di Maurizio Stefanini
Nei suoi recenti viaggi il presidente venezuelano ha toccato paesi e argomenti lontani tra loro: dall'alleanza con Ahmadinejad al nuovo asse comprendente Venezuela, Russia, Siria, Bielorussia, Iran ma anche Spagna e Italia, dimostrandosi così il grande punto di congiunzione tra questi argomenti apparentemente inconciliabili.
Oltre a Libia, Algeria, Siria, Iran, Bielorussia, Russia e Spagna Chávez ha trovato il tempo per recarsi anche al Festival Cinematografico di Venezia, nel corso del suo ultimo tour. Ha presenziato alla presentazione del documentario su di lui girato dal regista americano Oliver Stone, e nell’occasione è stato plebiscitato dal pubblico del Lido.
Qualche giorno dopo nello stesso Festival sono stati presentati film iraniani, che invece erano critici verso quel regime di Ahmadinejad che con Chávez ha siglato un’alleanza strategica “tra due rivoluzioni”, prima ancora che tra due Stati: quasi come al tempo dell’Asse Roma-Berlino. E sono stati applauditi anche loro: in pratica, dallo stesso pubblico che aveva acclamato Chávez.
Subito dopo Chávez si è recato a Mosca, dove ha detto di “portare i saluti dell’Asse del Male”. Scherzando, ma non troppo. Lì ha pure acquistato armi in quantità, tra cui missili. Ha riconosciuto le repubbliche secessioniste dalla Georgia e filo-russe di Ossezia del Sud e Abkhazia. Ed ha propugnato la costruzione di “un nuovo mondo multipolare” attorno a un asse Venezuela-Siria-Iran-Bileorussia-Italia-Russia. Sì: anche l’Italia!
Ma la stessa Russia che gli ha fornito le armi, nonché i crediti per comprarle, ha poi manifestato preoccupazione per l’evoluzione del governo di Teheran in materia di negoziato nucleare. Di nuovo, in apparente contraddizione con l’asse di ferro tra Venezuela e Iran.
Nell’ultima tappa Chávez ha toccato la Spagna, dove sono apparentemente stati superati i residui strascichi dello scontro con re Juan Carlos: il famoso “¿porqué no te callas?”. E la Repsol, società petrolifera spagnola, ha annunciato la scoperta di nuovi immensi giacimenti dalla propria joint-venture in Venezuela.
Dulcis in fundo, in una sconcertante contemporanea da Andorra è stato annunciato il sequestro di 62 conti correnti segreti appartenenti a personaggi dello stretto entourage chavista: anche parenti del presidente. Partito da una precisa richiesta del Dipartimento al Tesoro di Washington, il provvedimento si basava su un duplice ordine di accuse: riciclaggio di denaro sporco; possibile finanziamento di gruppi come Hezbollah, Hamas, Farc o Eta.
Tante cose assieme, e anche contraddittorie. Riassumendo.
1. L’Asse del Male, che sarebbe poi al di là dell’etichetta spregiativa un assieme di regimi (Iran, Libia, Siria, Venezuela, Corea del Nord, Cuba, Birmania, Sudan, Bielorussia) o movimenti con controllo territoriale (Hezbollah, Hamas) con ideologie estremamente diverse: marxista-leninista, “socialista del XXI secolo”, islamista sciita, islamista sunnita, post-sovietica, baathista, gheddafiana, autoritaria. Ma tutti in polemica col modello di Nuovo Ordine Mondiale imperniato sugli Stati Uniti; con modelli istituzionali, politici e economici gravemente devianti rispetto all’ortodossia liberaldemocratica; e di dimensioni geopolitiche e geoeconomiche tali da poter essere marginalizzati rispetto ai grandi club della politica internazionale (G8, G20, Consiglio di Sicurezza, eccetera).
