di Lucia Sgueglia
Sul viale del cimitero monumentale Vagankovsky a Mosca, riposo dell’elite sovietica e russa dal bardo Visotsky al poeta Esenin, non c’è più posto per le centinaia di corone di fiori arrivate da ogni parte di Russia, e non solo. “Dai ragazzi di Kostroma”, “Sasha da Tashkent”, “Dalla fratellanza del Kazakhstan”, “dalla chanson russa e fratellanza di Orenburg”, “Da persone decenti della Centrale di Medvedkovo”, "dall'estremo oriente russo", “con devozione da Nonno Hasan” c’è scritto sulle dediche, e “Perdonaci, se non ti abbiamo protetto”. Calpestando un tappeto di rose rosse quasi mille persone seguono il feretro fino alla sepoltura, accompagnato da una grande bandiera russa. Giacche di pelle nere e paltò lunghi, accento armeno e georgiano, qualche volto asiatico, tutti uomini eccetto donne tinte di biondo con borse Hermes al braccio, e vecchie zie baffute e velate. Ospiti inusuali per Vagankovsky, affiorati per un giorno dalla Russia sommersa. Intorno polizia, servizi segreti, cani e corpi antisommossa, ingresso vietato a fotografi e cameraman, poi appostatisi sui palazzi intorno.
È l’estremo saluto a Vyacheslav Ivankov, 69 anni, detto “Giapponesino”: l’ultimo grande Padrino russo. Simbolo di un’era, anzi più d’una: dalla “mafia sovietica” ai “torbidi anni 90”, la Russia post-Urss regno dei gangster. Una storia che comincia nei GuLag dove Stalin spedisce i criminali irriducibili: loro organizzando il lavoro interno e minacciando i secondini vi creano un regno, sopravvisuto fino ad oggi. Inizia là l’epopea e il mondo dei leggendari Vory v Zakone, “Ladri nella Legge”, Ivankov era uno di loro.
La sua ‘carriera’ comincia negli anni 60 col mercato nero, poi la prima organizzazione criminale fondata nell’80, con documenti falsi da poliziotti si introducono nelle ville di ricchi con la scusa di perquisirle, e le rupuliscono. Nel 1982 è arrestato per rapina, detenzione illegale d’armi, traffico di droga, condannato a 14 anni. Ma continua a dirigere i suoi affari dalla cella in Siberia, e nel 1991 è già fuori, si dice grazie all’intervento di un potente politico. Tra le sue frequentazioni si annovera il genero di Brezhnev, ministro degli interni sovietico arrestato per corruzione negli anni ’80, un grande scandalo. Quando esce, Ivankov sul petto e sulle ginocchia ha tatuate delle stelle, le stesse che Viggo Mortensen esibisce nel film La promessa dell’Assassino: è diventato un Vor. Mentre l’Urss rovina, lui si trasferisce negli Usa, altre migliaia di criminali sovietici espatriano, dalla Spagna a Israele. Gente come Viktor Bout, il piu grande mercante d’armi al mondo ora in galera a Bangkok. Ludwig “Tarzan” Feinberg, russo-israeliano, cercò di vendere droga trasportandola su un sottomarino coi colombiani. L'ucraino Semen Mogilevich, il “gran boss dell’Est Europa" noto anche come "brainy don", re del contrabbando via aeroporti, in gattabuia nel 2008 a Mosca, poi liberato. Quasi tutti Vory.
“Japonchik” Ivankov per i media americani diventa “il Padrino rosso”, colui che esporta il crimine russo in America, da Brighton Beach a Little Odessa in Brooklin. L’Fbi lo arresta nel 95, estorsione per milioni di dollari e finto matrimonio per ottenere la cittadinanza. Interrogato dirà: “la mafia russa non esiste, è un mito creato dagli americani per giustificare la sezione speciale russa dell’Fbi, i maggiori criminali siedono al Cremlino e alla Duma”. E negherà di essere a capo di alcunché. Anche perché i Ladri non hanno Cupola, ma una galassia orizzontale di clan criminali, “fratelli” ma concorrenti. Nel 2004 torna in patria, altra scarcerazione misteriosamente anticipata, estradato in Russia lo aspetta la sbarra per un’omicidio risalente al 1992. Ma nel 2005 è clamorosamente rilasciato, direttamente dall’aula del processo: tutti i 5 testimoni negano di averlo mai visto. Saluta il giudice con una “grazie”, poi scompare nel sottosuolo. Il 28 luglio scorso un fucile da cecchino lo coglie a Mosca all’uscita di un ristorante thai da 70 metri, muore il 9 in ospedale dopo varie operazioni. A rendergli omaggio ieri c’era il gotha criminale russo, e Vory da tutto il mondo, gli ultimi rimasti in libertà - 400 si dice, la maggior parte di origine georgiana. Anche Ivankov, russo etnico, era nato a Tiblisi. Come lui “Nonno Hasan”, alias Aslan Usoyan, ora erede di Jap e del suo piccolo impero, che si estenderebbe in tutta l’ex Urss. Ieri presente anche lui a Vagankovsky, sotto gli sguardi dell’fsb russo. Le autorità temevano un regolamento dei conti tra bande al cimitero, per questo hanno imposto misure eccezionali di sicurezza. Ma la guerra tra clan è per ora scongiurata, dopo il blitz che nel luglio 2008 ha visto arrestare 37 uomini del clan rivale di Jap, quello guidato dal boss Tariel Oniani (georgiano, Mikhail Saakashvili lo aveva accusato di sponsorizzare le proteste dell’opposizione a Tiblisi), in un battelo sulla Moscova, un’operazione spettacolare di teste di cuoio a bordo di elicotteri. Resta un mistero il motivo dell’incontro. Al clan di Jap resta invece in eredità il business d’oggi in Russia: edilizia e immobiliare, armi droga e prostituzione, risorse naturali, dopo la chiusurà dei casinò. Per qualcuno, l’era dei Vor è ormai al tramonto: quel codice d’onore con poche leggi, ma severissime - niente moglie e famiglia, niente lavoro, no al servizio militare né legami con politica e forze dell'ordine, mai collaborare con le autorità, non ostentare ricchezza, l’obbligo di esser passato per la galera. Un gergo speciale, la fenka. E il rispetto prima di tutto, grazie al quale Jap ultimamente, pare, a Mosca provava a mediare tra gang avverse. Forse è stato ucciso per questo. E i "fratelli" avrebbero già trovato il killer prima della polizia, probabilmente un individuo di origine afghana. Una tradizione criminale che rifiuta in toto le regole dello Stato ufficiale, il vecchio mondo dei Vory, molti dei quali si dicono anticomunisti. Oggi al contrario, spiegano gli esperti, la nuova "organizatsija" ha agganci molto in alto, penetra lo Stato.
Piuttosto colto, amicizie nello showbiz russo che lo hanno più volte difeso, Ivankov ieri, disteso nella bara ancora aperta per la veglia funebre nella piccola chiesetta dentro Vagankovsky, immerso nel pianto muliebre, aveva la fronte avvolta da un cartiglio con su scritta una preghiera in lode a Cristo, da vero credente ortodosso. Poi la sepoltura accanto alla tomba della madre, lotto 50, nella calca. Forse il suo tempo è passato, ma il mito resiste se ieri il suo funerale s’è guadagnato il posto d’onore nel “tg1 russo” delle 20. “Putin ha fatto di tutto per impedirlo, ma la fama è più forte della censura” sussurra un “conoscente” che preferisce non dire il suo nome mentre passeggia tra le lapidi, al dito un anello d'oro con incise una stella e una scimitarra.
giovedì 15 ottobre 2009
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