corrispondente del quotidiano parigino lo sentono molti italiani come me residenti all´estero.
In particolare se svolgono lo stesso mestiere di Ridet e quindi vedono quotidianamente come l´immagine dell´Italia si riflette fuori dai patri confini. L´Italia soffre, scrive Ridet, ma non vuole essere criticata dagli stranieri. E il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che controlla in quanto diretto proprietario o in quanto capo del governo l´ottanta per cento dei media, è l´araldo di questa «resistenza». Resistenza che si esprime con una raffica di proteste dei nostri ambasciatori invitati dal loro ministro a reagire quando i quotidiani stranieri parlano male dell´Italia.
È capitato al Times quando ha ironizzato sulle parole di Silvio Berlusconi che invitava i rifugiati dell´Aquila a «passare il weekend di Pasqua al mare». È capitato al Guardian quando ha scritto che la fusione tra Alleanza Nazionale e Forza Italia segnava la nascita di una formazione «postfascista». È capitato al Pais quando ha definito Berlusconi uno dei leader «più sinistri». E allo Spiegel quando, al momento delle immondizie napoletane, ha chiamato l´Italia «uno stivale puzzolente».
Questi interventi diplomatici presso organi di stampa di paesi democratici sono di solito praticati da governi autoritari o dittatoriali, particolarmente sensibili alle critiche, considerate insulti, anche perché spesso ignorano le libertà di informazione e di opinione, non essendo quest´ultime parte della loro tradizione.
Philippe Ridet racconta come lui e il suo collega del Wall Street Journal siano stati convocati alla Farnesina (sede del nostro ministero degli Esteri) e invitati a spiegare come vedevano l´Italia e con quali criteri la raccontavano nelle loro corrispondenze. I due giornalisti si sono trovati d´accordo per dire, con un linguaggio diplomatico simile a quello usato dai loro interlocutori, che almeno quattro ostacoli impedivano di fare l´elogio quotidiano della Penisola: «La mafia (e le sue declinazioni locali), l´inefficienza dell´amministrazione e dello Stato in generale, la politica xenofoba raccomandata - e a volte applicata - dalla Lega del Nord e gli spropositi verbali (mauvaises blagues) di Silvio Berlusconi». Aggiungo io, ancora, sebbene sia superfluo sottolinearlo, che queste convocazioni di giornalisti stranieri da parte delle autorità, sia pure fatte con garbo, vale a dire con diplomazia, sono di solito pratica corrente nei paesi emergenti, dove le critiche, indispensabile sale di ogni libero giornalismo, sono considerate violazioni di lesa maestà.
Scrive Ridet: «Suscettibile, Silvio Berlusconi? Sì, ma non più degli italiani che rifiutano di riconoscersi nello specchio che tende loro la stampa straniera. Eppure non sono avari nel criticare se stessi. Hanno persino inventato un´espressione per questo, l´autolesionismo, al fine di evocare la loro tendenza a vedersi come gli ultimi della classe, impopolari in Europa. Ma quando qualcuno lo fa al loro posto, subito gli stessi che si descrivono "abitanti di un paese in cui nulla funziona" inforcano il cavallo dell´orgoglio nazionale. Ne è un´illustrazione l´atteggiamento pieno di dignità offesa di Silvio Berlusconi che rifiuta l´aiuto internazionale dopo il dramma dell´Aquila».
Il corrispondente di Le Monde ricorda l´intolleranza di Silvio Berlusconi nei confronti dei giornali italiani che descrivono la corruzione, i pubblici abusi e i delitti mafiosi. Precisa Ridet, nella sua Lettre d´Italie, che il presidente del Consiglio si è detto persino tentato di ricorrere «a misure dure». L´irritazione di Berlusconi è dovuta anche al fatto che i giornalisti stranieri traggono dalla stampa nazionale le notizie per le loro corrispondenze. Da un lato prospetta quindi «misure dure», e dall´altro tenta di tenere a bada la stampa straniera mobilitando gli ambasciatori. Come fanno, appunto, i regimi autoritari. L´operazione diplomatica è destinata ad alimentare la cattiva immagine della nostra democrazia, incapace di sopportare le critiche. E accentua la caricatura del presidente del Consiglio.
Philippe Ridet è comunque garbato nella sua Lettre d´Italie, poiché aggiudica tutto all´orgoglio nazionale, ben radicato anche nel suo paese. Molti italiani che vivono fuori dai patri confini sono colpiti invece dal fatto che quell´orgoglio non spinga a ripudiare democraticamente all´interno, l´immagine reale dell´Italia oggi in Europa.

Berlusconi, il terremoto e il reality delle tv

di Loris Mazzetti

Berlusconi, il terremoto e il reality delle tv Loris Mazzetti Ancora una volta la tragedia si è abbattuta sull’Italia: il terremoto che ha colpito l’Abruzzo ha fatto 292 vittime, 2000 feriti e gli sfollati sono circa 20.000. Questo è il momento della solidarietà e dell’unità. Lo scontro politico deve essere lasciato da parte, ma non si può far finta di non vedere e di non sentire. Va riconosciuto che il governo è intervenuto prontamente, ma in ciò che sta facendo non c’è nulla di eccezionale: è soltanto dovere. Come sempre, c’è chi ringrazia e chi si lamenta. La gratitudine degli italiani deve andare ai vigili del fuoco, alla protezione civile, ai tanti volontari che sono riusciti nel miracoloso recupero di oltre cento persone dalle macerie.

Molti dei senza tetto hanno dormito le prime notti in macchina: o per mancanza di tende o perché queste erano insufficientemente riscaldate. Purtroppo nella zona, fortemente a rischio da mesi, non era stato previsto un presidio organizzativo per affrontare l’emergenza. La differenza rispetto alle tragedie del passato sarà valutata sui tempi della ricostruzione: gli sfollati chiedono di non essere dimenticati. Sono convinto che siano reali le assicurazioni di Berlusconi di smarcarsi da ciò che ci ricorda la storia e anche da sé stesso, perché non devono essere dimenticate le promesse di ricostruzione e di giustizia, solo in parte mantenute, dopo il terremoto in Molise del 31 ottobre 2002 dove crollò a San Giuliano di Puglia la scuola Francesco Jovine causando la morte di 27 bambini e una maestra. Al momento la differenza rispetto al passato è data dalla copertura mediatica. L’Abruzzo è invaso da inviati, cameramen, tecnici, pulmini regia, postazioni satellitari. Ad ogni angolo di strada spunta un microfono, le telecamere sono pronte a riprendere ogni minimo crollo.

