6 ottobre 2006.
Nel mondo intellettuale, artistico, politico non esiste la proprietà privata delle tradizioni storiche.
Nessuno è proprietario privato di Socrate o di Seneca, del Cristianesimo, dell’Umanesimo, dell’Illuminismo, del Romanticismo, del Risorgimento, del Liberalismo, del Socialismo, della Democrazia, dell’Impressionismo.
Questo vale anche per l’Azionismo, per il Liberalsocialismo, e noi, ad esempio, nel piccolo, non abbiamo mai preteso, né pretendiamo la proprietà privata di essi.
Ma se non vale la proprietà privata, non esiste, per dovere di verità, di rispetto ai Testimoni delle tradizioni storiche, nemmeno l’arbitrio, e quindi la critica è legittima, a volte anche dura.
Hitler ha potuto chiamare il suo movimento’ nazionalsocialista’ , ma sono stati e sono doverosi la critica feroce, la contrapposizione al suo scellerato, assurdo, demoniaco modo di aver inteso e di aver tradotto concretamente il suo nominale richiamo al ‘socialismo’.
E questo vale per tanti altri casi storici (es. il comunismo, il repubblicanesimo, la democrazia che, assunti nominalmente, sono stati nei fatti e nei comportamenti traditi, deformati, sfregiati, capovolti). Secondo la giusta espressione evangelica, l’albero si vede e si giudica dai frutti.
L’arbitrio e la deformazione nascono spesso dall’ignoranza storica, filologica, o anche dalla malafede astuta, strumentale, demoniaca.
In questi casi sono doverose, si ripete, la demistificazione, la critica, la contrapposizione.
Alcuni esempi di questi ultimi anni possono esemplificare la delicata e importante questione.
Ci si è richiamati al ‘liberalsocialismo’ da parte di forze, che si sono schierate a destra, accanto a forze di origini fasciste, clericali, secessioniste.
E’ chiaro che si tratta di posizioni radicalmente traditrici del ‘liberalsocialismo storico’, che è tradizione politica di sinistra, sempre di sinistra, di sinistra libera, laica, risorgimentale, antifascista.
Parlare di sbandamento, di tradimento è doveroso per rispetto ad elementari valori di verità, di dignità, di memoria, di non corruzione etico-politica in un paese poi come il nostro che, per mille motivi storici, a quei valori di verità, di dignità, di non corruzione non è molto sensibile.
Ci si è richiamati al ‘liberalsocialismo’ da parte di chi, invece di testimoniarlo su posizione chiare, autonome, con sacrifici estremi doverosi e possibili, lo ha fatto diventare una corrente interna al partito post-comunista dei Democratici di Sinistra (il più ferocemente antiazionista e antiliberalsocialista nella sua storia e nella storia della sinistra italiana), garantendosi una costante sopravvivenza politica in termini di elezioni parlamentari.
Pur nel rispetto di una collocazione chiaramente a sinistra e nella concessione soggettiva di una buona volontà di sopravvivenza realistica in contesti politici duramente partitocratrici, non si può negare la legittimità di una critica a posizioni che attenuano e negano sostanzialmente la forza storica del Liberalsocialismo, che non è stato e non è corrente interna di altre forze, e tanto meno di forze post-comuniste, ma autonomo e originale forza di rinnovamento e di contestazione verso le forze politiche liberali, democratiche, socialiste, comuniste prefasciste, che sono state riprese tali e quali in età repubblicana ed ancora dominano tragicamente la scena politica.
Ci si è richiamati al ‘liberalsocialismo’ da parte di chi ha mantenuto un’autonoma e letterale denominazione ‘socialista’ o ‘socialista democratica’, collocato doverosamente a sinistra ed alleato, per sostanziali ragioni di potere, di tutte, tutte (da quelle giustizialiste e cattolico-conservatrici di Di Pietro e Mastella a quella comunista di Diliberto), le forze dell’attuale centro-sinistra italiano.
