Un modo sicuro per avere successo elettorale in Italia è promettere meno tasse e tagli della spesa pubblica. Gli italiani vedono le tasse come un furto, come una privazione dei frutti del loro lavoro e le ritengono sbagliate, non si è ancora capito se solo perché “sono troppo alte” o se pensano che lo siano anche concettualmente.
Io però sono di un’altra idea, penso che il problema vero, indipendentemente dal parere degli elettori, sia la qualità del servizio che ci viene offerto in cambio delle tasse che paghiamo.
Anzitutto c’è da dire che non è vero che siamo il paese dell’UE che paga più tasse, inoltre bisogna vedere a quali categorie ci si riferisce. Se pensiamo a chi paga tutte le tasse (circa il 50% del proprio reddito), senza evadere nemmeno un euro allora forse si, siamo davvero tartassati, un po’ come danesi e svedesi. Se si guarda la media generale (poco più del 40%) allora siamo in linea con paesi come Francia e Germania. Se si pensa che c’è gente che paga poco più del 30% allora possiamo dire che questi ultimi vivono quasi come fossero in un paradiso fiscale.
Però, come in ogni mercato che si rispetti, il costo effettivo della merce o del servizio non va valutato esclusivamente in baso al prezzo, bensì va valutato facendo un rapporto qualità\prezzo, ovvero confrontando un bene o un servizio con un altro dello stesso tipo e osservare la differenza di prezzo e di qualità.
Dunque, proviamo a paragonarci con chi, in Europa, paga più tasse, ovvero danesi e svedesi. In Svezia, nel 2004, si aveva una costante crescita economica, superiore a quella di molti altri paesi europei, una disoccupazione del 6% circa un’inflazione ragionevole e vantaggiosa, circa l’1% e un PIL pro capite superiore del 16% rispetto alla media europea.
Questi dati economici, a dir poco invidiabili, sono ottenuti con una tassazione incisiva e pesante, che però consente a uno Stato ben amministrato di garantire la tutti i cittadini una sanità efficiente e quasi gratuita, un’istruzione di alto livello per tutti, degli importanti aiuti per l’inserimento nel mondo del lavoro. Uno svedese a 18 o 20 anni è già indipendente dai genitori, certo è aiutato dallo Stato, ma se si sfugge a certe ideologie si può certamente notare il vantaggio di uscire di casa in giovane età, poter mettere su famiglia, avere un lavoro e un reddito sicuro, godere di una buona sanità e di una buona istruzione.
Tutti questi vantaggi chiaramente non arrivano gratis, ma si ottengono grazie a due importanti fattori: una tassazione alta e un controllo dello Stato su diversi aspetti dell’economia, da taluni ritenuti eccessivi e forse alla base di un sintomo di distaccamento dei svedesi da questo modello sociale.
Di certo però il modello svedese è assai efficiente e i problemi che ci sono (insofferenza verso l’alta tassazione, rischio di poca produttività nel mondo del lavoro) possono essere risolti garantendo un maggior soddisfazione economica ai lavoratori più produttivi, sacrificando in parte una redistribuzione dei redditi nell’età adulta che, anche secondo me, è meno importante rispetto all’assistenza di cui si ha bisogno in giovane età.
L a Danimarca invece offre una soluzione dinamica ed efficiente al problema del precariato. Essi hanno un modello del mercato del lavoro che dovrebbe essere preso in considerazione anche dall’Italia. Le aziende possono licenziare facilmente i propri dipendenti, i quali però continuano a godere del 70-90% del proprio reddito (per 4 anni, se necessario) e, soprattutto, di un piano di lavoro organizzato dallo Stato, il quale si impegna a trovare un nuovo posto di lavoro in meno di un anno, spesso anche con migliori condizioni rispetto al precedente.
La particolarità della Danimarca però è che anche loro, come noi, vivono grazie alle piccole e medie imprese, un motivo in più per tentare di imitarli.
La flexicurity dunque coniuga sia le esigenze delle imprese (maggior flessibilità) che quelle del lavoratore (sicurezza del reddito), il quale è disposto a prendere meno soldi per qualche mese, in cambio di un nuovo posto di lavoro con maggior soddisfazione economica e lavorativa.
Anche qui però è necessaria una tassazione alta, che però è ben bilanciata dalla qualità e dall’importanza sociale del servizio offerto. Un altro dato fondamentale per questo sistema però è il sistema di collaborazione: gli uffici del lavoro sono cogestiti da autorità pubbliche, sindacati e imprese. Alla base di tutto c’è quella che gli studiosi scandinavi chiamano l’economia negoziata». Le parti sociali cogestiscono gli interventi per i disoccupati e questo fa sì che l’80% dei lavoratori sia iscritto al sindacato.
Come volevasi dimostrare dunque per avere un sistema economico efficiente è necessaria la collaborazione e il dialogo, non l’individualismo, l’egoismo e “l’arte di arrangiarsi”, spesso a danno del proprio vicino, che pervadono la cultura e l’atteggiamento degli italiani.
sabato 17 ottobre 2009
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