In tv il terremoto è stato raccontato non solo dai telegiornali ma anche dalle trasmissioni di gossip, di cucina, persino all’interno delle televendite. Tutto è lecito pur di fare cronaca. Conduttori che lanciano auguri mentre i vigili del fuoco stanno recuperando due giovani sepolti da molte ore: “Resistete facciamo il tifo per voi”; c’è chi in diretta si altera perché viene chiuso il collegamento con un altro recupero: “Lasciatemi vedere come va a finire”; un padre disperato, che ha perso il figlio di ventun’anni, viene tenuto per mezz’ora di fronte alla telecamera a manifestare la sua disperazione: “Aiutateci, non lasciateci soli, non abbiamo più niente, non sappiamo dove andare”, alla figlia sopravvissuta, singhiozzante, una giornalista chiede: “In nome di suo fratello può dare un segnale di fiducia a tutte le persone”. La risposta della giovane donna all’inadeguata cronista è una lezione per tutti: “Un segnale di fiducia lo dovete dare voi…”. Mi dispiace scriverlo, mi auguro che non me ne vogliano quei bravi giornalisti che hanno svolto con grande serietà il loro compito, ma la sensazione è che ci sia stato un velato ordine di andare oltre alla cronaca, soprattutto nelle tv (per fortuna molti giornali hanno dimostrato di essere indipendenti), nei primi giorni si doveva mettere in risalto l’efficienza del governo, del presidente del Consiglio in particolare, perché anche la tragedia, a due mesi dal voto, può fare campagna elettorale.

Il ministro Carfagna dai microfoni di Matrix ha superato tutti nelle lodi del lavoro fatto in questi mesi dall’esecutivo, in netto contrasto con la disperazione dei terremotati, che mentre lei parlava, non sapevano dove andare a dormire. Ministri che nelle ore successive alla tragedia saltavano da una trasmissione all’altra. Berlusconi, che ufficialmente comunicava che per ragioni di tempo non poteva partecipare ai talk televisivi, rimaneva per decine e decine di minuti in collegamento telefonico con Porta a Porta, Matrix, ecc. Il fatto più penoso è accaduto nello speciale in prima serata di Bruno Vespa, quando Silvio Berlusconi, sempre in collegamento telefonico, chiede a conduttore se vi sono ministri in trasmissione. Alla risposta affermativa il premier, reduce da un Consiglio, chiede in diretta tv a Roberto Maroni di inviare, nelle zone colpite dal terremoto, entro la mattina successiva, milleduecento vigili del fuoco. E’ palese lo sconcerto del ministro degli Interni. Finita la telefonata Vespa gli chiede se è in grado di inviare i vigili, Maroni, ancora visibilmente contrariato, conferma che i milleduecento sono già in viaggio verso l’Aquila. Contemporaneamente a Matrix il ministro Gelmini racconta le decisioni prese dal Consiglio, che contrariamente a quello che ha appena detto Berlusconi a RaiUno, è avvenuto nel pomeriggio e non in tarda serata.

La sensazione di chi guarda la tv è di vivere in una fiction con tanto di colpo di scena in diretta, nella quale anche il telespettatore è coinvolto. E’ il reality dello stato di crisi. Silvio Berlusconi ancora una volta è sceso in campo e, come ha detto il presidente del Senato Schifani: “E’ nell’emergenza che dà il meglio di sé”. “E’ come un camping di fine settimana”, ha dichiarato il premier durante un’intervista ad una tv straniera. Dopo aver consigliato ad una madre di andare al mare ha detto alla sua bambina: “Così magari trovi anche un fidanzato”. Subito dopo la cerimonia funebre Berlusconi è andato in mezzo ai parenti delle vittime per le condoglianze: baci, abbracci e strette di mano. Mi dispiace, so benissimo che quello che sto per scrivere risulta fuori dal coro: tutto ciò sa di propaganda in vista delle prossime elezioni. Il grande comunicatore non perde un minuto, non si ferma neanche di fronte al dramma. Berlusconi è bravo ad usare il video, ma non è il presidente Obama, che quando in Iraq saluta i soldati americani e si mescola con loro abbracciandoli, è credibile. Berlusconi no, si ha sempre la sensazione di assiste ad uno spot sul “governo del fare”. In Italia come all’estero. Il presidente del Consiglio partecipa ai vertici internazionali e assomiglia più a un personaggio degli Amici del bar Margherita (l’ultimo film di Pupi Avati) che ad uno statista che incontra i colleghi per decidere le sorti dell’umana gente. Tutto questo non l’avrei dovuto scrivere perché, quando qualcuno si permette di criticarlo, si sente calunniato come ha dichiarato recentemente in una conferenza a Praga : “Io mi danno e la stampa parla di figuracce giocando contro l’interesse dell’Italia”. Il premier si sente vittima di una costante disinformazione. Sempre in quell’occasione ha aggiunto: “Niente più che calunnie” altrimenti potrebbe essere tentato dal compiere “azioni dure” contro giornali e giornalisti. Durante quei giorni, il comportamento del nostro statista ha ricordato più Totò che De Gasperi: urla, abbracci, gesti, battute, al punto tale che il Corriere della sera il 4 aprile ha dato una ragione al suo comportamento: “Il primo ministro è pop” e i suoi gesti “un misto di spontaneità mediatica elaborata da diabolici spin doctor”, che è ciò che in tanti hanno pensato, senza scriverlo, durante i giorni del terremoto in Abruzzo. La parola pop è riduttiva, non lo rappresenta efficacemente, non ci aiuta a capire il perché lui tutte le volte che partecipa ad un vertice internazionale si comporta in una certa maniera. Sarebbe sufficiente leggere come è stato definito dalla stampa estera: “imbarazzante, goliardico, penoso, ecc.”.

La telefonata con il premier turco Erdogan era tanto importante al punto da non essere interrotta, ma poteva essere fatta fermando semplicemente la macchina qualche centinaia di metri prima di arrivare al vertice Nato di Stoccarda. Che sia stata commessa una enorme gaffe lo si capisce osservando sia l’espressione del volto della signora Merkel, in uno dei tanti video che hanno fatto il giro del mondo, rimasta lunghi minuti ad attenderlo mentre lui le volgeva le spalle continuando a telefonare, che lo sguardo del primo ministro inglese Gordon Brown. Silvio Berlusconi non è pop e non mi convince l’interpretazione data da Nando Pagnoncelli, sempre al Corriere, delle cosiddette gaffe: “Interpretano l’umore popolare, e si saldano con un sentire diffuso”. Come dire che l’italiano non sa stare a tavola, che l’italiano è maleducato. Lui è il leader indiscusso del Pdl, amato dalla metà degli italiani che va a votare, della sua compagnia è sicuramente il migliore e il più competente, ma ultimamente ha “sboccato”, esagerato, interviene su tutto, trova il tempo per consigliare candidate per i reality in onda sulle sue tv; liquida il fedele Del Noce per non aver portato al Festival di Sanremo il coautore Mariano Apicella; convoca a palazzo Grazioli (la sua residenza privata), alcuni consiglieri Rai, ministri e sottosegretari per parlare delle future nomine della tv pubblica. Tutto ciò perché lui è pop? No. Berlusconi si sente solo al comando, governa il paese come se fosse una succursale di Arcore, grazie anche ad una opposizione praticamente inesistente. Solo così si può interpretare la gravissima risposta che ha dato al segretario della Cgil Epifani che a Roma, di fronte a due milioni di manifestanti, aveva chiesto al governo l’apertura di un nuovo tavolo per trattare: “Il tavolo glielo diamo in testa”.

