di Loris Mazzetti
Berlusconi, il terremoto e il reality delle tv Loris Mazzetti Ancora una volta la tragedia si è abbattuta sull’Italia: il terremoto che ha colpito l’Abruzzo ha fatto 292 vittime, 2000 feriti e gli sfollati sono circa 20.000. Questo è il momento della solidarietà e dell’unità. Lo scontro politico deve essere lasciato da parte, ma non si può far finta di non vedere e di non sentire. Va riconosciuto che il governo è intervenuto prontamente, ma in ciò che sta facendo non c’è nulla di eccezionale: è soltanto dovere. Come sempre, c’è chi ringrazia e chi si lamenta. La gratitudine degli italiani deve andare ai vigili del fuoco, alla protezione civile, ai tanti volontari che sono riusciti nel miracoloso recupero di oltre cento persone dalle macerie.
Molti dei senza tetto hanno dormito le prime notti in macchina: o per mancanza di tende o perché queste erano insufficientemente riscaldate. Purtroppo nella zona, fortemente a rischio da mesi, non era stato previsto un presidio organizzativo per affrontare l’emergenza. La differenza rispetto alle tragedie del passato sarà valutata sui tempi della ricostruzione: gli sfollati chiedono di non essere dimenticati. Sono convinto che siano reali le assicurazioni di Berlusconi di smarcarsi da ciò che ci ricorda la storia e anche da sé stesso, perché non devono essere dimenticate le promesse di ricostruzione e di giustizia, solo in parte mantenute, dopo il terremoto in Molise del 31 ottobre 2002 dove crollò a San Giuliano di Puglia la scuola Francesco Jovine causando la morte di 27 bambini e una maestra. Al momento la differenza rispetto al passato è data dalla copertura mediatica. L’Abruzzo è invaso da inviati, cameramen, tecnici, pulmini regia, postazioni satellitari. Ad ogni angolo di strada spunta un microfono, le telecamere sono pronte a riprendere ogni minimo crollo.
In tv il terremoto è stato raccontato non solo dai telegiornali ma anche dalle trasmissioni di gossip, di cucina, persino all’interno delle televendite. Tutto è lecito pur di fare cronaca. Conduttori che lanciano auguri mentre i vigili del fuoco stanno recuperando due giovani sepolti da molte ore: “Resistete facciamo il tifo per voi”; c’è chi in diretta si altera perché viene chiuso il collegamento con un altro recupero: “Lasciatemi vedere come va a finire”; un padre disperato, che ha perso il figlio di ventun’anni, viene tenuto per mezz’ora di fronte alla telecamera a manifestare la sua disperazione: “Aiutateci, non lasciateci soli, non abbiamo più niente, non sappiamo dove andare”, alla figlia sopravvissuta, singhiozzante, una giornalista chiede: “In nome di suo fratello può dare un segnale di fiducia a tutte le persone”. La risposta della giovane donna all’inadeguata cronista è una lezione per tutti: “Un segnale di fiducia lo dovete dare voi…”. Mi dispiace scriverlo, mi auguro che non me ne vogliano quei bravi giornalisti che hanno svolto con grande serietà il loro compito, ma la sensazione è che ci sia stato un velato ordine di andare oltre alla cronaca, soprattutto nelle tv (per fortuna molti giornali hanno dimostrato di essere indipendenti), nei primi giorni si doveva mettere in risalto l’efficienza del governo, del presidente del Consiglio in particolare, perché anche la tragedia, a due mesi dal voto, può fare campagna elettorale.
Il ministro Carfagna dai microfoni di Matrix ha superato tutti nelle lodi del lavoro fatto in questi mesi dall’esecutivo, in netto contrasto con la disperazione dei terremotati, che mentre lei parlava, non sapevano dove andare a dormire. Ministri che nelle ore successive alla tragedia saltavano da una trasmissione all’altra. Berlusconi, che ufficialmente comunicava che per ragioni di tempo non poteva partecipare ai talk televisivi, rimaneva per decine e decine di minuti in collegamento telefonico con Porta a Porta, Matrix, ecc. Il fatto più penoso è accaduto nello speciale in prima serata di Bruno Vespa, quando Silvio Berlusconi, sempre in collegamento telefonico, chiede a conduttore se vi sono ministri in trasmissione. Alla risposta affermativa il premier, reduce da un Consiglio, chiede in diretta tv a Roberto Maroni di inviare, nelle zone colpite dal terremoto, entro la mattina successiva, milleduecento vigili del fuoco. E’ palese lo sconcerto del ministro degli Interni. Finita la telefonata Vespa gli chiede se è in grado di inviare i vigili, Maroni, ancora visibilmente contrariato, conferma che i milleduecento sono già in viaggio verso l’Aquila. Contemporaneamente a Matrix il ministro Gelmini racconta le decisioni prese dal Consiglio, che contrariamente a quello che ha appena detto Berlusconi a RaiUno, è avvenuto nel pomeriggio e non in tarda serata.
