da Peter Gomez e Giuseppe Lo Bianco
Nel ‘93, Cosa Nostra replicava ai decreti di proroga del 41 bis con camion carichi di esplosivo e attentati a raffica. Un auto non venne fatta esplodere a pochi giorni dalla revoca del carcere duro per i mafiosi
E ora il papello entra anche nell’inchiesta sulle stragi del ‘92: i magistrati di Caltanissetta hanno acquisito informalmente ieri mattina l’elenco di richieste avanzate dalla mafia allo Stato. E sui tavoli dei pm sono tornati anche atti trasmessi nei mesi scorsi dalla procura di Firenze utili a rimettere insieme i tasselli di un puzzle lungo 17 anni e di una trattativa che, secondo l’ipotesi investigativa, non si esaurisce nella sola stagione delle stragi del ‘92, ma prosegue anche l’anno dopo, e ben oltre. Giungendo, forse, fino ai giorni nostri.
Per l’europarlamentare Rita Borsellino, sorella del giudice ucciso, il papello è “la conferma di tutto ciò che fino ad ora è stata considerata solo un’ipotesi. Cioè che la trattativa è esistita. Una conferma importante su cose che si basavano solo sulle dichiarazioni dei pentiti”. E lo aveva ben capito il pm di Firenze Gabriele Chelazzi, morto d’infarto nel 2003, che sei anni fa aveva scoperto che la cronologia delle bombe del 1993 non era stata casuale. Secondo Chelazzi dietro a quella lunga scia di sangue c’era una strategia precisa, tesa a calibrare l’esplosione del tritolo sulle decisioni in materia di carcere duro (41 bis) adottate dal ministero di Grazia e Giustizia. Qualcuno infatti (secondo quella ipotesi), teneva costantemente informati i boss di quanto accadeva in via Arenula, e Cosa Nostra avrebbe utilizzato quelle notizie per proseguire la trattativa con lo Stato.
È la seconda fase, dopo quella del papello del giugno ‘92, fatta di messaggi trasversali, minacce e tritolo che avrebbe cominciato a dare i suoi frutti tra il 4 e il 6 novembre di sedici anni fa, quando all’improvviso a 140 detenuti del carcere palermitano dell’Ucciardone fu revocato il 41 bis. Il pm era partito dalla storia di un’autobomba che non è mai esplosa: quella piazzata a Roma a poche centinaia di metri dallo stadio Olimpico domenica 31 ottobre 1993. Quel giorno, un commando di sole quattro persone posteggia in via dei Gladiatori una Lancia Thema rubata carica di chiodi e di tritolo che avrebbe dovuto saltare in aria al termine di Lazio-Udinese al passaggio di due autobus dei carabinieri. L’obiettivo dichiarato era quello di fare più vittime possibile tra i militari. Ma la bomba radiocomandata non esplode e la Thema rimane lì, posteggiata a lungo prima di essere rimossa.
Gli investigatori per anni si sono chiesti perché l’attentato non fu portato a termine la domenica successiva, il 7 novembre, quando si giocava Roma-Foggia. Poi, quando Chelazzi ha scoperto la revoca del 41 bis ai mafiosi dell’Ucciardone decisa il 4 novembre, hanno ipotizzato l’esistenza di un canale, mentre esplodevano le bombe, attraverso il quale mafia e Stato dialogavano. Un canale che arrivava fino alle stanze del ministero di Grazia e Giustizia. Per questo gli ultimi atti d’indagine di Chelazzi sono stati dedicati al fronte delle carceri. Il pm, prima di morire, aveva tra gli altri ascoltato come testimoni l’ex Guardasigilli Claudio Martelli; l’ex direttore del Dap (direzione amministrativa penitenziaria) Nicolò Amato (sostituito il 4 giugno ‘93); i familiari e i collaboratori di Francesco Di Maggio, lo scomparso pm milanese, che dall’estate ‘93 era vicedirettore del Dap; Livia Pomodoro, allora dirigente del ministero della Giustizia; l’attuale direttore del Sisde, il generale Mario Mori e il suo autista, i cappellani delle carceri di Pianosa e Porto Azzurro e il loro ispettore generale, monsignor Giorgio Caniato.
Alla base di tutti gli interrogatori, un’ipotesi da verificare: le stragi del ‘93 furono decise principalmente per tentare di costringere lo Stato a revocare il 41 bis, firmato da Martelli il 20 luglio del 1992, subito dopo l’attentato a Paolo Borsellino. Infatti, lo stato maggiore di Cosa Nostra contrappunta le proroghe dei decreti, firmate dal ministro Conso dal 16 luglio in avanti, con una nuova raffica di attentati. Perché quasi nelle stesse ore in cui erano in corso le notifiche delle proroghe del carcere duro, partivano da Palermo i camion con l’esplosivo per Roma e Milano. Per poter eseguire gli attentati, come poi è successo, praticamente negli stessi giorni in cui gli uomini d’onore ricevevano le notifiche delle proroghe.
sabato 17 ottobre 2009
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