lunedì 20 aprile 2009

Stop alle telefonate!

di Aaron Pettinari – 20 aprile 2009

Roma. Se il governo non paga entro tre settimane il debito di oltre 200 milioni di euro contratto con le società specializzate in intercettazioni, queste fanno sapere che daranno il via al primo “sciopero bianco”. Un vero disastro per tantissime indagini in via di svolgimento.
Non potendo interrompere le intercettazioni in corso - le società private come incaricate di pubblico servizio rischierebbero di essere messe severamente sotto inchiesta - i lavoratori del settore hanno minacciato di non accettare più ulteriori incarichi. Le Procure si troverebbero così scoperte nelle proprie attività d'indagine con danni incalcolabili dal punto di vista investigativo. Si tratta di una situazione estrema a cui le aziende (in particolare Sio, Rcs, Area e Innova) sarebbero costrette a causa dei buchi di bilancio che restano insanati in conseguenza del mancato credito da parte delle banche. Da circa un anno queste società che occupano il 70 per cento del mercato delle intercettazioni faticano a garantire lo stipendio ai quasi 900 dipendenti che lavorano quotidianamente e che, visti i progetti di accorpamento già annunciati dal governo, vedono a rischio anche il proprio futuro.
La protesta si accompagnerebbe alle ingiunzioni di pagamento che i legali delle società faranno partire da questa settimana all’indirizzo del ministero della Giustizia , minacciando addirittura pignoramenti in sede. Lo stesso tipo di iniziativa, anche se solo per un giorno, verrà presa dalle altre piccole società del settore con le 214 aziendine artigianali d’intercettazione. Tutte operanti a Palermo attueranno lo “sciopero bianco” il prossimo 28 aprile.
In questo primo anno di governo Berlusconi si è parlato a lungo delle intercettazioni. Sono state presentate come un “costoso” mezzo d'indagine o, ancor peggio, come un problema da risolvere per la “sicurezza” dei cittadini Italiani. 
Ecco quindi il lampo di genio. La possibile “soluzione finale” per scongiurare definitivamente ogni pericolo d'indagine. Non servono decreti legge, basta non pagare le ditte addette, ignorandone i precedenti avvertimenti (inutile era stata la riunione con il Giardasigilli Alfano dello scorso 28 novembre). Anche le Procure avevano appunto accennato al suddetto rischio. Nel giugno dello scorso anno il procuratore della Dda di Palermo, Antonio Ingroia, avvertiva: “A Palermo, saremo costretti a fermare le intercettazioni. Ma non quelle per le veline. Quelle contro la mafia, quelle che hanno portato in galera Riina e Lo
Piccolo. Succede che, siccome microfoni e apparecchiature per l'ascolto ambientale vengono affittate da privati, e siccome lo Stato ha tagliato i fondi, le ditte non hanno
più intenzione di far credito al Palazzo di giustizia”.
Eppure i costi delle intercettazioni, così come è stato notato in un convegno di settore tenutosi a Cinisello Balsamo, potrebbero essere coperti dalla stessa attività giudiziaria. Basti pensare che con l’inchiesta Antonveneta la Procura di Milano ha recuperato allo Stato quasi 600 milioni di euro. Addirittura potrebbero essere abbattuti tramite una regolamentazione diversa degli appalti e dei prezzi imposti dai concessionari telefonici. 
Dopo la criminosa legge sulle intercettazioni, che di fatto ne limita l'utilizzo ai magistrati che compiono le indagini, dopo l'incredibile montatura del “caso Genchi”, istruito ad arte per alimentare le “fobie” degli italiani, ecco l'ultimo paradosso di uno Stato che dovrebbe essere garante di Giustizia e non intralcio. 



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