La sensazione di chi guarda la tv è di vivere in una fiction con tanto di colpo di scena in diretta, nella quale anche il telespettatore è coinvolto. E’ il reality dello stato di crisi. Silvio Berlusconi ancora una volta è sceso in campo e, come ha detto il presidente del Senato Schifani: “E’ nell’emergenza che dà il meglio di sé”. “E’ come un camping di fine settimana”, ha dichiarato il premier durante un’intervista ad una tv straniera. Dopo aver consigliato ad una madre di andare al mare ha detto alla sua bambina: “Così magari trovi anche un fidanzato”. Subito dopo la cerimonia funebre Berlusconi è andato in mezzo ai parenti delle vittime per le condoglianze: baci, abbracci e strette di mano. Mi dispiace, so benissimo che quello che sto per scrivere risulta fuori dal coro: tutto ciò sa di propaganda in vista delle prossime elezioni. Il grande comunicatore non perde un minuto, non si ferma neanche di fronte al dramma. Berlusconi è bravo ad usare il video, ma non è il presidente Obama, che quando in Iraq saluta i soldati americani e si mescola con loro abbracciandoli, è credibile. Berlusconi no, si ha sempre la sensazione di assiste ad uno spot sul “governo del fare”. In Italia come all’estero. Il presidente del Consiglio partecipa ai vertici internazionali e assomiglia più a un personaggio degli Amici del bar Margherita (l’ultimo film di Pupi Avati) che ad uno statista che incontra i colleghi per decidere le sorti dell’umana gente. Tutto questo non l’avrei dovuto scrivere perché, quando qualcuno si permette di criticarlo, si sente calunniato come ha dichiarato recentemente in una conferenza a Praga : “Io mi danno e la stampa parla di figuracce giocando contro l’interesse dell’Italia”. Il premier si sente vittima di una costante disinformazione. Sempre in quell’occasione ha aggiunto: “Niente più che calunnie” altrimenti potrebbe essere tentato dal compiere “azioni dure” contro giornali e giornalisti. Durante quei giorni, il comportamento del nostro statista ha ricordato più Totò che De Gasperi: urla, abbracci, gesti, battute, al punto tale che il Corriere della sera il 4 aprile ha dato una ragione al suo comportamento: “Il primo ministro è pop” e i suoi gesti “un misto di spontaneità mediatica elaborata da diabolici spin doctor”, che è ciò che in tanti hanno pensato, senza scriverlo, durante i giorni del terremoto in Abruzzo. La parola pop è riduttiva, non lo rappresenta efficacemente, non ci aiuta a capire il perché lui tutte le volte che partecipa ad un vertice internazionale si comporta in una certa maniera. Sarebbe sufficiente leggere come è stato definito dalla stampa estera: “imbarazzante, goliardico, penoso, ecc.”.
La telefonata con il premier turco Erdogan era tanto importante al punto da non essere interrotta, ma poteva essere fatta fermando semplicemente la macchina qualche centinaia di metri prima di arrivare al vertice Nato di Stoccarda. Che sia stata commessa una enorme gaffe lo si capisce osservando sia l’espressione del volto della signora Merkel, in uno dei tanti video che hanno fatto il giro del mondo, rimasta lunghi minuti ad attenderlo mentre lui le volgeva le spalle continuando a telefonare, che lo sguardo del primo ministro inglese Gordon Brown. Silvio Berlusconi non è pop e non mi convince l’interpretazione data da Nando Pagnoncelli, sempre al Corriere, delle cosiddette gaffe: “Interpretano l’umore popolare, e si saldano con un sentire diffuso”. Come dire che l’italiano non sa stare a tavola, che l’italiano è maleducato. Lui è il leader indiscusso del Pdl, amato dalla metà degli italiani che va a votare, della sua compagnia è sicuramente il migliore e il più competente, ma ultimamente ha “sboccato”, esagerato, interviene su tutto, trova il tempo per consigliare candidate per i reality in onda sulle sue tv; liquida il fedele Del Noce per non aver portato al Festival di Sanremo il coautore Mariano Apicella; convoca a palazzo Grazioli (la sua residenza privata), alcuni consiglieri Rai, ministri e sottosegretari per parlare delle future nomine della tv pubblica. Tutto ciò perché lui è pop? No. Berlusconi si sente solo al comando, governa il paese come se fosse una succursale di Arcore, grazie anche ad una opposizione praticamente inesistente. Solo così si può interpretare la gravissima risposta che ha dato al segretario della Cgil Epifani che a Roma, di fronte a due milioni di manifestanti, aveva chiesto al governo l’apertura di un nuovo tavolo per trattare: “Il tavolo glielo diamo in testa”.
