di Nicola Tranfaglia - 4 agosto 2009
L’onorevole Gaetano Pecorella, che calca da quarant’anni le scene della politica oltre che del foro giudiziario, milita dalla discesa in campo del Cavaliere nelle truppe del leader carismatico del populismo italico ma ha un passato sovversivo che non escluse neppure l’appoggio al drammatico ’69 operaio e al Soccorso rosso.
Ora ha raggiunto la pace del più gelido cinismo e riesce, nello stesso tempo, a presiedere la Commissione bicamerale sulle ecomafie e a mettere in dubbio che non si sia accertato a livello giudiziario il movente dell’assassinio di don Giuseppe Diana ammazzato dai Casalesi. Non nega che quel sacerdote, come don Puglisi a Palermo, abbia lottato contro la mafia ma dubita che per questa ragione sia stato ucciso. E insieme, per non farsi mancare nulla, difende uno degli assassini del sacerdote e crede forse ai moventi che questi hanno voluto attribuire allo squallido omicidio. Per chi scrive da molti anni intorno alla mafia e per chi ha letto le storie siciliane di Leonardo Sciascia sa che era un classico del depistaggio mafioso insinuare nei giudici i dubbi sul movente, così allontanando la colpevolezza della mafia e andando magari a cercare nelle passioni individuali inventate il nodo della storia.
Pecorella, dopo questa grave gaffe istituzionale come presidente di una Commissione che dovrebbe occuparsi di ecomafie, pur con una maggioranza parlamentare tutta intenta a trattare piuttosto che a combattere le associazioni mafiose, non vuole né dimettersi né chiedere scusa e rimette in circolazione dopo quasi trent’anni l’espressione infelice che proprio Sciascia usò con Paolo Borsellino indicando in lui e in altri magistrati i «professionisti dell’antimafia», salvo poi chiedergli scusa subito dopo e arrivare con lui a una sincera amicizia. C’è da stupirsi di una simile insensibilità da parte dell’onorevole Pecorella? Direi di no, è un atteggiamento coerente da parte di uno che, lasciando quasi vent’anni fa la sinistra per la destra, ha trovato gli onori e la ricchezza e che ormai guarda al suo passato barricadiero senza nessun rimpianto. È persuaso che abbiano ormai vinto i suoi amici, seguaci del Cavaliere che con la mafia ha sempre trattato, che ha teorizzato con il suo ministro Lunardi che con i mafiosi bisogna convivere, e che per evitare che l’opinione pubblica si arrabbi, è il caso di spargere un po’ di fango sul ricordo delle vittime come Cosa Nostra ha fatto in tutta la sua lunga storia, sperando che ci sia qualche giudice che ci creda.
Meno male che in Italia ci sono ancora giornali che parlano di queste cose, anche se tra i più diffusi - esclusa la Repubblica - vige il silenzio più assoluto sulle gaffe degli esponenti di questa tragica maggioranza di governo. Chissà che prima o poi non cresca un po’ di indignazione in questa agonizzante opinione pubblica della penisola...
mercoledì 5 agosto 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento