L’idea che il nostro universo possa avere più di tre dimensioni spaziali ci appare intuitivamente contraria alla nostra esperienza. Già i filosofi greci avevano affrontato questo argomento: Aristotele escluse categoricamente l'esistenza di una quarta dimensione e Tolomeo ne diede una ingegnosa "dimostrazione" nel 150 a.C. che venne poi ripresa da Galileo Galilei. La "dimostrazione" consiste nella constatazione che non è possibile tracciare più di tre rette tra di loro mutuamente perpendicolari.
In realtà questo ragionamento dimostra solamente che il nostro cervello non è in grado di visualizzare più di tre dimensioni spaziali; tuttavia, ciò non esclude che l'universo possa effettivamente avere un numero di dimensioni spaziali maggiore delle tre nelle quali viviamo. È davvero possibile?
Per intuire le implicazioni di eventuali dimensioni a noi inaccessibili, proviamo a scendere di una dimensione ed immaginiamo le sensazioni di un essere costretto a vivere in due dimensioni a contatto con fenomeni che accadono invece in un mondo tridimensionale. Le singolari vicende di questo essere sono descritte in un libro di Edwin A. Abbot, “Flatland”, pubblicato nel 1884. Si tratta di Mr. Quadro, che vive su un foglio di carta, in un mondo quindi piatto, a due sole dimensioni, e può vedere solo gli oggetti piatti sulla superficie del foglio.
Madame Sfera, invece, vive nel nostro mondo a tre dimensioni e, muovendosi nello spazio, talvolta attraversa il mondo di Flatlandia. Mr.Quadro, da parte sua, non può vederla perché vede solo gli esseri piatti del paese di Flatlandia. L'intersezione della sfera con il piano del foglio è un cerchio; perciò Madame Sfera, attraversando il piano, produce sul piano sezioni, cerchi che variano di ampiezza man mano che la sfera lo attraversa: dapprima un solo punto, quando la sfera tocca il piano; poi una sezione sempre più grande finché si arriva al cerchio massimo. Accade il contrario quando la sfera si allontana: la sezione diminuisce per tornare ad essere un punto.
Mr. Quadro non ha percezione delle tre dimensioni e non può vedere Madame Sfera perché è capace di vedere vedere solo gli esseri piatti del paese di Flatlandia.
Cosa “vede” dunque Mr. Quadro?
Mr. Quadro non può vedere Madame Sfera nella sua interezza, ma non vede neppure il profilo della sezione, in quanto non lo può vedere dall'alto; vede quindi solo una linea che aumenta di lunghezza e poi diminuisce sino a sparire, un fatto che non può spiegare.
Questo curioso esempio ci dice, in modo rudimentale ma efficace, come alcuni fenomeni o leggi della fisica difficili a comprendersi nelle tre dimensioni potrebbero invece trovare una spiegazione più semplice e risultare addirittura banali se li immaginassimo accadere in quattro o più dimensioni. Visualizzare uno spazio a quattro o più dimensioni è per noi difficile, ma ci viene in aiuto la matematica: da molto tempo infatti i matematici sanno come trattare le extradimensioni.
Bernhard Riemann, in un famoso seminario avvenuto il 10 giugno 1854 all'Università di Göttingen (in Germania), introdusse per la prima volta una teoria sullo spazio con più di tre dimensioni. Nel 1919 un altro matematico, il polacco Theodor Kaluza, suggerì che l’universo in cui viviamo avesse effettivamente quattro dimensioni spaziali. In questo spazio a quattro dimensioni le leggi dell’elettromagnetismo di Maxwell e della gravità di Einstein, che ci appaiono così diverse nelle nostre tre dimensioni, discenderebbero le une dalle altre. Il gravitone, il quanto del campo gravitazionale , e il fotone, il quanto del campo elettrico, così diversi per i nostri esperimenti tridimensionali, diventano parenti strettissimi nello spazio quadridimensionale di Kaluza. Ma se l'universo ha veramente più di tre dimensioni perché noi non riusciamo a visualizzarle? L'idea implicita nel lavoro di Kaluza -e sviluppata poi in maniera più completa nel 1926 dal matematico svedese Oskar Klein- che l'universo abbia dimensioni estese e dimensioni curve raggomitolate su se stesse. Cosa vuol dire?
