giovedì 8 ottobre 2009

Chi di lodo ferisce...

di Gianni Barbacetto - 8 ottobre 2009

Due lodi in quattro giorni. Prima il giudice civile impone un risarcimento record (750 milioni di euro) alla Fininvest di Silvio Berlusconi, in conseguenza del fatto che la Mondadori fu strappata alla Cir di Carlo De Benedetti con una sentenza comprata e venduta, confezionata su misura dall’avvocato Cesare Previti e dal giudice Vittorio Metta per contraddire il Lodo Mondadori che nel 1990 l’aveva legittimamente assegnata alla Cir.
Poi ieri, 7 ottobre 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale il Lodo Alfano che Berlusconi si era fatto costruire su misura per avere a disposizione uno scudo spaziale che lo mettesse al riparo da ogni accusa, da ogni processo.
In questo povero paese in cui la politica, a destra e a sinistra, sembra aver perso la bussola democratica, le istituzioni di garanzia funzionano ancora. Funziona la magistratura, che indaga e processa, funziona la Corte costituzionale, che difende la Carta dagli attacchi. La legge è uguale per tutti, ha ribadito la Consulta, dunque anche per le quattro alte cariche dello Stato che erano state scudate dal Lodo Alfano (anche se l’unico che ne aveva bisogno era lui, il satrapo anziano). E se proprio la politica vuole rendere qualcuno più uguale degli altri, ha detto la Corte, allora deve intervenire non con una legge ordinaria, ma con una legge costituzionale.
Sono argomenti di buon senso, non occorre essere raffinati giuristi per capirli. Ma il satrapo anziano ha reagito con toni golpisti, attaccando tutto e tutti. Ormai sono “nemici” e “comunisti” non solo le procure, non solo i tribunali, non solo la Cassazione, ma anche i giudici civili e, in un’escalation senza fine, anche la Corte costituzionale e il presidente della Repubblica. Cioè tutte le istituzioni (il Parlamento già era stato definito “inutile”), tranne il governo di cui è padrone il vecchio sultano. La sua furia verbale è già tecnicamente golpista: delegittima tutte le istituzioni che, con pesi e contrappesi, fanno democratica una democrazia; e salva solo se stesso, eletto dal popolo. Rompe il solenne giuramento di ogni presidente del Consiglio: «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione». E poi semina nel paese un virus totalitario, il disprezzo delle istituzioni: i magistrati, i giudici della Consulta, il capo dello Stato sono “di sinistra” e dunque per definizione suoi nemici. Tant’è vero che nessuno è mai stato indagato, perquisito e processato come lui (e seguono numeri suggestivi, che ha fatto imparare a memoria ai suoi servi). Questo virus golpista diffonde il disprezzo per la democrazia, contrapponendole l’investitura del popolo (e la conseguente dittatura della maggioranza). Eppure sarebbe facile smontare i due imbrogli che diffondono il virus.
Primo imbroglio: i giudici (tutti i giudici, ormai perfino quelli della Corte costituzionale) sono “di sinistra” e quindi nemici politici del satrapo anziano. Ma il giudizio può essere giusto o ingiusto, non di sinistra o di destra. In una sentenza conta se davvero l’imputato ha compiuto o no il reato, non il colore del giudice che l’ha scritta (dice Piercamillo Davigo: la messa vale anche se il prete che la celebra ha la fidanzata). E in una sentenza della Consulta conta non la presunta appartenenza politica dei giudici, ma la coerenza con la Costituzione (e in questo caso non occorreva essere professoroni per constatare che il Lodo Alfano rendeva qualcuno più uguale degli altri, alla faccia dell’articolo 3 della Carta).
Secondo imbroglio: i numeri (delle inchieste, delle perquisizioni, dei processi) dimostrano la singolare persecuzione giudiziaria di cui l’uomo di Arcore sarebbe oggetto. Ma che strano argomento: anche qui, conta la verità dei fatti, non il presunto accanimento. In una democrazia in cui tutti sono uguali davanti alla legge e in cui vige l’obbligatorietà dell’azione penale, è automatico che chiunque sia indagabile e processabile per le sue azioni. Se poi è un uomo pubblico, e molto in vista, è normale che sia tenuto a una maggiore trasparenza e sia soggetto a maggiori controlli. Se uno ha tante inchieste e tanti processi, significa che ha (forse) commesso tanti reati, o almeno che è necessario stabilire se li ha commessi: questo si penserebbe in un paese normale. Nell’Italia della tv e della politica diventata ostaggio del vecchio sultano si grida invece al complotto.
Attenzione: il virus è creato in laboratorio; ma poi è diffuso tra i cittadini (anzi: tra la "gente"). Dunque il golpe freddo, pensato nei palazzi romani e nelle ville sarde degli interessi, delle feste e delle escort, penetra nelle coscienze e nel paese. Prepariamoci. Nella speranza che la scena finale del Caimano non diventi realtà.

1 commento:

  1. Una pittura sul tema "il rinascimento del totalitarismo" (non solamente in Italia):
    http://www.flickr.com/photos/26915283@N07/3896400202

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