di Francesco Palladino
Non vogliamo chiamarlo regime, né autocrazia, né fascismo, ovviamente, né autoritarismo. Forse potremmo definire il sistema nel quale stiamo vivendo in Italia una forma di "kakistocrazia" (dal greco kakòs, cattivo, o "kakistos", peggiore). Pagine magistrali sono state scritte dai politologi Maurizio Viroli e Michelangelo Bovero appunto "contro il governo dei peggiori". Quindi la "kakistocrazia" è il contrario dell'aristocrazia, nel senso ampio di "governo dei migliori". D'altronde è noto che il premier e la sua maggioranza sono convinti che in Italia esiste un'élite (aristocratica) pericolosa e parassitaria, che organizza i complotti e il golpe contro la volontà popolare. Berlusconi non si stanca di ripetere di essere il "miglior presidente del consiglio degli ultimi 150 anni", anzi "di sempre", amato dal "68 per cento degli italiani", secondo i sondaggi. E di essere eletto "direttamente" dal popolo (falso). Queste ed altre affermazioni ("troppi giornalisti farabutti ed anche delinquenti") sono, nei toni e nella sostanza, non normali in bocca ad un premier, il quale, in quanto cittadino cui sono affidate funzioni pubbliche ha il "dovere" di adempierle con sobrietà, equilibrio, "disciplina ed onore" (articolo 54 della Costituzione). Ormai ogni giorno, dopo la sentenza della Consulta che ha bocciato il Lodo Alfano, Berlusconi parte all'attacco o della Corte Costituzionale o dei magistrati o del Capo dello Stato, con eccitate invettive fuori misura. Gli organi di garanzia della Repubblica sono delegittimati e picconati. Per il premier, infatti, non "c'è nessuno super partes", la Corte Costituzionale è un organo politico inquinato dalla maggioranza di giudici di sinistra, Napolitano è uomo di sinistra e non è eletto dal popolo. "Questa è la verità" dice il premier, e non è offensivo, secondo lui, sostenere che il Capo dello Stato è di parte. Più esplicito il ministro Brunetta: "Nella Costituzione non c'è scritto che il Presidente è super partes". Certo, c'è scritto di più, all'articolo 87: colui che sale al Quirinale "rappresenta l'unità nazionale". E come potrebbe adempiere questo compito basilare se fosse uomo di una parte contro l'altra? La enorme popolarità di Napolitano (oltre il 70 per cento, superiore a quella del Cavaliere!) proprio questo significa: ha saputo unire tutti gli italiani, di diverse opinioni politiche. "Sono uomo delle istituzioni, super partes da anni" rivendica Napolitano. Berlusconi ha ottenuto il voto della maggioranza degli elettori ed è quindi legittimato a governare, naturalmente. Tuttavia, proprio Napolitano, ad aprile, a Torino, alla Biennale della democrazia, cioè in un tempo in cui il conflitto tra istituzioni non era ancora conclamato, affermavache la Costituzione è "sopra di tutto", la Carta viene anche prima del popolo. Il Capo dello Stato, che ben conosce le pulsioni che ispirano le azioni del premier, non certo per caso volle allora spiegare che la Costituzione segna "i limiti entro cui viene disciplinata la stessa volontà sovrana del popolo" (come recita l'articolo 1 della Carta), che non possono essere ignorati nemmeno in forza dell'investitura popolare, diretta o indiretta, di chi governa. Vale la pena di ripetere che sono parole e concetti espressi sei mesi fa, anche se sembrano una precisa risposta di Napolitano alle dichiarazioni di Berlusconi di questi giorni ("Nessuno mi fermerà, io sono l'unico eletto direttamente dal popolo!"). Rispettare la Costituzione significa anche "riconoscere il ruolo fondamentale del controllo di costituzionalità, e dunque l'autorità delle istituzioni di garanzia". Di più: "Queste non dovrebbero mai formare oggetto di attacchi politici e giudizi sprezzanti"...
Anche il presidente emerito della Corte, Gustavo Zagrebelsky, dice che nel nostro sistema "vox populi non è vox dei". E l'ex Capo dello Stato Francesco Cossiga: "Le funzioni di garanzia della Costituzione sono stabilite - per dirla banalmente - 'contro' la volontà popolare, e cioè servono a impedire che la maggioranza sia troppo maggioranza". Quindi contro la tirannia della maggioranza, ben studiata da illustri politologi.
Ma Berlusconi non si ferma, appunto. E prepara una 'rivoluzione' (o un ribaltamento) della Carta fondamentale. Poiché non è affatto eletto dal popolo, "sta riflettendo" (come egli dice) proprio ad una modifica costituzionale che disponga l'elezione diretta del premier. In linea con l'ultimo concetto manifestato a Monza agli industriali: "Alla democrazia e alla libertà ghe pensi mi"! Per il vicecapogruppo Pdl al Senato Quagliarello "dobbiamo superare la distanza tra la Costituzione formale e quella materiale". Chiaro? Se l'opposizione non collaborerà a questo disegno di Repubblica presidenziale e non "aggiungerà" i suoi voti a quelli della maggioranza, "andremo avanti da soli", dicono nel Pdl. Eppure pochi sono in allarme per questa deriva populistica, demagogica, autoritaria di Berlusconi. Prevale ancora nell'ambiente politico e giornalistico una forma di apatia, di assuefazione, di osservazione distaccata degli eventi. Ma "se non ora quando", scatterà la preoccupazione?
mercoledì 14 ottobre 2009
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