Ma torniamo alle minacci nei confronti di quei giornalisti che si permettono di criticare il suo comportamento. Che accadrà a Michele Santoro e alla sua squadra che ad Anno Zero ha messo in luce, attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, l’approssimazione del coordinamento dei soccorsi in Abruzzo; che il dipartimento, coordinato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Bertolaso, deve pensare non solo alla protezione civile ma anche ai grandi eventi come il prossimo G8 in Sardegna o il campionato del mondo di ciclismo; che il governo nella finanziaria ha diminuito i fondi della protezione civile? Sicuramente di Santoro si occuperà il nuovo cda della Rai. Il terremoto aumenterà un po’ i tempi, ma come è sempre avvenuto nel passato dopo la nomina di un nuovo presidente e di un nuovo direttore generale, cambieranno anche i direttori di testate e reti. Per rendere indolore il cambiamento è stata già messa in atto la solita strategia tipica dell’era berlusconiana: accusare per poi colpire quei conduttori, giornalisti, comici, che danno voce a tutti e che non sono adomesticabili. L’unica rete Rai indipendente dalla maggioranza è RaiTre. L’onorevole Cicchitto si è scagliato contro Fabio Fazio per aver intervistato Di Pietro, dimenticando che la settimana prima come ospite a Che tempo che fa c’era il coordinatore del Pdl Bondi; le forze cammellate sono state schierate contro Milena Gabanelli per aver fatto il punto a Report sul sistema radiotelevisivo italiano; Lucia Annunziata non avrebbe dovuto intervistare lo scrittore Antonio Tabucchi a Mezz’ora senza contraddittorio. Gli esempi da citare sono tanti. Nessuna sorpresa, Berlusconi è ripetitivo, sta facendo esattamente quello che fece nel 2002. Cerchiamo di affrontare il problema per quello che è, cioè l’ennesimo tentativo contro il pluralismo, la libertà d’informazione. Lo dico soprattutto al centro-sinistra che sta facendo finta di non accorgersene. Nell’ultimo numero di Prima Comunicazione, Smile – lo pseudonimo usato dal direttore – scrive a proposito dei componenti del cda della Rai appena nominati: “Ho commentato sulla composizione di almeno quattro nuovi consigli di viale Mazzini, eppure non finisco mai di stupirmi dell’inadeguatezza delle nomine. Non sto ovviamente mettendo in dubbio la qualità dei singoli, ma la relazione tra queste qualità e quelle necessarie per sedere in un consiglio di amministrazione”. Alle parole di Smile aggiungo che alcuni consiglieri uscenti e riconfermati, sono stati protagonisti della vicenda Meocci (il direttore generale che per legge, essendo uscito dall’Autority da solo quattro mesi, non poteva essere nominato) per quel voto fecero condannare la Rai ad una ammenda di circa quindici milioni di euro. Motivo per cui non avrebbero dovuto essere presi in considerazione, ma la politica ha un concetto diverso di etica e morale.

L’onda lunga delle minacce cominciò nel 2001 subito dopo la vittoria del centro-destra ma Berlusconi, nonostante il suo scalpitare, solo dopo la scadenza naturale del cda della Rai (febbraio 2002), riuscì a mettere i suoi uomini al comando del servizio pubblico. Con l’arrivo dell’accoppiata Antonio Baldassare presidente e Agostino Saccà direttore generale, il Cavaliere calò la mannaia dell’editto bulgaro, determinando la fine delle trasmissioni di Biagi, Santoro, Luttazzi e di tante altre che non partirono nemmeno. Furono inutili i richiami dell’allora presidente della Repubblica Ciampi, prima alle istituzioni, poi ai politici, infine ai giornalisti sollecitati a tenere la schiena dritta. Nel frattempo il male oscuro dell’autocensura si diffondeva rapidamente all’interno delle redazioni fino a diventarne la normalità. Lo si è visto al Tg1 quando il tanto vituperato “paninaro” Mimun fu sostituito dall’acclamato Gianni Riotta, che in breve tempo trasformò il panino in un “magnum fast food” tipo Mc Donald’s, riempiendo il telegiornale di politica e di cronaca (per fortuna è arrivato Barak Obama sulla scena internazionale a portar via un po’ di spazio ai fatti di Cogne, Erba, Garlasco, Perugia ecc.), facendo diventare il portavoce di Berlusconi Paolo Bonaiuti e il presidente dei senatori Maurizio Gasparri, i nuovi filosofi della politica grazie ai loro bonsai governativi in onda in tutte le edizioni. Da quando Berlusconi è tornato al governo in tanti si sono scandalizzati per le sue continue dichiarazioni: prima contro il recidivo Santoro “Fornisce un’immagine del Senato della Repubblica volutamente inesatta e denigratoria”; poi contro il servizio pubblico “La Rai mette ansia, depressione e violenza”, “Contro di me un complotto dei conduttori di sinistra”, “Un passaparola per insultarmi”. Gli stessi che si scandalizzano dimenticano che nel nostro paese non esiste più la democrazia, qualcuno la scambia con l’oligarchia, altri dicono che è stata sostituita da un moderno fascismo, io invece penso che viviamo in un telegime, nel regime della televisione e la conferma l’hanno data le tv in questo periodo di tragedia.

Indignazione automatica

Continuo a rimanere esterefatto dalle polemiche che AnnoZero ha suscitato in seguito all’ultima puntata, dedicata al terremoto abruzzese.
Innanzitutto mi pare alquanto grottesco il fatto che Gasparri accusi Santoro di dire falsità. Proprio lui che ogni volta che apre bocca lo fa per continuare una ridicola quanto inopportuna propaganda e per demonizzare coloro che si sono di sinistra, proprio lui che, così facendo, fa un servizio ridicolo alla verità perché non si basa sui fatti ma sulle sue opinioni, sul sentito dire, sui soliti clichè. Poi bisognerebbe anche capire se, effettivamente, Santoro ha riportato cose false nel suo programma. E non sembrerebbe essere così, anzi, sembrerebbe che le cose che sono state dette siano vere, io stesso l’ho sentito dire con le mie orecchie da un’amica di Teramo. Poi una cosa mi sfugge. Come mai il senatore Gasparri se la prende con le “falsità” di AnnoZero senza dire una sola parola sulle mille falsità che ogni settimana vengono dette a Porta a Porta o a Matrix. Segno che dunque quei due programmi, nonstante le tante inesattezze, godono del favore dei vari potenti, ai quali vanno bene le nefandezze di Vespa e di Vinci, ma non quelle di Santoro.
Altro fenomeno è Cicchitto. L’ex (?) piduista ha dichiarato che AnnoZero è un programma tendente a destabilizzare il quadro politico. Sembra quasi di sentire Riina lamentarsi del pizzo.
In ogni caso mi sembra che la preoccupazione della destra sia che nessuno esca dai paletti informativi posti dal potere. Non si deve uscire dal coro, come dice Rotondi. Bisogna dare ad ogni costo l’impressione che tutto è sotto controllo, che tutto procede per il meglio, che la situazione non è poi tanto grave, che tutto si risolverà prima del previsto. Sono queste tendenze dell’informazione aziendale e governativa a insospettirmi, più che le inchieste di Ruotolo. Perché tutto deve andare bene per forza? Perché la minima critica all’azione della protezione civile (non dei volontari, si badi, ma dell’organizzazione dei soccorsi) ha suscitato questo vespaio di polemiche, queste indagini da parte delle commissioni di garanzia, cosa che raramente accade nei confronti di altri programmi, altrettanto o maggiormente faziosi di AnnoZero, ma protetti dai potenti e considerati per questo autorevoli. E’ la libertà d’informazione che fa paura? E’ quella che vogliono limitare? Francamente se il PdL non si fosse agitato così tanto avrei passato quell’informazione come una delle tante, senza farci tanto caso. Invece è proprio la reazione spropositata che mi fa riflettere.

