di Nicola Tranfaglia - 6 giugno 2009
Martedì 9 giugno, ad urne chiuse e a risultati ormai chiariti, il governo Berlusconi vuol far approvare con lo strumento ormai reiterato del voto di fiducia, una delle leggi più liberticide di questa legislatura: il disegno di legge Alfano sulle intercettazioni telefoniche.
Lo scandalo delle feste in Sardegna con le minorenni, ha accelerato il bisogno della maggioranza berlusconiana di chiudere la partita con i giornalisti e i magistrati e togliere dall’ordine del giorno quel che rimane del dibattito dell’opinione pubblica sugli scandali di un capo del governo che ci fa essere lo zimbello dell’Europa unita e dell’intero Occidente.
Così, all’indomani del voto, la legge numero 1415, con successive modificazioni, che porta il nome del Guardasigilli di fiducia del presidente del Consiglio, deve passare ad ogni costo malgrado le riserve del Consiglio Superiore della Magistratura e del suo vicepresidente Mancino oltre che di quelle prevedibili del Quirinale che preme per formulazioni meno drastiche di quelle adottate finora dalla maggioranza nella Commissione Giustizia della Camera.
Il nodo dello scontro, che coinvolge in primo luogo l’Italia dei Valori con la relazione di minoranza dell’onorevole Palumba, ma che trova questa volta d’accordo anche il Partito democratico, con l’onorevole Tenaglia, riguarda il contrasto evidente delle norme con l’articolo 21 della Costituzione che garantisce la libertà di stampa che non può essere soggetta ad autorizzazioni e a censure. Il disegno di legge, infatti, prevede pene per i giornalisti che si rendano colpevoli di qualsiasi violazione dei pesanti divieti previsti.
In pratica non sapremo più nulla di qualsiasi scandalo fino alla conclusione del processo e con i tempi previsti nel caso italiano, la cronaca giudiziaria non esisterà più. Ci troveremo in una situazione assai simile a quella che c’è stata in Italia, come nella Germania nazionalsocialista, negli anni tra le due guerre mondiali.
E la maggioranza berlusconiana potrà superare senza colpo ferire qualsiasi scandalo interno, qualsiasi episodio di corruzione, di malversazione riconducibile alla pubblica amministrazione, alle istituzioni come al partito di maggioranza.
Con il pretesto risibile di salvare la privacy degli indagati, eccetto gravi indizi di colpevolezza, che a volte (come è noto a chiunque si sia occupato di indagini giudiziarie) emergono in fasi successive a quelle iniziali o mediane dei fatti specifici, magistrati e giornalisti sono tenuti a un segreto totale che vieta alla pubblica opinione di avere un’idea, sia pure approssimativa, di quel che sta succedendo e pone gli imputati al riparo di qualsiasi ulteriore indagine o interrogativo.
In questa maniera il governo colpisce, allo stesso tempo, la cronaca giudiziaria, ripristinata nel nostro paese dopo il ventennio fascista, e l’azione dei magistrati che devono operare senza il minimo conforto di un’opinione pubblica fedele alla legalità e partecipe della difesa dello Stato di diritto di cui la magistratura è difensore per vocazione e funzione istituzionale.
Di fronte alla legge, editori e giornalisti denunciano “la gravissima limitazione del diritto di cronaca prevista dal disegno di legge del ministro Alfano approvato dalla Commissione Giustizia della Camera “ e aggiungono che “le disposizioni in esso contenute colpiscono duramente editori e giornalisti imponendo loro il silenzio totale sulle indagini e sui loro sviluppi anche quando non sussiste il segreto istruttorio. L’effetto è quello di impedire ai cittadini e all’opinione pubblica di conoscere fatti rilevanti della vita pubblica quali appunto le notizie sugli atti di indagine, non segreti.”
Non c’è dubbio che l’approvazione con lo strumento del voto di fiducia del disegno di legge senza le modifiche richieste dall’opposizione comporterebbe di necessità una mobilitazione congiunta della Federazione degli Editori e di quella dei giornalisti a difesa dell’articolo 21 della Costituzione repubblicana.
In gioco sono ormai libertà fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e la battaglia è quella per la difesa della democrazia contro un regime di populismo autoritario che ha in Silvio Berlusconi il suo capo carismatico e nell’attuale governo il suo braccio armato.
C’è da sperare che il Capo dello Stato e successivamente la Corte costituzionale esercitino la loro funzione fondamentale di controllo e di freno nei confronti di un presidente del Consiglio e di un governo che mostrano di non voler difendere i principi essenziali della costituzione repubblicana di cui libertà di stampa e l’indipendenza della magistratura sono capisaldi dagli inizi dell’Ottocento.
lunedì 8 giugno 2009
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