martedì 11 agosto 2009

Lumia: ''Altro che gabbie salariali''

di Giuseppe Lumia - 10 agosto 2009
Dopo più di un anno di governo Berlusconi si ricorda del Mezzogiorno, quella parte d’Italia dove tutte le percentuali statistiche assumono valori peggiori rispetto al resto del Paese: disoccupazione, produzione, infrastrutture, alfabetizzazione, qualità dei servizi.


Spinto più da esigenze di partito che da un reale interesse nei confronti del Sud, Berlusconi comincia a interessarsi del Meridione perchè da qualche settimana gli sta procurando un po’ di fastidi. “Come tappare la bocca – si chiede – a chi minaccia divisioni e fratture interne nel mio partito? Come far credere agli elettori del Mezzogiorno che mi sto dando da fare per ridurre il divario tra il Nord e il Sud del Paese e allo stesso tempo tenere a bada la Lega?”
La risposta è degna dei film di Totò e Peppino. Intanto ha concesso i fondi fas (fondi per le aree sottoutilizzate) che avrebbe dovuto assegnare da tempo non solo alla Sicilia, ma a tutte le altre regioni del Sud. Risorse saccheggiate dall’esecutivo per finanziare interventi di carattere nazionale o a vantaggio del Nord, trasferite parzialmente in forma ridotta e per giunta utilizzabili dal 2012. In questo modo, malgrado la beffa evidente, Berlusconi riesce a sedare gli animi meridionalisti degli amministratori regionali siciliani della sua coalizione, fingendo un rinnovato interesse per la “questione meridionale”.
Il passaggio successivo è stato la proposta di introdurre le gabbie salariali, ovvero la differenziazione dei salari in relazione al costo della vita. Ecco la risposta di Berlusconi alla seconda domanda. Da che mondo e mondo per risolvere i problemi si agisce sulle cause. Il premier, invece, interviene sugli effetti. Piuttosto che investire per creare le condizioni dello sviluppo (infrastrutture, fiscalità di vantaggio per le imprese che investono nel Mezzogiorno, servizi efficienti, burocrazia agile e snella) vuole riequilibrare il divario riducendo le retribuzioni dei lavoratori del Sud. Qui il costo della vita è più basso, ma solo apparentemente. Non si tiene conto, infatti, dei disservizi a cui il cittadino deve sottostare e dei servizi inesistenti. Facciamo qualche esempio: una persona che per motivi di lavoro deve spostarsi da Palermo a Catania non può prendere il treno perché impiega circa sei ore per giungere a destinazione. Altro esempio: un cittadino che ha bisogno di un esame urgente in ospedale rischia di attendere in lista anche anni, col risultato che sarà costretto a rivolgersi a strutture private costosissime.
Il governo non fa altro che affrontare la “questione meridionale” con le categorie mediatiche della propaganda e quelle politiche della marginalità e dell’assistenzialismo. Al di là dei pronunciamenti, al Sud sono destinati pochi investimenti, come dimostrato dai tagli di 25 miliardi di euro ai fondi fas e dirottati da questo governo altrove e i tre miliardi di tagli fatti alle infrastrutture in Sicilia.
Pochi investimenti, quindi, e una soluzione vecchia, ottocentesca, come le gabbie salariali. L’opinione pubblica continua ad essere bombardata da un’informazione falsa, che non dice come il costo del denaro per fare gli investimenti sia più alto che al nord e i costi dei trasporti abbiano un’incidenza notevole sui beni prodotti al Sud.
Allora la soluzione non può che essere diversa. Al Sud bisogna produrre di più. Il Sud deve avere la forza e l’autonomia di riavviare un processo innovatore moderno. Produrre di più significa allargare la propria base produttiva sia dei beni che dei servizi, tanto sul versante industriale che su quello culturale e turistico. Ma questo stesso non basta.
Se non vogliamo cadere nella retorica delle gabbie salariali dobbiamo fare un ulteriore passo in avanti. Bisogna produrre innovazione dei processi e dei prodotti, chiamando a raccolta i migliori saperi e la migliore ricerca. Così potremo competere nei mercati globali senza far pagare la convenienza di investire al Sud ai lavoratori, diminuendo le loro retribuzioni.
Ma c’è un terzo passaggio: dopo aver investito su produzione e innovazione bisogna puntare sul rapporto legalità e sviluppo. Senza un legame solido e inedito tra queste due dimensioni tutto rischia di essere vano, perché, oltre alla marginalità salariale, vivremo anche le gabbie mafiose. Le mafie, infatti, in un contesto marginale, avranno sempre il sopravvento, non solo perché si limitano a mantenere il contesto in condizioni di sottosviluppo (già di per sè un danno devastante), ma perché producono una modernizzazione senza diritti e senza regole, dove fare un’opera pubblica significa ad esempio sostituire il cemento alla sabbia, come è successo per l’ospedale di Agrigento e èer tante altre opere pubbliche.
Legalità e sviluppo, quindi, non si possono più separare e devono diventare la sfida intorno a cui far crescere una nuova classe dirigente, che abbia la competenza e l’onestà per spazzare via le mafie. Rompiamo, quindi, tutte le gabbie: quelle salariali e quelle mafiose, producendo innovazione, coniugando legalità e sviluppo.

Nessun commento:

Posta un commento

Lettori fissi