sabato 11 aprile 2009

Tutti colpevoli, nessun colpevole..

Di Rita Guma

Lo sgomento per quanto accaduto e accade in Abruzzo mi ha indotto al silenzio per tutti questi giorni. Ho personalmente vissuto il terremoto del 1980 (7° grado della scala Richter), che ebbe il suo epicentro in Irpinia ed uccise 2.800 persone in Campania e Basilicata, ne feri' 8.800 e provoco' circa 280.000 sfollati e 680 Comuni "disastrati".

In quei giorni non ho solo vissuto il terrore delle scosse, della terra che visibilmente si muove sotto gli occhi, e rischiato di perdere dei familiari, ma anche avuto amici che hanno perso tutto. Ho anche visto il dopoterremoto, con case-container che sarebbero dovute servire a gestire l'emergenza ed invece sono divenute le abitazioni definitive per tante persone, mentre miliardi venivano dirottati in altre direzioni.

E non solo i miliardi stanziati dallo Stato, ma anche quelli dei donatori esteri. Secondo il docente statunitense Rocco Caporale, che indago' sulla gestione di 300 mila dollari (di allora) stanziati per i terremotati da parte della National Science Foundation, "Solo il 50 per cento dei fondi e' andato dove doveva andare, il resto e' stato dissipato. Il dopoterremoto e' stato una cuccagna sulla quale hanno mangiato tutti: il 20 per cento del denaro e' finito in tasca ai politici, un altro 20 per cento e' andato ai tecnici della ricostruzione. Camorra, imprese del Nord e imprenditori locali si sono mangiati il resto" (da 'Irpiniagate', di Goffredo Locatelli).

Fino ad oggi lo Stato ha invece stanziato piu' o meno 60.000 miliardi di vecchie lire, cui debbono aggiungersi i finanziamenti erogati dalla Regione Campania, e ancora a novembre 2008 la Corte dei Conti parlava di una ricostruzione "inspiegabilmente lenta e costosissima" e si chiedeva perche' "continuano ad essere finanziati con nuovi stanziamenti gli interventi di ricostruzione".

Lo scandalo della gestione dei fondi porto' ad inchieste giudiziarie, processi e interrogazioni parlamentari con una proposta di commissione d'inchiesta bocciata dai politici campani come De Mita e Mastella... Per fare un esempio di come furono usati i finanziamenti della legge 219/81 per la ricostruzione post terremoto dell'Irpinia (3 miliardi e 700 milioni di euro), una parte di quelli per la riedificazione delle imprese distrutte o danneggiate furono incamerati dalla Parmalat per costruire uno stabilimento... mai esistito prima: Calisto Tanzi ottenne 10 miliardi, ma, mentre il terremoto si verifico' nel novembre dell'80, Tanzi (da Parma) impianto' a Nusco (paese natale di De Mita), lo stabilimento Dietalat, che divenne operativo solo nell'86.

E il terremoto dell''80, come tutti gli altri che lo hanno preceduto e seguito, non ha insegnato niente (tranne che sulle disgrazie si puo' prosperare senza nemmeno essere puniti per sciacallaggio) ad una classe di politici che - pur passata dalla prima alla seconda repubblica - non ha varato tutte le norme che dovevano essere varate, non ha vigilato e spesso si e' fatta complice (con la corruzione sugli appalti e con il dirottamento di fondi) di chi poneva le fondamenta per il disastro.

Con queste esperienze credo che chiamare speculazioni le polemiche, i dubbi e le accuse sia vergognoso e sia un indecente tentativo di depistaggio dalle vere responsabilita'. Percio', a freddo, vorrei fare alcune considerazioni prendendo spunto dal discorso del Capo dello Stato e dalle sue risposte ai giornalisti. In entrambi mi pare che risalti la volonta' di difendere la classe politica ed in particolare Guido Bertolaso, il capo della protezione civile.

"Ho avuto modo di constatare, ancora una volta, quale garanzia rappresenti un’assunzione di particolari responsabilità direttive e operative in queste circostanze da parte del capo della Protezione civile, sottosegretario Bertolaso" ha detto in un passaggio del suo discorso ai terremotati Giorgio Napolitano, ed in un altro: "Quindi, il mio ringraziamento e la mia ammirazione per la popolazione e ancora il mio apprezzamento senza riserve per le autorità di governo e per il capo della protezione civile."

Quello che stupisce e' che il presidente prenda una posizione netta a difesa di un personaggio, Bertolaso, che non lo dimentichiamo e' indagato a Napoli per la gestione dei rifiuti e che guadagna profumatamente per il ruolo che riveste ed e' TENUTO a fare cio' che sta facendo, mentre Napolitano sembra trattarlo come un volontario, un eroe che presti la sua opera gratuitamente assumendosi responsabilita' non sue. Il presidente si spinge fino a citare la questione della "profezia" di Gianpaolo Giuliani, il tecnico che aveva previsto il terremoto proprio nel teritorio dove si e' poi verificato.

Secondo Napolitano, "come dicono il Comitato Grandi Rischi, l’Istituto di Fisica e tutti coloro che seguono questi fenomeni - si prevengano disastri per le popolazioni nell’unico modo possibile: non con fantasiose profezie o con impossibili previsioni, ma apprestando i mezzi indispensabili perché le case e gli edifici resistano.". Mi chiedo come mai Bertolaso meriti tanto impegno e lo schierarsi netto da parte del Capo dello Stato che - per essere garante della Costituzione, ma anche di noi tutti - dovrebbe essere super partes ed attendere il pronunciamento della magistratura e della scienza.

Si', perche' la scienza non e' solo quella italiana, che si e' subito schierata contro Giuliani (e piu' o meno indirettamente a favore - occorre dirlo? di Bertolaso, del governo e delle autorita' locali, perche' se Giuliani avesse ragione sarebbero tutti colpevoli di non aver tenuto alta la guardia), ma la scienza e' - in un mondo globalizzato - internazionale. Di Giuliani e' stato detto che non e' laureato e che e' un imbecille, ed e' stato anche denunciato per procurato allarme.