Ma torniamo alle minacci nei confronti di quei giornalisti che si permettono di criticare il suo comportamento. Che accadrà a Michele Santoro e alla sua squadra che ad Anno Zero ha messo in luce, attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, l’approssimazione del coordinamento dei soccorsi in Abruzzo; che il dipartimento, coordinato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Bertolaso, deve pensare non solo alla protezione civile ma anche ai grandi eventi come il prossimo G8 in Sardegna o il campionato del mondo di ciclismo; che il governo nella finanziaria ha diminuito i fondi della protezione civile? Sicuramente di Santoro si occuperà il nuovo cda della Rai. Il terremoto aumenterà un po’ i tempi, ma come è sempre avvenuto nel passato dopo la nomina di un nuovo presidente e di un nuovo direttore generale, cambieranno anche i direttori di testate e reti. Per rendere indolore il cambiamento è stata già messa in atto la solita strategia tipica dell’era berlusconiana: accusare per poi colpire quei conduttori, giornalisti, comici, che danno voce a tutti e che non sono adomesticabili. L’unica rete Rai indipendente dalla maggioranza è RaiTre. L’onorevole Cicchitto si è scagliato contro Fabio Fazio per aver intervistato Di Pietro, dimenticando che la settimana prima come ospite a Che tempo che fa c’era il coordinatore del Pdl Bondi; le forze cammellate sono state schierate contro Milena Gabanelli per aver fatto il punto a Report sul sistema radiotelevisivo italiano; Lucia Annunziata non avrebbe dovuto intervistare lo scrittore Antonio Tabucchi a Mezz’ora senza contraddittorio. Gli esempi da citare sono tanti. Nessuna sorpresa, Berlusconi è ripetitivo, sta facendo esattamente quello che fece nel 2002. Cerchiamo di affrontare il problema per quello che è, cioè l’ennesimo tentativo contro il pluralismo, la libertà d’informazione. Lo dico soprattutto al centro-sinistra che sta facendo finta di non accorgersene. Nell’ultimo numero di Prima Comunicazione, Smile – lo pseudonimo usato dal direttore – scrive a proposito dei componenti del cda della Rai appena nominati: “Ho commentato sulla composizione di almeno quattro nuovi consigli di viale Mazzini, eppure non finisco mai di stupirmi dell’inadeguatezza delle nomine. Non sto ovviamente mettendo in dubbio la qualità dei singoli, ma la relazione tra queste qualità e quelle necessarie per sedere in un consiglio di amministrazione”. Alle parole di Smile aggiungo che alcuni consiglieri uscenti e riconfermati, sono stati protagonisti della vicenda Meocci (il direttore generale che per legge, essendo uscito dall’Autority da solo quattro mesi, non poteva essere nominato) per quel voto fecero condannare la Rai ad una ammenda di circa quindici milioni di euro. Motivo per cui non avrebbero dovuto essere presi in considerazione, ma la politica ha un concetto diverso di etica e morale.
L’onda lunga delle minacce cominciò nel 2001 subito dopo la vittoria del centro-destra ma Berlusconi, nonostante il suo scalpitare, solo dopo la scadenza naturale del cda della Rai (febbraio 2002), riuscì a mettere i suoi uomini al comando del servizio pubblico. Con l’arrivo dell’accoppiata Antonio Baldassare presidente e Agostino Saccà direttore generale, il Cavaliere calò la mannaia dell’editto bulgaro, determinando la fine delle trasmissioni di Biagi, Santoro, Luttazzi e di tante altre che non partirono nemmeno. Furono inutili i richiami dell’allora presidente della Repubblica Ciampi, prima alle istituzioni, poi ai politici, infine ai giornalisti sollecitati a tenere la schiena dritta. Nel frattempo il male oscuro dell’autocensura si diffondeva rapidamente all’interno delle redazioni fino a diventarne la normalità. Lo si è visto al Tg1 quando il tanto vituperato “paninaro” Mimun fu sostituito dall’acclamato Gianni Riotta, che in breve tempo trasformò il panino in un “magnum fast food” tipo Mc Donald’s, riempiendo il telegiornale di politica e di cronaca (per fortuna è arrivato Barak Obama sulla scena internazionale a portar via un po’ di spazio ai fatti di Cogne, Erba, Garlasco, Perugia ecc.), facendo diventare il portavoce di Berlusconi Paolo Bonaiuti e il presidente dei senatori Maurizio Gasparri, i nuovi filosofi della politica grazie ai loro bonsai governativi in onda in tutte le edizioni. Da quando Berlusconi è tornato al governo in tanti si sono scandalizzati per le sue continue dichiarazioni: prima contro il recidivo Santoro “Fornisce un’immagine del Senato della Repubblica volutamente inesatta e denigratoria”; poi contro il servizio pubblico “La Rai mette ansia, depressione e violenza”, “Contro di me un complotto dei conduttori di sinistra”, “Un passaparola per insultarmi”. Gli stessi che si scandalizzano dimenticano che nel nostro paese non esiste più la democrazia, qualcuno la scambia con l’oligarchia, altri dicono che è stata sostituita da un moderno fascismo, io invece penso che viviamo in un telegime, nel regime della televisione e la conferma l’hanno data le tv in questo periodo di tragedia.
martedì 14 aprile 2009
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