Pur nel riconoscimento di una maggiore fedeltà storica nella collocazione storico-politica, che ha permesso loro di dialogare, a volte di collaborare, con la tradizione azionista liberalsocialista, occorre sottolineare, per ossequio alla verità storica, che le tradizioni ‘socialiste’ e ‘socialdemocratiche’ sono state sconfitte storicamente dal fascismo e dal nazismo ( e mai sono divenute forza maggioritaria nella storia politica italiana, come è avvenuto in tanti paesi europei ed extraeuropei), incapaci di contrapporsi ad essi, incapaci di capire le ragioni del consenso totalitario, incapaci di fare autocritica sia nel dopoguerra, sia dopo, sia oggi.
Il Liberalsocialismo non è una ingenua, elementare, astratta somma di alcuni aspetti del liberalismo e di altri aspetti del socialismo, come qualche lucido ed astuto socialista democratico, come Ugo Intini, parlamentare sopravvissuto volpinamente a tutte le recenti, anche tragiche, disavventure ‘socialiste’ e ‘socialdemocratiche’, vuole fare intendere (vedi l’intervento all’assemblea del movimento, anch’esso interno ai DS, di ‘Libertàeguale’ di Orvieto dei giorni scorsi, di preparazione alla nascita dell’equivoco Partito Democratico).
Il Liberalsocialismo è una autonoma, sofferta tradizione politica, nata tra le due guerre, sotto il martello dei totalitarismi di ogni colore (nero, bruno, rosso), ferocemente critico anche dell’esperienza’socialista’ e ‘socialdemocratica’, oltre che di quella ‘liberale’, di quella ‘democratica’, e soprattutto di ‘quella comunista’, naufragate e sconfitte storicamente, per recuperare, salvaguardare anzitutto elementari valori di umanità, di libertà, di dignità, di serietà morale, insieme alle ragioni e ai valori più vivi delle grandi tradizioni politiche ottocentesche e del più autentico Risorgimento liberaldemocratico e repubblicano, per cercare di creare, con tormento e profonda, diuturna rimeditazione critica, teorica, nuovi strumenti politici di partecipazione, di coinvolgimento, di educazione civile per le masse, che irrompevano e irrompono tumultuosamente nella vita politica, nuove istituzioni repubblicane liberaldemocratiche e liberalsocialiste, nuova moralità etico-politca, nella diuturna consapevolezza delle tragedie estreme alle quali la storia era giunta, è giunta (dai gulag alle complicità cristiano-clericali coi totalitarismi, ad Auschwitz), nel doveroso dialogo con i Testimoni che per il Liberalsocialismo, per l’Azionismo hanno dato anche la vita ( dai Fratelli Rosselli a Duccio Galimberti, a Pilo Albertelli), disposti a sacrifici personali estremi, nella coerenza, nell’integrità, nella capacità anche di affrontare la solitudine, quando sono doverosi.
Mai avverti nelle parole, nel tono, nelle azioni di quelli che occasionalmente si chiamano’liberalsocialisti’ (e che poi non hanno osato storicamente costituire formazioni che richiamino il liberalsocialismo letteralmente), consonanze profonde con il Liberalsocialismo storico.
E sul piano effettuale la storia ‘socialista’ e ‘socialdemocratica’ è stata costantemente solcata (fino a tempi recenti) dal dogmatismo marxista e anche filo-comunista, ed ancora oggi è caratterizzata dall’insensibilità tragica alla questione morale a livello locale e nazionale, lontana pertanto mille miglia dal feroce spirito critico e autocritico della tradizione azionista liberalsocialista, dalla sua devozione religiosa al bene comune, dal richiamo e dal rispetto del rapporto tra etica e politica, dal dovere di costruire e incarnare, con chiarezza e forza, lucidamente, un’altra strada autonoma, anche indipendente, per creare storia politica nuova salvifica, e non ripetere da pigri, vili, sbandati opportunisti spesso (concedendo sempre tanti casi di buona fede) pericolosa, tragica storia vecchia, con tante facce vecchie di bronzo, che continuano ad occupare la scena politica, senza un minimo di pudore politico o di umile autocritica, per lasciare spazio almeno, ritirandosi discretamente, alle nuove generazioni.
domenica 28 giugno 2009
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