Personalmente sono ingegnere, quindi laureata ed abilitata all'esercizio della professione. Ma - guardando la storia dell'umanita' - centinaia di scienziati che hanno posto le fondamenta della fisica, della matematica e di altre branche del sapere, etc etc non erano laureati: hanno avuto intuizioni e sviluppato teorie senza cui non esisterebbero le scienze senza essere laureati (o senza essere ancora laureati, come Isaac Newton e Albert Einstein, per non parlare di Leonardo Da Vinci e tutti i filosofi e matematici dell'Egitto, della Grecia e dell'Umanesimo). E quante ventinaia di migliaia di inventori non erano laureati? La maggioranza, probabilmente.

Quindi Giuliani non e' laureato e non e' uno scienziato (perche' al massimo si potrebbe definire uno studioso, come la maggior parte di coloro che in Italia vengono invece definiti o peggio si autodefiniscono scienziati). Cio' non toglie che, grazie ad un dispositivo basato su una teoria attendibile, egli abbia previsto il terremoto. Ora, tutti questi scienziati debbono spiegare a me - che sono un tecnico laureato - quante probabilita' c'erano che una persona riuscisse a prevedere il terremoto con una tale approssimazione sia temporale che geografica. Vogliamo dire una su un miliardo? (la butto li', ma forse e' ancora inferiore). Mi devono spiegare come mai ci sia riuscito se non ha doti divinatorie. Non e' che Giuliani abbia lanciato l'allarme altre volte senza esito. Era la prima volta, e "ci ha preso".

E' ovvio che la scienza ufficiale possa affermare solo cio' che fino ad oggi era ritenuto vero, ma questo non significa che da oggi in poi non possa essere diverso, la storia ce lo insegna. E' peraltro vero che - a parte i tradizionalisti, che in buona fede esitano per natura a riconoscere scoperte rivoluzionarie - ci siano pure coloro che fanno resistenza per l'invidia di non aver fatto loro la scoperta, ed infine ci sono quelli che si schierano per piaggeria, o per mantenere finanziamenti o altri tipi di sostegno da parte dell'autorita', in questo caso il famoso Bertolaso e il governo di cui questi fa parte.

Come tecnico fuori dai giochi, invece, penso che bisognerebbe studiare l'idea di Giuliani e credo che lo faranno all'estero, dove le pressioni italiane conteranno poco o nulla. Ed il presidente Napolitano avrebbe dovuto mostrare piu' cautela, prima di associare il suo nome alla tesi contraria, quella che difende Bertolaso.

Un'ultima parola sulle "responsabilita' diffuse". Rispondendo ai giornalisti, il presidente della Repubblica ha detto che "deve esserci un esame di coscienza che non conosce assolutamente coloriture e discriminanti politiche: qui non si tratta di vedere chi ha avuto ragione e chi ha avuto torto, chi ha delle responsabilità e chi non ne ha. Ho sentito un esponente dell’opposizione, che di solito non è molto incline a fare affermazioni del genere, dire: 'Nessuno è senza colpa'. Credo che, in questo caso, avesse ragione".

Chi legge potrebbe condividere e magari provare un moto di soddisfazione, pensando che il presidente si riferisca a responsabilita' della destra e della sinistra, dei politici e degli amministratori, ma egli poi afferma "Non si tratta di liberarsi da ogni possibile responsabilità, si tratta di vedere effettivamente come sia potuto accadere che norme di prevenzione che erano state, a suo tempo, identificate, studiate e anche tradotte in legge, non abbiano avuto l’attuazione indispensabile, o per difetto di controlli o per irresponsabilità diffuse, perché molti sono i soggetti che sono interessati e coinvolti nella costruzione di un palazzo o nell’acquisto di una casa, e nessuno dovrebbe in questi casi chiudere gli occhi: né chi acquista, né chi costruisce, né chi è chiamato a fare i controlli".

Il presidente Napolitano cita anche "chi acquista", coinvolgendo cosi' tutti i terremotati, cioe' le vittime. Forse il presidente andando al Quirinale si e' servito di prestigiosi architetti e ingegneri che gli hanno dato garanzie sulla stabilita' dell'edificio sul Colle? Non credo, ne' credo che egli sia in grado di fare da solo tale valutazione. Si e' semplicemente fidato, eppure dovrebbe porre doppia attenzione a salvaguardare la sua vita, che e' anche un 'bene' dello Stato.

E quindi i cittadini, a maggior ragione, che ne possono sapere di quali siano le condizioni della casa che acquistano? Dovrebbero pagarsi una perizia (magari facendo venire il tecnico da fuori provincia o regione, perche' tutti sappiamo che in moltissimi comuni italiani, al nord come al sud, i progettisti sono ammanicati con il Comune, se non addirittura ne fanno parte)? Secondo il presidente non lo fanno perche' vogliono morire sotto le macerie? E poi, cosa dire degli ospedali? Occorre farli periziare prima di farsi ricoverare?

Forse il presidente voleva intendere qualche altra cosa, ma cosi' come si e' espresso nel discorso che ho letto (e cosi' come hanno riportato a caratteri cubitali tutti i titoli dei giornali) richiama il detto "tutti colpevoli nessun colpevole". Quindi non colpevoli i governi passati e presenti, non colpevoli i parlamentari di destra e sinistra, non colpevole Ottaviano Del Turco, non colpevole Guido Bertolaso. Cosi', in modo bipartisan, proprio come ci si aspetta da un presidente...

Sulle polemiche verso la protezione civile

Mi Sembra che alcuni italiani vogliano essere di parte a tutti i costi. L’altra sera guardavo AnnoZero e non mi è affatto sembrato che Santoro o chi per lui ce l’avesse con i volontari della protezione civile. Da quello che mi è sembrato di capire le critiche venivano rivolte prevalentemente al fatto che in certe zone non vi era affatto organizzazione e non c’erano addirittura nemmeno i mezzi per spostare le macerie, il che rendeva inutile la buona volontà dei volontari. Inoltre mancava anche la necessaria prevenzione, ovvero un’esercitazione o una maggiore informazione sui pericoli del terremoto, il che sarebbe stato doveroso visti i 4-5 mesi di sciame sismico. Tutto ciò chiaramente va al di là delle previsioni del tal giuliani e, in effetti, mi sembrava esagerata la difesa di Santoro nei confronti di questo scienziato. Ad oggi la scienza non può prevedere i terremoti, ma il metodo Giuliani dovrebbe comunque essere approfondito e studiato. In ogni modo penso sia stato giusto non dar credito alle previsioni di Giuliani perché esse erano inattendibili e infatti non si sono affatto rivelate esatte. Nondimeno penso che chi lo ha denunciato abbia esagerato, non so per quale motivo l’abbia fatto. Comunque la magistratura studierà il caso penso molto attentamente e se questa denuncia si rivelerà infondata mi auguro che si proceda per calunnia. Tutto ciò comunque conferma che la varietà e la libertà d’informazione in Italia sono un optional, spesso nemmeno tanto richiesto dagli stessi cittadini. Il che mi fa temere la deriva verso il pensiero unico e rassicurante, confezionato molto bene da Matrix e da Porta a Porta.

giovedì 9 aprile 2009

Paradisi fiscali e riciclaggio di denaro sporco: le ambiguità del G20 e le “liste” dell’Ocse

Il G20 di Londra, riunito i primi di aprile nella capitale britannica per cercare di dare una risposta concreta alla travolgente crisi finanziaria, ha lanciato la “guerra santa” contro i paradisi fiscali e i centri offshore. Basandosi su un rapporto dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa, sono stati individuati quattro differenti categorie di paesi in relazione agli standard internazionali sullo scambio di informazioni per fini fiscali. I paesi meno collaborativi sono quelli inseriti nella cosiddetta “lista nera”: Costa Rica, Malaysia, Filippine e Uruguay.

