di Loris Mazzetti
La Rai è sotto assedio. Conti in rosso: il direttore generale Masi ha denunciato che il bilancio di quest’anno avrà un passivo di 50 milioni di euro, e se la crisi pubblicitaria continuerà, l’anno prossimo meno 200 milioni e nei due anni successivi fino a 600 milioni di euro, che vuol dire libri contabili in tribunale, cioè fallimento. Perché rinunciare ai 350 milioni di Sky?Il Contratto di servizio pubblico. Il ministro Scajola ha messo sotto inchiesta Santoro per Anno zero e il prossimo contratto di servizio tra Rai e governo, convocando i vertici aziendali per il 7/8 ottobre. La fine del canone. Il ministro Gelmini (obiettivo sempre Anno zero), dichiara: “La Rai ha tradito la sua missione”, poi propone il bollino verde per i programmi che meritano il canone; l’onorevole Santanchè incita gli italiani a non pagare il canone, il Giornale (proprietà della famiglia Berlusconi), rincara la dose e pubblica in prima pagina le istruzioni per disdire l’abbonamento Rai; il viceministro Castelli: “Viale Mazzini sa solo deformare, disinformare e fare propaganda politica. E chiede pure i soldi!”Vietare la satira: Il sottosegretario Romani contro la satira di Parla con me: “Cosa centra il wc con il servizio pubblico?”, ancor prima che la trasmissione andasse in onda. Liste di proscrizione. Il presidente Cicchitto: “Anno Zero, Report, Che tempo che fa, Parla con me, Ballarò e ½ Ora” sono trasmissioni orientate a sinistra”. Ascolti in calo e perdita di pubblicità. Striscia la notizia nello spazio dopo il tg, dove la pubblicità incombe e porta tanti soldi surclassa regolarmente Affari tuoi. Su RaiUno per due settimane sono andati in onda in prima serata quattro intrattenimenti (mai accaduto nella storia della tv): il lunedì Salemme, il martedì la Clerici, il venerdì Conti, il sabato Max Giusti, tre su quattro sono sconfitte clamorose a favore di Canale 5. Scelta di palinsesto imbarazzante: per la prima volta un varietà in onda su RaiUno di lunedì, serata che storicamente appartiene al cinema o alla fiction, una sola spiegazione: il magazzino Rai piange per solitudine. La vicenda, Saccà sì, Saccà no, dopo le intercettazioni telefoniche con Berlusconi, ha provocato un vuoto produttivo. Dopo il flop della Clerici, con conseguente chiusura di Tutti pazzi per la tele, è sicuro che lei sia la giusta conduttrice per sostituire Bonolis al teatro Ariston? Non c’è il rischio che, a proposito di ascolti, il Festival di Sanremo faccia la stessa fine di Miss Italia? La Rai da un po’ di anni naviga su una rotta sbagliata, per trovare quella giusta sarebbe sufficiente riportare, nei contenuti dei programmi, il rispetto per i telespettatori e che i partiti, tutti, smettessero di pensare di essere i padroni. Nella tv di stato ci sono professionisti molto seri, se la politica facesse un grande passo in dietro e affidasse la Rai a loro e non a burocrati privi di competenze che non conoscono l’iter produttivo (e non hanno neanche l’umiltà di apprenderlo), a direttori che non hanno mai realizzato un programma, che non sono mai stati dietro ad una telecamera e che considerano il montaggio un piacevole movimento fisico, l’immagine della Rai Radiotelevisione italiana sarebbe diversa.La tv pubblica come la Battaglia di Fort Alamo: sotto assedio come non mai. La Rai dovrebbe essere considerata uno spazio di confronto intellettuale e non di conquista. Nonostante ciò, in azienda, c’è chi continua a fare concorrenza, a discutere di contenuti, qualche volta, lottando anche contro l’autocensura, di raccontare i fatti come accadono, di dimostrare che non tutti manipolano l’informazione, che non ci sono solo giornalisti che scrivono i pezzi sotto dettatura di qualche sottosegretario in cambio di una nomina. In Rai, c’è ancora chi si oppone a quei leader che pretendono di decidere loro quando e dove andare in onda, che non fa “vestitini su misura”, e che a una domanda elusa debba seguire una seconda, una terza domanda ancora, nel rispetto totale di chi viene intervistato. A Berlusconi, anche il gatto lo ha capito, questo non è gradito, per ciò esisterà sempre un editto. La volta scorsa si è chiamato bulgaro, oggi burocratico. Un esempio: per produrre una trasmissione, la prima cosa da fare è attivare la proposta programma che, per essere valida, deve avere infinite firme. La prima, quella del capostruttura responsabile, consente l’apertura della scheda, successivamente convalidata dalla rete (l’editore). Terza firma: palinsesto e marketing che autorizza la messa in onda. Quarta firma: pianificazione e controllo, contemporaneamente parte la trattativa economica per determinare il costo della produzione, con l’aperture di altre due schede, una interna (costi industriali, riprese, impianto scenografico, contratti per il conduttore e cast fisso, fino al costo della carta), la seconda, nel caso il format sia gestito esternamente, per quantificare il contratto di appalto (autori, redazione, ospiti, ecc.), la somma delle due voci determina il costo a puntata, che va inserito nella proposta programma. Finalmente la scheda fa l’ingresso nell’ufficio del direttore generale per la convalida finale. Le trasmissioni, così dette di sinistra, certe firme sono arrivate dopo decine di giorni, con l’unico intento di arrivare alla nomina del nuovo direttore, solo grazie a interventi diretti del presidente Garimberti e a pubbliche denunce (Di Bella al Tg3 è saltato per far posto a un nome illustre, Berlinguer, usato come foglia di fico, Ruffini a RaiTre fino a quando resisterà?). Infine, dopo il direttore Masi, la proposta deve andare in cda che deve controfirmare. L’unica domanda che il cittadino, che paga regolarmente il canone, si dovrebbe porre, è la seguente: “Denigrare l’immagine della tv di Stato, così come stanno facendo in tanti e tra questi molti dei politici che governano l’Italia, a chi giova?
martedì 6 ottobre 2009
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