Per capirlo dobbiamo, per prima cosa, introdurre il concetto di curvatura spaziale e per farlo torniamo a Flatlandia. Lo spazio a due dimensioni, può essere senza curvature, come un foglio di carta piano, ovvero può essere curvato nella terza dimensione. Basta pensare a un telo elastico sul quale disponiamo un oggetto pesante. La superficie si curverà attorno al peso, e due rette, tracciate parallele sul telo, tenderanno ad avvicinarsi. La geometria Euclidea, gioia e tormento di tutti gli studenti, si applica agli spazi piani. Furono i matematici Nikolaj Ivanovic Lobacevskij e Yános Bolyai, negli anni tra il 1830 e 1850, a discutere i primi esempi di geometrie non-euclidee, in cui non è valido il famoso V postulato di Euclide sulle rette parallele.
Come altri esempi di uno spazio “curvo”, si pensi alla superficie di un cilindro, di una sella o di una sfera. Nel caso di un cilindro una delle due dimensioni della sua superficie è “curva”, nel caso della sfera entrambe le dimensioni della sua superficie sono “curve”.
Nel caso del telo elastico deformato da un oggetto pesante la curvatura è solo locale: man mano che ci si allontana dal peso, la superficie torna gradualmente piana. In questo caso le due dimensioni del nostro telo -come anche nel caso di un piano senza alcuna curvatura- sono estese, nel senso che un abitante di questo spazio si può muovere lungo le sue due dimensioni senza tornare mai allo stesso punto (a meno che, finito nella depressione originata dall’oggetto, non sia più capace di uscirne).
Immaginiamo di trasformare il foglio di Flatlandia arrotolandolo in un cilindro. In questo caso la dimensione curva , si chiude su se stessa. Mr. Quadro, muovendosi nella direzione perpendicolare all’asse del cilindro, tornerebbe ciclicamente al punto di partenza. Ma potremmo anche curvare entrambe le dimensioni del foglio di Flatlandia fino a formare una sfera.
L’idea di Klein era quella di un universo in cui le dimensioni oltre la terza siano “curve”, talmente “curve” da richiudersi su se stesse in dimensioni piccolissime, tanto piccole da non essere percepite. Se esistono, perché non le vediamo? Chiariamo questo aspetto con un esempio tratto dal libro di Brian Greene “L’ Universo elegante”. Immaginiamo che un tubo di gomma , di quelli da giardino, di un centimetro o poco più di diametro, sia steso tra due pali a grande distanza, a un chilometro o più da noi. Noi non saremo in grado di distinguere lo spessore di quel tubo e potremo descriverlo come una linea, cioè come un oggetto a una sola dimensione. Una formica sulla superficie del tubo si muove nelle due dimensioni lungo e attorno al tubo, ma il movimento attorno al tubo non è percepibile dalla nostra distanza.
Anche se sappiamo che esiste una dimensione avvolta su se stessa, questa non ha nessuna utilità pratica nelle nostre osservazioni macroscopiche e, se qualcuno ci chiedesse dove si trova la formica, gli daremmo solo la posizione lungo il tubo. C’è una grande differenza tra la dimensione lungo il tubo e quella attorno al tubo: la prima è estesa nello spazio ed è facilmente osservabile, la seconda è curva su se stessa, contenuta in uno spazio piccolissimo e potremmo percepirla solo se fossimo in grado di effettuare osservazioni con enorme precisione, una precisione tanto maggiore quanto più il tubo di gomma è piccolo.
Potrebbero quindi esistere molte altre dimensioni oltre alle tre, purché curve e raggomitolate in dimensioni così piccole da non averne percezione nella vita di tutti i giorni.
Come abbiamo visto, il tentativo di unificare l’elettromagnetismo e la gravità portò Kaluza ad ipotizzare che oltre alle tre dimensioni spaziali consuete esistesse una quarta microscopica dimensione avvolta su se stessa. Di questa teoria lo stesso Kaluza informò con una lettera Einstein che gli rispose interessato, invitandolo a svilupparla in maggiore dettaglio. Dopo il suo iniziale entusiasmo però, Einstein non ha altri contatti con Kaluza e sembra dimenticare questa teoria; nei suoi lavori e nella sua corrispondenza non se ne trova più traccia.
Nel 1926 Oskar Klein riprese e sviluppò la teoria sulla quarta dimensione, ma anche questo lavoro non fu raccolto da altri studiosi. In effetti, sebbene matematicamente lo teoria sembrasse interessante, non c’era alcuna possibilità di effettuare osservazioni con la precisione necessaria.
L’ estensione della quarta dimensione prevista da Kaluza è infatti inferiore a 10-33 cm. Per avere un idea di quanto sia piccola dobbiamo prendere un centimetro, dividerlo in un miliardo di parti, poi dividere una di queste parti in un miliardo di frammenti e dividere ancora uno dei frammenti in un miliardo di altre parti. Infine dobbiamo di nuovo dividere quel microscopico elemento in altre diecimila parti: arriviamo così ad un’estensione 100 miliardi di miliardi di volte più piccola del diametro di un protone. In questo spazio è confinata la quarta dimensione! Non c’era al tempo di Kaluza, e non c’è ancora oggi, nessuna possibilità sperimentale di investigare delle dimensioni così piccole. Nel 1930 la teoria poteva considerarsi totalmente abbandonata. Ma la storia non finì così. La teoria di Kaluza-Klein torna alla ribalta negli anni 80 come componente essenziale della teoria delle corde .
Queste teorie ipotizzano molte dimensioni spaziali aggiuntive (ben più della singola ipotizzata da Kaluza e Klein); anche fino a 16 dimensioni. Nell'universo bambino, pochi attimi dopo il Big Bang, tutte le dimensioni spaziali avevano la stessa estensione. Durante l’espansione dell’universo qualcosa distrusse questa simmetria; solo tre dimensioni continuarono ad estendersi mentre tutte le altre bloccarono la loro espansione e si chiusero su se stesse.
A distanze comparabili con le estensioni delle dimensioni curve le interazioni forte, elettromagnetica e debole sarebbero molto diverse da come ci appaiono nelle nostre dimensioni estese. Non solo elettromagnetismo e gravità, ma anche interazione debole e forte apparirebbero unificate in un’unica forza come nei primi istanti di vita dell’universo.
La teoria che unifica tutte le forze è affascinante, ma le extradimensioni sarebbero così piccole che neppure i più raffinati esperimenti potrebbero metterle in evidenza. Le energie disponibili nelle moderne macchine acceleratrici per le nostre sonde esploratrici (le particelle elementari) non sono infatti in grado di sondare le forze con cui esse interagiscono a distanze così piccole. Ci sono però teorie più recenti che ipotizzano dimensioni curve, compattate in uno spazio così piccolo da sfuggire alla nostra esperienza quotidiana, ma con una estensione di qualche frazione di millimetro.
Queste dimensioni curve sarebbero sufficientemente grandi da poter essere osservate in futuri esperimenti di grande precisione. In cosa differiscono queste nuove teorie dalle precedenti? L’idea è questa: non tutte le particelle e le forze fondamentali si propagano in tutte le dimensioni, estese e curve: alcuni dei costituenti elementari della materia -in analogia a quello che accade a Mr. Quadro a Flatlandia- sono costretti a muoversi solo in alcune delle dimensioni e non in altre.
Secondo queste teorie solo il gravitone (quindi la interazione gravitazionale) si propagherebbe in tutte le dimensioni estese e curve, mentre tutte le altre particelle (e quindi le interazioni forte, debole e elettromagnetica), si propagherebbero solo nelle dimensioni estese. Questo spiegherebbe l’estrema debolezza della forza di gravità rispetto alle altre interazioni: ciò potrebbe essere infatti attribuito al fatto che essa sarebbe l’unica forza a propagarsi in tutte le dimensioni. Perché la intensità di una forza dipende dalle dimensioni in cui si propaga?
Può sembrare complicato, ma è relativamente semplice da capire con un esempio. Immaginiamo di comunicare con un ascoltatore posto all'estremità opposta di un tubo: parlando all'interno di esso, il messaggio si udirà distintamente anche a molti metri di distanza. Viceversa, se la voce viene dispersa in tutto lo spazio, alla stessa distanza l’intensità del messaggio risulterà molto più debole. Il suono all’interno del tubo si propaga essenzialmente in una dimensione, mentre nel secondo caso si propaga in tre dimensioni.
Due segnali sonori che noi percepiamo di diversa intensità potrebbero quindi essere uguali all’origine: tutto dipende da come si sono propagati dal punto di emissione fino ai nostri strumenti di misura, e in particolare dipende dal numero di dimensioni in cui si sono diffusi prima di raggiungerci. Così, la forza elettromagnetica e quelle nucleari risultano apparentemente più forti di quella gravitazionale solo poiché si propagano in un numero di dimensioni minore e quindi in uno spazio più ristretto.
Per verificare l’ipotesi che la gravità si propaghi in un numero di dimensioni superiore a quello delle altre interazioni e che queste extradimensioni siano piccolissime, i fisici devono studiare con grande precisione il comportamento della gravità che si esercita tra due corpi quando essi sono molto vicini. Quanto vicini?
I fenomeni che osserviamo su grande scala, dalla rotazione dei pianeti a quella delle galassie, ci dicono che la forza di gravità cresce in maniera quadratica al diminuire della distanza (diminuendo la distanza tra i corpi che si attraggono di 10 volte, la forza di gravità cresce di 100 volte). Questo andamento, intuito da Keplero e formalizzato da Newton, è proprio quello che ci si dovrebbe aspettare qualora la gravità si propagasse in tre dimensioni.
Alla fine degli anni '90 i fisici teorici Dimopulos e Arkani-Hamed misero in evidenza che la nostra conoscenza della forza di gravità per distanze dell’ordine del millimetro è molto limitata. Questo non deve sorprendere se si considera la debolezza della gravità rispetto alle altre forze. L'attrazione elettromagnetica tra un elettrone e il nucleo di un atomo è infatti circa 40 ordini di grandezza (1040) più grande di quella gravitazionale. L’ipotesi che esistano extradimensioni curve più piccole del millimetro non contraddice le attuali conoscenze.
È quindi possibile che, per distanze superiori al millimetro, la forza di gravità appaia più debole delle altre forze proprio perché si è rapidamente indebolita nelle dimensioni aggiuntive. Se cosi fosse, per distanze confrontabili con l’estensione delle extradimensioni, al diminuire della distanza la forza di gravità dovrebbe crescere molto più rapidamente di quanto cresca a livello macroscopico. Se fosse valida l’ipotesi di una quarta dimensione in cui solo la gravità si propaga, per distanze sufficientemente piccole, riducendo la mutua distanza di 10 volte la forza dovrebbe crescere non di 100, ma di 1000 volte. Recentemente molti esperimenti sono stati compiuti in tutto il mondo per studiare l’interazione gravitazionale a piccolissime distanze. Fino a qualche frazione di millimetro non si sono osservate differenze dal comportamento atteso in presenza di tre sole dimensioni spaziali.
Se esistessero, le dimensioni aggiuntive dovrebbero quindi avere raggi di curvatura inferiori ad una frazione di millimetro. La regione da esplorare è ancora molto vasta: dobbiamo infatti confrontare queste dimensioni con quelle ultramicroscopiche delle dimensioni atomiche e sub-atomiche, e in questo senso la sperimentazione diventa sempre più difficile...
Un' alternativa per verificare la teoria è fornita dalle ricerche attuabili presso gli acceleratori di particelle ed in particolare al futuro acceleratore LHC in costruzione al CERN. Alle energie disponibili in questo nuovo acceleratore, la gravità dovrebbe unificarsi con le altre forze e si potrebbero produrre fenomeni stupefacenti del tutto nuovi. Si ipotizza infatti che possa essere prodotta una nuova forma di materia: un agglomerato di particelle sub-atomiche tenute insieme non dalla forza elettromagnetica (come gli elettroni dentro un atomo) nè dalla forza nucleare (come i quarkdentro il nucleo), bensì dalla forza di gravità.
A piccolissime distanze anche la luce sarebbe attratta da questa nuova forma di materia e rimarrebbe intrappolata. Si formerebbero così dei microscopici buchi neri! Parallelamente alla ricerca sperimentale di possibili nuove dimensioni spaziali, negli ultimi anni si sono susseguite anche numerose ricerche teoriche riguardo alla possibile struttura di queste dimensioni.
Una nuova affascinante ipotesi è stata proposta dei fisici Lisa Randall e Raman Sundrum. La quarta dimensione spaziale non sarebbe arrotolata su se stessa, ma si comporterebbe invece come un tessuto a maglie, la cui tessitura è sempre più fitta man mano che ci si allontana dallo spazio tridimensionale in cui vivono tutte le particelle ordinarie, tranne il gravitone. Questa nuova struttura spiegherebbe la debolezza della gravità pur mantenendo un'estensione infinita di tutte le dimensioni. Fino ad ora abbiamo parlato di dimensioni spaziali, ma non dobbiamo dimenticare la dimensione "tempo".
Quella temporale è infatti un’altra dimensione che dobbiamo sempre tenere in considerazione: il mondo, come lo percepiamo ad ogni istante, è in effetti un mondo a 3+1 dimensioni (tre spaziali ed una temporale ). Percepiamo il tempo in modo dissimile dalle dimensioni spaziali: infatti non siamo in grado di fermarci in una sua posizione o di tornare indietro come facciamo nelle 3 coordinate spaziali.
Ciononostante, Albert Einstein ci ha insegnato che non dobbiamo trattarlo in modo diverso dalle altre dimensioni, ma che anzi esso deve essere realmente considerato come la quarta dimensione. I fisici ci dicono che dobbiamo immaginare l'universo con più delle tre dimensioni spaziali che ci sono così comuni: le dimensioni spaziali potrebbero essere quattro o addirittura sedici! Ed il tempo? È concepibile un universo con molte dimensioni temporali? Recentemente alcuni fisici hanno iniziato a considerare seriamente la possibilità che possano esistere varie dimensioni temporali...
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