Proprio ieri, nel timore di sanzioni da parte delle maggiori potenze mondiali, la “banda dei quattro” ha annunciato l’adeguamento agli standard internazionali. Come riporta l’Ocse, gli standard riguardano lo «scambio di informazioni su richiesta in tutte le materie fiscali per l’amministrazione e lo sviluppo di legislazioni fiscali interne senza considerare requisiti di interesse fiscale interno o segreto bancario per scopi fiscali». Le quattro categorie di giurisdizioni individuate riguardano: i paesi “virtuosi”, quelli cioè che hanno sostanzialmente attuato gli standard internazionali condivisi. A questi fanno seguito quei paradisi fiscali impegnati a seguire gli standard internazionali senza averli tuttavia ancora attuati.

Seguono poi gli altri centri finanziari, non ritenuti paradisi fiscali, ma che come i primi, hanno preso l’impegno di seguire gli standard internazionali senza averli tuttavia ancora attuati. Infine i quattro paesi che non hanno accettato gli standard internazionali, ma che da ieri si sono impegnati a rispettare, rendendo di fatto vuota la tanto famigerata lista nera. Per il G20, quindi, la lotta ai paradisi fiscali e ai centri offshore è diventata una questione di vitale importanza. Come scrive l’economista Loretta Napoleoni dalle pagine di Internazionale «da qualche mese tutti dicono che bisogna riformare i mercati, e nel mirino dei politici sono finiti i paradisi fiscali e i titoli derivati.

Viene da chiedersi se basterà così poco per rimettere in carreggiata la finanza mondiale». Perché, dopo molte ipocrisie, i grandi del mondo hanno deciso di attaccare frontalmente i paradisi fiscali? Semplicemente perché è il modo più semplice per racimolare denaro liquido da riversare in un sistema economico a corto di liquidità. Secondo il quotidiano francese Le Monde, in questi centri transita il 50% dei flussi finanziari mondiali, un cifra valutata approssimativamente in 10.000 miliardi di dollari. Una spaventosa enormità di denaro. Un centro finanziario può essere definito paradiso fiscale se presenta un sistema fiscale leggero o inesistente, un rigido segreto bancario e la mancata collaborazione con altri paesi nella lotta all’evasione.

Ai paradisi fiscali vanno collegati due fenomeni figli di quello che Loretta Napoleoni ha definito “economia canaglia”: l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro sporco. Spesso i due fenomeni sono fortemente correlati tra loro. I fondi sporchi frutto dei traffici criminali hanno la capacità di «destabilizzare le economie, indebolire l’integrità del sistema finanziario internazionale, sovvertire le regole del commercio internazionale e corrompere i governi». L’allarme viene lanciato dal Dipartimento di Stato americano nell’annuale International Narcotics Control Strategy Report, nel volume dedicato al riciclaggio di denaro sporco e ai crimini finanziari. Nel rapporto vengono individuati 60 paesi considerati come i maggiori riciclatori di proventi illeciti, in cui le «istituzioni finanziarie sono impegnate in operazioni valutarie che coinvolgono significativi proventi del traffico internazionale di narcotici» e comunque dei traffici illeciti in generale.

Tra i 60 paesi individuati dal Dipartimento di Stato sono presenti molti di quelli considerati virtuosi dall’Ocse, tra cui Usa, Gran Bretagna, Italia. La connessione tra riciclaggio ed evasione fiscale viene ripetutamente affrontata: «il riciclaggio di denaro è lo strumento tramite il quale i criminali evadono il pagamento delle tasse su profitti illegali nascondendo la fonte e l’ammontare del profitto. Il riciclaggio è infatti evasione fiscale in progress». Altro dato allarmante è la capacità dei riciclatori di penetrare in ogni sistema finanziario, trasformando, di fatto, ogni giurisdizione in un potenziale centro di riciclaggio.

Quindi, partendo dal postulato che evasione fiscale e riciclaggio di denaro sporco sono strettamente connessi e che potenzialmente ogni paese può essere utilizzato come centro di riciclaggio, siamo testimoni della pochezza del risultato sbandierato dal G20. Inoltre, c’è il rischio che nel tentativo di battere cassa ed ottenere un’iniezione di liquidità i governi saranno ben disposti ad utilizzare quei fondi di provenienza illecita nel circuito legale, dando così vita ad un processo globale di riciclaggio di denaro, ed aprendo le porte dei sistemi finanziari alle grandi organizzazioni mafiose.

di Gaetano Liardo


Tratto da www.liberainformazione.org

Intervista a Lirio Abbate

Lirio Abbate, serve il coraggio di cambiare registro

Sicilia, mafie e giornalismi. Il ruolo dell’informazione locale e i processi che le tv non seguono più

E' il 2007 e sotto un’ auto parcheggiata c’è un ordigno funzionante e in grado di esplodere. Siamo nel quartiere della Kalsa a Palermo e il proprietario dell’automobile è un giornalista, fa il cronista all’Ansa e si chiama Lirio Abbate, pochi mesi prima ha pubblicato un libro che si chiama “I complici” scritto con il collega Peter Gomez. Dentro c’è il racconto di tutte le connivenze, politiche e di professionisti, che hanno permesso a Provenzano di restare latitante per 40 lunghissimi anni. Due mesi dopo Leoluca Bagarella, durante l’udienza di un processo che lo vede imputato, nonostante l’isolamento del 41 bis minaccia lo stesso cronista per alcune notizie pubblicate dall’agenzia poco tempo prima.

Questa è una storia di mafie e informazione in Sicilia e non è la sola. In questi trent’anni di luci e ombre il ruolo del giornalismo nella lotta alle mafie è diventato sempre più centrale, soprattutto nel racconto della zona grigia preziosa per la nuova mafia. Ne parliamo con Lirio Abbate, collaboratore de La Stampa e cronista dell’Ansa di Palermo, invitato alla sei giorni perugina del Festival internazionale del giornalismo.

Davanti al tribunale del capoluogo umbro in questi giorni sono accalcate le maggiori emittenti nazionali e internazionali per seguire le fasi del processo Meredith. Quante ce ne sono davanti a quello di Palermo dove sono in corso processi che raccontano della trattativa, presunta, fra la mafia e parti dello Stato e altri fatti rilevanti per interesse pubblico nazionale?


Beh, quelli sono processi che le televisioni non seguono. Non stanno seguendo quello contro il generale Mario Mori e colonnello Mauro Obino. Lo stesso vale per il processo d’ appello del senatore Marcello dell’Utri. Così come non seguono tanti altri procedimenti penali che riguardano fatti di mafia.

Perché?

Io non sono un giornalista radiotelevisivo dunque non so spiegarti tecnicamente perché loro ritengano di non doverli seguire. Posso ipotizzare - come dice qualcuno in Rai - che le notizie di mafia non facciano audience, non siano più di moda, per cui queste cose comunque non vadano, secondo i direttori, trattate a fondo mentre un omicidio, di importanza e rilevanza, non danneggia nessun uomo politico, nessun appartenente alle istituzioni o ex appartenente alle forze dell’ordine. E’ molto più facile speculare su questi processi che su altri dove ci sono i fili scoperti dell’alta tensione.

Non fanno notizia ma danno fastidio alle mafie. Quaranta colleghi si sono trovati in questi due anni minacciati, intimiditi, in questo elenco ci sei anche tu, dal 2007 sotto scorta. Com’è dare le notizie con la scorta?

Si danno lo stesso, si trovano comunque. Se sai lavorare le notizie le trovi ugualmente, anzi a maggior ragione sei più sereno sai che qualcuno ti guarda le spalle mentre lavori e cerchi le notizie. Chi vuole spettacolarizzare la scorta fa tutto un altro mestiere, non è giornalismo quello.

Uno dei giornalisti che quotidianamente denuncia mafie e collusi in Sicilia – Pino Maniaci di Telejato - è stato di recente accusato di “esercizio abusivo della professione”. Qual è tua opinione in merito?

Penso che non bisogna imbavagliare nessuno. Però bisogna ricordare che se la magistratura ha rinviato a giudizio Maniaci è perché esiste una legge per cui se fai un professione e la fai arbitrariamente, non sei in regola. Ci sono delle regole - detto ciò ovviamente - il giornalismo in Italia non ha bisogno di tessere e nessuno deve imbavagliarlo, neanche la magistratura.


Nel rapporto presentato qui al Festival dall’Osservatorio sui cronisti minacciati, si fa riferimento all’atteggiamento tenuto in questi anni dalle testate regionali, Giornale di Sicilia e La Sicilia, in particolare. Qual è stato il rapporto di questi quotidiani con i temi di mafie e antimafia in questi trent’anni?

Tutti i giornali locali danno le notizie di mafia. La cronaca è assicurata da tutti. I giornali siciliani raccontano la notizia per quello che è. Il problema è analizzare e contestualizzare queste notizie. E ricordarle, talvolta, quando qualcuno ad esempio si candida, se per esempio, ha avuto problemi di mafia: dire chi è o chi sta candidando, spiegare i collegamenti


Questo viene fatto dai giornali siciliani attualmente?


Questo manca. Manca un’analisi e un approfondimento dei fatti di cronaca, ma sul fatto di cronaca tutti i giornali ci sono. Manca una lettura a 360° gradi dei fatti raccontati.



Tratto da www.liberainformazione.org

Imposte e tasse: caos calmo

di Rodolfo Roselli

Vi siete mai domandati perché la gestione dei tributi sia così complicata e difficile, sia per chi deve sapere quanto deve dare, sia per chi deve controllare che i tributi siano stati pagati ?

Tutta questa complicazione è un costo che pagano tutti indistintamente, è uno spreco costante e a volte crescente. Un creditore intelligente avrebbe tutto l'interesse a incassare il più rapidamente possibile , perché ogni giorno di ritardo sono interessi che si perdono, il che equivale a dire che si incassa di meno.

Ma lo stato italiano non vuole essere un creditore intelligente. Tutti i governi hanno promesso una semplificazione del fisco ma, non solo nessuno ci è riuscito, ma anno dopo anno la situazione peggiora. Basti pensare che nel 1993 ci fu una tale protesta popolare contro il complicatissimo modello 740 della dichiarazione dei redditi, da coinvolgere direttamente anche il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, allora era in carica il governo Ciampi, e il ministro Franco Gallo riuscì a ridurre il modulo a 32 pagine, ma nel 1994 diventarono 64, nel 2000 118, nel 2005 127 , oggi sono 141 pagine.

Ma la semplificazione fiscale non è gradita ai nostri parlamentari che, in occasione di ogni legge finanziaria devono dimostrare che esistono, altrimenti nessuno se ne accorgerebbe. E allora la legge finanziaria e di conseguenza la dichiarazione dei redditi ,si arricchisce di una nuvola di detrazioni , le più cervellotiche possibili, che vanno dalla televisione digitale alle spese sportive dei figli, detrazioni che devono tutte essere corredate da dichiarazioni, documenti etc. e che per la loro complessità è facile che non siano conosciute da tutti coloro che ne potrebbero usufruire.

I parlamentari, per giustificare solo la loro presenza, mirano ad introdurre sgravi fiscali di volta in volta indirizzati ad una specifica categoria di persone, e sono molto attenti che ciascun sgravio sia di piccola misura , in modo da dimostrare che costerebbe poco allo stato e quindi farlo passare inosservato. Ma purtroppo questi trucchi si sono talmente diffusi che gli sgravi sono diventati tanti e di conseguenza non solo la loro somma non è irrilevante , ma la normativa che trascinano dietro diviene astrusa per i contribuenti, difficoltosa da applicare per gli uffici e fonte di discussioni, contestazioni, errori di ogni tipo. Tutto questo rende obbligatorio ricorrere ad un commercialista che, dietro compenso, consente al debitore dello stato di essere in grado di pagare, cioè un debitore paga per pagare.

Anche un deficiente potrebbe suggerire che sarebbe meglio abbassare le aliquote per tutti, in modo da assorbire mediamente tutti gli sgravi e questo non solo semplificherebbe il lavoro di tutti, ma eviterebbe l'odioso mercimonio dei favori a tizio e a caio, con un desiderio universale d'arrembaggio perché nessuno ovviamente vorrebbe alla fine essere quello meno favorito o più danneggiato. Ma gli sgravi rivolti a tutti portano poca popolarità, e senza accaparrarsi la popolarità non si vincono le elezioni.

Se la medesima somma, invece di distribuirla equamente a tutti, la si suddivide furbescamente in piccole porzioni, più consistenti, ma elargite solo agli amici sicuri, l'effetto propagandistico è molto più forte. Non importa che in questo modo la maggior parte dei contribuenti non riceverà nulla , ma quello che conta è che siano remunerati quei gruppi ristretti che, in finzione di queste elargizioni, possano cambiare le proprie scelte elettorali in modo significativo. Insomma prima di ogni turno elettorale c'è il grande torneo del voto di scambio fatto con denaro pubblico, ove da una parte c'è la prostituzione degli elettori, che in funzione di chi non fa pagare le tasse, cambiano i propri "sacrosanti" ideali politici, e dall'altra parte ci sono i clienti di questa prostituzione, che attingendo dal portafoglio dello stato il denaro pagano questi elettori squillo.

Ma esiste anche un altro trucco per aumentare le tasse senza farsene accorgere. Infatti se si istituisce una nuova imposta , alla gente sembrerà meno impopolare che aumentarne una vecchia. Perché è convinzione diffusa che le grandi imposte riguardano tutti ed è più probabile, anzi certo, che resteranno per sempre, mentre una imposta nuova, specialmente se fatta credere come provvedimento temporaneo, forse non riguarderebbe tutti e potrebbe poi scomparire. E infatti di questo passo oggi ancora paghiamo tributi per la guerra d'Abissinia o per il risarcimento dei danni del terremoto di Messina del primo novecento.

Paradossalmente tutte queste complicazioni sono la causa principale per alimentare l'evasione fiscale. E' infatti falso affermare che l'evasione fiscale in Italia è causata dalle tasse troppo alte rispetto alla pressione fiscale europea. La prova è che negli anni '70 e '80, l'evasione fiscale era egualmente altissima nonostante che le aliquote italiane fossero più basse di quelle europee. Il motivo era ed è sempre la confusione delle norme e degli adempimenti fiscali che favoriscono i furbi e danneggiano i contribuenti onesti. E questa complicazione, che quindi danneggia anche gli incassi fiscali, è talmente nota a tutti i nostri governanti , che spesso le aliquote fiscali sono state fatte salire in modo eccessivo, solo per tentare di recuperare le entrate perdute a causa di questo tipo di evasione. Insomma non potendo incassare dai furbi, è meglio far pagare di più gli ingenui e gli onesti.

In Italia il fisco è uno strumento politico formidabile per convogliare voti verso i partiti, tanto efficace da avere come conseguenza che, per punire i ceti elettorali ostili ad una certa parte politica, si tollera invece l'evasione delle categorie elettorali amiche. Tutto questo è per esempio avvenuto negli anni cinquanta ad opera della Democrazia Cristiana che non contava sul voto dei grandi capitalisti e degli operai, categorie quindi da punire fiscalmente, mentre corteggiava il voto degli agricoltori e dei commercianti e in generale dei lavoratori autonomi. Non a caso ci fu il travolgente successo della Coldiretti.

In quell'epoca la bassa tassazione e le norme fatte per facilitare l'evasione, hanno dunque favorito il lavoro autonomo, piccoli negozi, piccole imprese artigiane che spesso potevano sopravvivere solo perché erano in grado di evadere le tasse più facilmente. Del resto, in Italia il tasso di lavoratori autonomi è del 24,6 %, contro la Spagna che è al 17,8, la Germania al 10, e Francia e Stati Uniti ancora meno. Tra l'altro l'evasione fiscale tollerata nel lavoro autonomo, fa comodo anche ai lavoratori dipendenti, in quanto larghe fasce di loro fanno un secondo lavoro prevalentemente in nero. E così la cosa paradossale è che le centrali sindacali fanno adunate oceaniche contro l'evasione fiscale chiamando a raccolta di volta in volta i lavoratori dipendenti o gli autonomi, tutti intimamente convinti esattamente del contrario, e attenti che la situazione non cambi troppo perché ne sarebbero tutti danneggiati.

Questa è la ragione per la quale da sempre della lotta all'evasione fiscale tutti sono paladini, ma nessuno nei fatti alza un dito per ridurla sul serio. Il Centro Studi della Confindustria ha rivelato che una famiglia di lavoratori dipendenti paga allo stato tra tasse e contributi il 53% di quanto guadagna. La contabilità nazionale indica la pressione media fiscale del 43%, quindi vuol dire che molti altri pagano meno del 43 % e non appartengono al settore delle famiglie di dipendenti. Ma indipendentemente dalla evasione, le famiglie dei dipendenti pagano di più perché il sistema di prelievo fiscale, con la ritenuta alla fonte, è più semplice sia per chi deve dare, ma soprattutto per lo Stato che deve ricevere, e quel che riceve è quasi il totale del dovuto.

I non dipendenti hanno un regime fiscale di accertamento complicatissimo, facilmente eludibile con l'evasione, e anche la stessa evasione, una volta scoperta, si infila in un dedalo di eccezioni, ricorsi, dilazioni etc. tali che se lo Stato ha diritto a ricevere 100, a mala pena e con molto ritardo non raggiunge ad incassare meno di un decimo.

Ovviamente la complicazione del sistema tributario italiano si trasferisce automaticamente anche sulla efficienza dei controlli che dovrebbero essere sistematici , ma in queste condizioni diventerebbero impossibili e onerosi, e allora abbiamo anche il caos dei controlli, e questi ovviamente diventano uno strumento settoriale politico, fatti a campione, su determinati campioni di un certo colore, accentuati in certi periodi per fare notizia, somigliando alle grida manzoniane, e tutti ricordano la famosa legge "manette agli evasori" del Ministro delle Finanze Formica, oggi oggetto da museo. E quando una montagna di leggi e regolamenti non possono essere fatte rispettare perché mancano i controlli , sarebbe dunque molto intelligente averne di meno ma inderogabili.

Ma come ho detto, lo Stato non deve essere intelligente. Però sono molto intelligenti, anzi furbi, tutti i nostri politici che sono stati sempre consapevoli del fatto che questo caos non è mai stato capace di distribuire equamente i tributi, non è mai stato in grado di ottenere le risorse corrette per il funzionamento dello stato. (...) Con questo sistema di gestione economica assurdo non ci si deve poi meravigliare che esista il caos dei furbi, né ci si deve meravigliare che non è solo il lavoro autonomo che avrebbe più possibilità di evadere. Al Sud dove è preponderante l'impiego in nero, anche datori di lavoro e dipendenti nascondono i loro redditi o non pagano correttamente i contributi. Al Nord, non è una eccezione che lavoratori dipendenti regolarmente impiegati abbiano anche entrate aggiuntive in nero.

E in tutta Italia in questo caos tributario non solo non esiste certamente eguaglianza tributaria e la cosiddetta redistribuzione del reddito è solo una burletta, ma i contribuenti sono costretti ad adeguarsi alla furbizia dei politici , almeno per sopravvivere, e quasi sempre si spende più tempo ed energie per esercitare questo sport che per lavorare o per badare alla famiglia.

Del resto è giusto che il popolo segua il buon esempio, e il buon esempio viene sempre dall'alto. Non vi pare?

Ecco io penso che fare un'importante riforma per correggere tutte queste situazioni sia quanto di più necessario per il nostro paese. Si eliminerebbero la corruzione e l'evasione fiscale e si potrebbe creare un vero stato sociale privo di sprechi e ingiustizie. La perfezione non è certo di questo mondo, ma noi ci siamo ben lontani e dobbiamo fare di tutto per avvicinarci ad essa, altrimenti falliremo ancor prima come società, come gruppo di cittadini che come stato.

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