2. Il Bric (Brasile-Russia-India-Cina), che sarebbe un gruppo di Paesi a volte (Cina e Russia) devianti rispetto alla già citata ortodossia liberal-democratica; a volte (Brasile, India) no. Ma comunque variamente in polemica con il Nuovo Ordine Mondiale a guida Usa: India e Brasile vogliono essere infatti ammessi come membri permanenti al Consiglio di Sicurezza; Cina e Russia non accettano l’”egemonismo” Usa e meno ancora l’esportazione della democrazia; e un po’ tutti hanno con gli Usa contenziosi di natura commerciale. I quattro Paesi Bric a differenza di quelli dell’Asse del Male non sono però outsider, proprio per le loro dimensioni. Così Cina e Russia stanno nel Consiglio di Sicurezza come membri permanenti, la Russia anche nel G8, e tutti e quattro nel G20.
3. I governi di sinistra latino-americani. Con l’ultimo voto a Panama, i rivolgimenti in Honduras e i recenti turni amministrativi è iniziato un riflusso a destra che potrebbe presto coinvolgere Cile, Uruguay, Argentina e forse anche il Brasile, ma intanto il precedente risultato in El Salvador aveva portato al punto di espansione massimo quella che è stata definita “l’ondata a sinistra latino-americana”, e che comprende al momento i governi di Guatemala, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Venezuela, Brasile, Uruguay, Paraguay, Ecuador, Perù, Bolivia, Cile e Argentina, oltre al regime non elettivo di Cuba, anche se nel gruppo si possono poi distinguere vari sottoinsiemi. C’è infatti un asse “chavista” che comprende il Venezuela, col regime di Chávez che sta fortemente riducendo i limiti di pluralismo, e i governi di Bolivia, Ecuador e Nicaragua: anch’essi impegnati su un cammino di progressiva radicalizzazione, anche se lì i margini della democrazia liberale sono ancora sostanzialmente rispettati. C’è poi un asse “lulista”, che è variamente alleato con Chávez in campo internazionale, ma senza velleità di radicalismo all’interno: Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Guatemala, El Salvador (anche se qualche velleità autoritaria fa capolino in Argentina e Guatemala). E ci sono governi di sinistra o centro-sinistra, ma variamente critici e addirittura confrontati con Chávez, come quelli di Cile, Perù, Costa Rica o Repubblica Dominicana.
4. L’opinione pubblica definita “no global” in Occidente, di cui sono appunto un punto di riferimento intellettuali come Oliver Stone, Noam Chomsky, Michael Moore o Naomi Klein.
5. Movimenti armati come le Farc o l’Eta: almeno con questi due e almeno a livello politico, i contatti del regime bolivariano sono stati pubblicamente dichiarati.
6. Le multinazionali interessate a fare affari con il Venezuela.
7. Paesi come Italia o Spagna che hanno in Venezuela forti comunità di cittadini da tutelare, consistenti interessi economici da coltivare e anche velleità di manovra per migliorare uno status non eccelso: l’Italia sta nel G8 e nel G20, ma è stata esclusa da ogni ipotesi di allargamento del Consiglio di Sicurezza ed è rimasta pure fuori dal G5+1 per la questione nucleare iraniana, pur essendo il primo partner economico europeo di Teheran; la Spagna non sta né nel G8 e né nel G20.
A parte la tenuta del suo modello di crescita economica nel lungo e anche medio periodo, su cui in molti hanno dubbi ai quali si potrebbe però obiettare un pregiudizio ideologico, il principale handicap di Chávez è certamente uno stile molto personale. Un esempio su tutti, quando col famoso discorso della Presidenza Onu che “odorava di zolfo” compromise la possibilità del Venezuela di essere eletto al Consiglio di Sicurezza. Questo stesso stile personale, però, ha una componente di vorticoso virtuosismo che gli permette di tenere assieme le già citate cose in teoria inconciliabili. In pratica, è lui il grande punto di congiunzione che permette a questi svariati elementi di contrapposizione al Nuovo Ordine Mondiale a guida Usa di fare in qualche modo sistema. È per questo che Hugo Rafael Chávez Frías è uno dei grandi protagonisti della politica internazionale.
giovedì 15 ottobre 2009
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