Il rapporto dell’Enea fotografa l’impatto della crisi economica sul settore. La diminuzione dei consumi rischia di far calare gli investimenti nelle rinnovabili
Il settore energetico fa i conti con la crisi. Si riducono i consumi di fonti fossili e di conseguenza anche le emissioni, per effetto del minor livello dell’attività economica. Apparentemente una bella notizia, se non fosse per il rovescio della medaglia: nel lungo termine, insieme ai consumi e all’inquinamento, crolleranno anche gli investimenti in tecnologie verdi perché saranno poco competitive. È quanto emerge dal “Rapporto Energia e Ambiente” presentato oggi dall’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (Enea) che, per affrontare la crisi e non mancare gli obiettivi di Kyoto, propone una ricetta a base di efficienza energetica e rinnovabili.
Secondo il rapporto, nel 2008 i paesi dell’Unione europea hanno registrato una riduzione del 6 per cento rispetto all’anno precedente delle emissioni di gas serra, come diretta conseguenza del calo dei consumi elettrici dell’industria, pari al 15-20 per cento. Ma, dice l'Enea, questa situazione è un boomerang. “La crisi economica produce naturalmente una riduzione della domanda di energia e una conseguente riduzione dei prezzi e degli investimenti”, si legge nel documento: “Ciò rende le fonti fossili più concorrenziali rispetto alle fonti rinnovabili, alle tecnologie per l’efficienza energetica e al nucleare (tendenzialmente più costosi), minando quindi quel processo di cambiamento del sistema energetico e di riduzione delle emissioni che era favorito dall’alto corso del prezzo del petrolio”.
Cosa fare allora? Bisogna investire in ricerca e tecnologia e continuare a diversificare le fonti di energia. Le stime disponibili dicono che l’industria può contribuire agli obiettivi dell'Unione per il 10 per cento, i trasporti per il 14 per cento e il residenziale per il 16 per cento. Proprio quest’ultimo è un settore chiave: rappresenta da solo, in Italia, circa un terzo dei consumi di energia. Per ridurli si punta alle tecnologie fotovoltaiche dei film sottili, all'efficienza energetica di nuovi sistemi elettronici e all'isolamento termico degli edifici.
Nei quartieri cittadini – si legge nello studio - si può pensare alla microgenerazione distribuita di energia, come già avviene in Spagna a Barcellona. Oppure a infrastrutture a emissioni zero come la “vertical farm” che Enea ha proposto per l’Expo 2015 di Milano: un grattacielo in cui ciascuno dei 30 piani è occupato da una serra per prodotti agricoli che possono soddisfare la domanda di 40.000 consumatori, in modo da evitare il consumo energetico legato al trasporto.
Il rapporto, ovviamente, non chiude le porte al nucleare, visto come “una novità importante anche se non alternativa alle altre fonti rinnovabili”. Gli investimenti nel settore hanno raggiunto nel mondo i 160 miliardi di dollari e si contano circa quattro milioni di impiegati. Giappone, Germania e Usa mantengono la leadership del fotovoltaico. I primi due, insieme a Svezia e Finlandia investono in ricerca e sviluppo il 2 per cento del Prodotto Interno Lordo, contro lo 0,5 per cento del nostro paese. Spagna, Danimarca, Svezia, Finlandia e Germania, investono sulle rinnovabili, tra il 45 per cento e il 25 per cento della loro spesa in ricerca energetica contro il 15 per cento dell’Italia. (r.p.)
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