di Pierfranco Pellizzetti, il Secolo XIX, 26 aprile 2009
Di questi tempi riprende in varie sedi il dibattito sulla questione energetica. Secondo modalità che continuano a evidenziare una sorta di persistente pigrizia intellettuale.
Chi scrive non è nuclearista e neppure anti-nuclearista, non crede nelle virtù salvifiche delle “rinnovabili” ma neppure è pregiudizialmente contrario a dare loro credito.
Semmai è altrove, interessato a un modo diverso di impostare tale questione. Visto che l’indirizzo dominante segue un’ottica tipica di questi ultimi decenni, rivelatasi perniciosa: il punto di vista dell’offerta. Quella teoria economica dell’offerta che ha funzionato male - come ci ripete sempre il premio Nobel Paul Krugman - e che, applicata alla crescente penuria di energia, si traduce nella banale (pigra) ricetta di sostituire le fonti in via di esaurimento con altre, ma sempre presupposte abbondanti, di facile reperibilità e gestione, a buon mercato. Insomma, il magico e semplicistico rimpiazzo degli idrocarburi con qualcos’altro. In ogni caso, presupponendo come immutata/immutabile la domanda.
Per cui il cuore del problema pare quello di ricercare risorse equipollenti da bruciare nell’irrinunciabile ventre mai sazio dei SUV, per cui continuare a riscaldare e termoregolare tanto le abitazioni come gli uffici nei modi più dissipatori e scriteriati odierni; e così via.
Magari dimenticando (volutamente?) che se i combustibili fossili sono dati in esaurimento tra qualche decennio, l’uranio li seguirà nel comune destino ben poco dopo; trascurando il fatto che qualsivoglia soluzione alternativa non è in grado di reggere gli attuali livelli di consumo. Non accettando la semplice evidenza che viviamo in un sistema finito e che i limiti stanno nell’ordine naturale delle cose.
Per questo sembra molto più ragionevole (e responsabile) ribaltare il punto di osservazione ragionando in termini di domanda: non lo sforzo da inconcludente Sisifo di inseguire ansimanti un livello di offerta a misura degli attuali standard di consumo quanto - piuttosto - riallineare l’organizzazione della società e i conseguenti stili di vita alle effettive possibilità a nostra disposizione. Risparmiando e riconvertendo.
Risulta evidente che - a questo punto - la questione energetica da scientifica e tecnologica diventa eminentemente politica. Con tutte le difficoltà che ciò comporta, dato l’attuale stato dell’arte (abbastanza sinistrato) dell’azione pubblica. Resta fermo il fatto che l’impostazione corrente è soltanto rinvio consolatorio a breve, che ci avvia tranquilli e soddisfatti verso la catastrofe a medio periodo.
L’alternativa - appunto - è quella di riorientare verso la sobrietà: dunque, prevalenza dei consumi pubblici, ripensamento dei modelli collettivi e una straordinaria opera di educazione civica a largo raggio. A partire dalla selezione e dal riutilizzo dello scarto.
Insomma, prima ancora dei presunti abrakadabra della scienza e della tecnica, attesi fideisticamente come una sorta di manna dal cielo, l’impegno collettivo per pratiche improntate alla consapevolezza attiva.
Per fare questo si richiedono passaggi di certo molto difficili. Che presuppongono il coinvolgimento diretto della cittadinanza che va sensibilizzata e - in contemporaneo - una profonda riflessione sulle tendenze intrinseche alle dinamiche sociali come linee guida di una politica rinnovata alla radice; a partire da quel grado di credibilità che le consenta di esercitare il ruolo di guida delle proprie comunità (che oggi nutrono nei suoi confronti una radicata disistima).
D’altro canto, a livello mondiale è in corso un’intensa opera critica dei “pigri” impianti di governo basati sulle teorie dell’offerta, all’origine delle bolle economiche che stanno scoppiando in faccia all’intera umanità. La stessa operazione si impone per quella che è la primaria questione della nostra sopravvivenza: come alimentare e far girare in modi plausibili un mondo finito in bolletta.
(28 aprile 2009)
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