di Silvia Cordella - 2 agosto 2009
“Lunedì a Caltanissetta, mi avvarrò della facoltà di non rispondere”. Con queste parole Massimo Ciancimino ha replicato alle parole del Procuratore generale di Caltanissetta Giuseppe Barcellona...
..., che in un’intervista pubblicata ieri sul Giornale di Sicilia affermava: “Tutto quello che dice Massimo Ciancimino lascia perplessi, seppure alcune cose siano state riscontrate.
Queste rivelazioni provengono da una persona assai equivoca, di modesto spessore culturale, che probabilmente sarà strumentalizzata da qualcuno”. Il figlio di don Vito, che sta rendendo dichiarazioni ai magistrati delle varie Procure antimafia dal 18 gennaio 2008, in merito ai rapporti su mafia – politica e imprenditoria legati alle vicende di suo padre, questa volta non ci sta. E ai giudizi del magistrato nisseno, per altro estraneo all’attività investigativa del pool della sua stessa Procura titolata a riscontrare l’autenticità delle sue dichiarazioni, ha risposto: “Siamo passati da dubbi legittimi e critiche ad insulti personali, preciso che non ho mai avuto il piacere di incontrare o di conoscere il procuratore generale Barcellona, se non per aver letto in merito al suo periodo di presidenza del Tribunale Fallimentare di Palermo”. E ha aggiunto: “Non ho mai cercato impunità ma forse volevo che tanti altri personaggi ‘di elevato spessore culturale’ non ne beneficiassero più, come è stato loro permesso di fare”. “Spero che il tutto non sia frutto di una precisa volontà a farmi tacere, perché ha pienamente raggiunto il suo obiettivo”. Poi sottolineando la “stima” e “l’ammirazione per tutte le persone della procura di Palermo, Caltanissetta e Catania” dalle quali ha ricevuto un grosso “stimolo ad andare avanti” Ciancimino ha invitato coloro che vedono nel suo atteggiamento secondi fini “a dimostrare che abbia cercato vantaggi o sconti nel processo che mi vede oggi sottoposto a giudizio di appello”. Un processo giunto alla conclusione (il primo ottobre inizierà la requisitoria) che è stato oggetto in questi mesi di colpi di scena basati sulla scoperta di decine di carte sequestrate a Ciancimino nel 2005 che erano rimaste nei cassetti dimenticati degli uffici giudiziari e perciò non acquisiti agli atti del suo processo. Carte che risultano tutt’altro che irrilevanti perché contenenti riferimenti al coinvolgimento negli affari del Gas (per il quale Massimo Ciancimino è stato condannato a 5 anni e 8 mesi) di altri politici e collaboratori come Vizzini, Cuffaro, Romano, Cintola e i soci Brancato, tutti di recente iscritti nel registro degli indagati per questi fatti.
Ecco perché Ciancimino lo scorso anno attraverso la stampa aveva chiesto un trattamento giudiziario equo che tenesse conto delle responsabilità di tutti coloro che attraverso l’azienda del Gas avevano speculato sotto l’ombrello protettivo di suo padre, in quel periodo in grandi affari con Provenzano.
Oggi a distanza di quasi un anno da quelle affermazioni Massimo Ciancimino è diventato un personaggio importante per le procure che lo stanno interrogando come imputato di reato connesso sui fatti che lo hanno visto vicino a suo padre per ben un ventennio. Rapporti d’affari, legati alla politica e quelli tra la criminalità organizzata e “pezzi” delle istituzioni sfociati nel ’92 nel dialogo fra Stato e mafia.
