di Caterina Visco
La rimozione dei rifiuti tossici è competenza del governo centrale. Ma dopo il ritrovamento del Cunsky nessuno si è mosso. La denuncia del Wwf
“Quella delle navi piene di rifiuti tossici affondate al largo delle coste calabre (e non solo), non è una questione regionale, deve iniziare a occuparsene lo Stato”. Lo sostiene il Wwf Italia in una lettera al Presidente del Consiglio, chiedendo la nomina di un commissario delegato a individuare e bonificare i relitti delle navi a perdere, come quello ritrovato a metà settembre in seguito alle dichiarazioni del pentito Federico Fonti. Una missiva simile ma con otto richieste specifiche è stata inviata anche al Presidente della Commissione bicamerale d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (Gaetano Pecorella), al presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafia e sulle altre associazioni criminali anche straniere (Giuseppe Pisanu) e al presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Francesco Rutelli).
Tutto comincia diciassette anni fa: nel 1992, al largo delle coste di Cetraro, in Calabria, viene affondata una nave dal carico sospetto, che ora, grazie alle rivelazioni di un pentito dell'ndrangheta, sembra essere stata identificata come il Cunsky, nave russa a doppia stiva piena di bidoni contenenti rifiuti tossici. Un paio di anni dopo il Wwf e altre associazioni ambientaliste cominciano a raccogliere informazioni sulle attività illecite di smaltimento di rifiuti tossici nei mari italianie e a sollecitare con dossier, documenti e comunicati stampa le istituzioni al riguardo (Pattumiera Mediterraneo). Ma nulla si muove.
Lo scorso maggio, però, succede qualcosa. L'assessore all'ambiente della regione Calabria, Silvestro Greco, riceve una telefonata dalla Procura delle Repubblica di Paola che lo informa della possibile presenza del relitto della Cunsky nelle acque calabresi (qui le sue dichiarazioni). L'informazione arriva dalle dichiarazioni dell'aprile del 2006 di Fonti. Due giorni dopo l'assessore Greco invia una lettera al ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo, al capo della protezione civile Guido Bertolaso e al sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta. L'undici giugno, non avendo ricevuto risposta, l'assessore torna a scrivere, ma ancora inutilmente. Il 10 settembre, stanco di aspettare, Greco noleggia una nave per verificare la presenza del relitto. La conferma arriva in due giorni: le immagini riprese dal robot sottomarino documentano inequivocabilmente l'inquietante presenza di un cargo. Come minimo, bisognerebbe cercare di scoprire cosa ha nelle stive. Ma passano i giorni, le autorità continuano a tacere e quel che è peggio, nessuno si muove.
"Ad avere i fondi e le competenze legali lo avremmo fatto noi”, dichiara l'assessore, "abbiamo le capacità e le competenze necessarie. Però il mare e i rifiuti tossici sono questioni di esclusiva competenza del governo. Se prendo qualunque altra iniziativa posso andare incontro a una denuncia. Il fatto è che nessuno voleva che quella nave venisse trovata”, conclude Greco. Una tesi, questa, che trova sostegno nella vicenda di Natale de Grazia, Capitano di fregata della Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, morto in circostanze misteriose il 13 dicembre del 1995 mentre indagava sullo spiaggiamento della Motonave Jolly Rosso (Un carico di sospetti). Il capitano, trentanove anni e in perfetta salute, morì ufficialmente per un infarto. Una spiegazione che non convinse la famiglia dell'ufficiale, che nominò un perito per valutare se non si trattasse invece di avvelenamento. Ma al medico non fu possibile assistere all'autopsia, peraltro effettuata diversi giorni dopo la morte, quando ogni possibile ed eventuale traccia di avvelenamento era ormai scomparsa. E richiesta una seconda autopsia, l'incarico fu conferito allo stesso anatomopatologo che aveva effettuato la prima. Una delle richieste delle associazioni ambientaliste riguarda proprio la riapertura delle indagini relative alla morte di de Grazia.
In attesa di una risposta e di azioni concrete, Greco intende rivolgeri al Parlamento Europeo. Del resto, le "navi dei veleni” sono un problema internazionale, e non solo per le diverse nazionalità degli scafi, ma anche perché il Mar Mediterraneo è competenza dei 22 paesi che vi si affacciano. Della questione si sta interessando anche l'Alto commissariato dell'Onu per i diritti umani, che ha chiesto al Wwf Italia tutti i dossier e le informazioni disponibili dopo averne letto sulla stampa.
lunedì 5 ottobre 2009
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