È questo il prezioso contributo che il figlio dell’ex sindaco del sacco di Palermo sta offrendo allo Stato. Ed ecco perché, dopo le dichiarazioni del pg Barcellona, a proteggere la credibilità del suo dichiarante é stato il pm Nino Di Matteo (titolare con l’aggiunto Antonio Ingroia sulle indagini che riguardano il capitolo della Trattativa) affermando che “con la Procura di Palermo Massimo Ciancimino ha sempre parlato, rispondendo a tutte le domande che gli abbiamo fatto in relazione a tutti gli argomenti processuali che sono stati oggetto d'interrogatorio. E questo fino a Giovedì scorso. Siamo convinti che continuerà a rispondere alle domande”. Una presa di posizione importante da parte del magistrato che sta interrogando Ciancimino sui fatti accaduti intorno alle stragi del ’92, per far luce su quel terribile momento storico italiano che ha visto una Cosa Nostra cambiare radicalmente gestione sotto la leadership di Provenzano. Ci sono ancora tanti tasselli da mettere a posto e Massimo sta fornendo il suo importante apporto che continuerà con la consegna del famoso “papello” di Riina. Documenti che scottano. Come la lettera indirizzata a Berlusconi ritrovata in quelle carte dimenticate. Ma ora l’attenzione dei magistrati è rivolta verso la sim scomparsa di Massimo Ciancimino in cui risultava annotato in rubrica il numero telefonico del famoso signor “Carlo”, quel personaggio legato ai Servizi Segreti che nel ’92 fece da cerniera tra Vito Ciancimino e le Istituzioni. Fu proprio “Carlo”, secondo il suo racconto, ad aver avuto tra le mani il “papello” e fu sempre lui a dare a suo padre un passaporto turco dopo l’omicidio di Salvo Lima, dicendogli che “se avesse avuto bisogno avrebbe potuto usarlo per allontanarsi dall’Italia”. “Carlo”, nome fittizio attribuito dall’ex sindaco di Palermo, glielo aveva consegnato a Roma nella sua casa di via S. Sebastianello ma Ciancimino Senior alla fine non lo aveva utilizzato rimanendo così tra le vecchie cartelle di papà. Ma i rapporti tra “Carlo” e don Vito risalivano nel tempo. Già nell ‘80 i due si frequentavano e nell’’84 quando Ciancimino viene mandato a scontare il soggiorno obbligato a Rotello, in Abruzzo, Carlo lo era andato a trovare. Attraverso i figli una volta aveva fatto sapere: «Dite a vostro padre di stare tranquillo e di non lasciarsi andare perché ci siamo noi che teniamo a cuore la sua vicenda». L’agente segreto aveva paura che don Vito potesse crollare e cedere alle richieste dei magistrati che più volte lo avevano invitato a collaborare.
Insomma la storia di questo agente innominato è tutta da scrivere. I magistrati stanno cercando la sim che farebbe scoprire la sua identità. Ma la carta telefonica sequestrata a Ciancimino nel 2005 sembra sia sparita nel nulla. I pm Di Matteo e Ingroia hanno inoltrato richieste e sollecitazioni ai colleghi della Corte di Appello ma ancora sembra che nessuna risposta sia stata data.
La parola d’ordine a questo punto è scoprire il ruolo di questo potente agente segreto che pare entrasse e uscisse dal carcere come e quando voleva per visitare l’ex sindaco detenuto. Una volta gli lasciò pure un suo cellulare. Don Vito poteva così effettuare chiamate o essere chiamato e incontrare, nonostante l’isolamento, altri detenuti come Nino Salvo, il potente esattore democristiano legato a Salvo Lima. Insomma il signor Carlo è molto presente nella vita di Ciancimino padre e lo è anche adesso in quella del figlio. Pare infatti che sia stato lui a mandargli nel 2007 durante i domiciliari a casa un vassoio di aragoste vive e a presentarsi nei panni di un carabiniere davanti al portone di casa a Palermo. Ed ancora a infilarsi nel suo appartamento di Bologna il 10 luglio scorso per convincerlo a lasciar perdere e pensare piuttosto alla sua famiglia. Un avvertimento tipico, da manuale, certamente non trascurabile. Ciancimino infatti per le dichiarazioni che sta rilasciando e soprattutto per i riscontri che i magistrati stanno trovando alle sue affermazioni, costituisce un serio pericolo che infastidisce quei poteri occulti veri registi della strage di via d’Amelio così come della Trattativa. Poteri che in tutti questi anni hanno lavorato per mantenere l’oblio sui fatti del biennio ’92-’93 e su quel patto scellerato fra Stato e mafia che si concluse con un accordo di cui poco si conosce.
In questo contesto fanno paura i moniti del Procuratore generale di Catania Giovanni Tinebra (procuratore capo di Caltanissetta e coordinatore delle prime indagini nel dopo stragi) che ieri si è detto preoccupato per un possibile ritorno a fatti di sangue. “Il passato – ha detto il magistrato - ci deve insegnare qualcosa. Quando in Cassazione le condanne del maxiprocesso a Cosa nostra divennero definitive la mafia si vendicò uccidendo l'onorevole Salvo Lima e subito dopo i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”. Tinebra, invitando tutti a “non abbassare la guardia nella tutela dei magistrati maggiormente esposti” ha continuato, “non dico che accadrà, dico che può succedere ed è bene premunirsi di un ombrello prima che possa piovere”. L’attacco potrebbe partire “soltanto per ritorsione o per qualche vantaggio che non conosciamo”. In ogni modo ha tenuto a precisare Tinebra “se qualche angolo non è stato pienamente esplorato” - all’epoca della prima inchiesta del pool Falcone – Borsellino - “è giusto che si approfondiscano le indagini ma, allo stato, il ‘terzo livello’” quello dei poteri forti “resta soltanto come ipotesi di lavoro”.
lunedì 3 agosto 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento