di Pierfranco Pellizzetti, da Il Secolo XIX
«La prima battaglia per la democrazia la si combatte difendendo la scuola pubblica», tuonava Dario Franceschini nei suoi ultimi comizi elettorali. E così, prima ancora che “di sinistra”, diceva “qualcosa di repubblicano, di civico”.
Ma la scuola pubblica non è sotto minaccia soltanto per la politica di prosciugamento finanziario e tagli promosso dal duo Gelmini-Tremonti. Perché all’azione devastatrice esterna se ne affianca da tempo una per vie interne, molto meno visibile quanto ben più insidiosa: la lenta corrosione dei principi ideali e delle ragioni stesse che fanno della scuola pubblica la colonna portante della democrazia reale.
Dunque, la strategia – definibile “entrista” e in cui spicca Comunione e Liberazione, organizzazione in bilico tra affari e fondamentalismo religioso – che destabilizza silenziosamente l’impianto culturale dell’insegnamento come laicità del pensiero attraverso l’immissione di un personale docente portatore e propugnatore di valori alternativi.
Gutta cavat lapidem, la goccia scava la pietra, dicevano i latini. E queste gocce, diventate il fiume carsico che quotidianamente trascina via frammenti preziosi di un mosaico cognitivo dato per intangibile e finalizzato a forgiare personalità da “buoni cittadini”, sono le centinaia di professoresse e professori entrati nelle aule quali insegnanti di religione e poi regolarizzati, stabilizzandoli nel ruolo come docenti titolati in qualsivoglia materia. Senza selezioni né concorsi (tra l’altro, in spregio alla folla di precari in attesa da decenni della legittima certezza di un posto di lavoro sicuro).
Con evidenti effetti sovversivi riguardo al ruolo esercitato. Infatti, se la scuola repubblicana è per principio fedele alla Repubblica Italiana, la fedeltà di queste nuove immissioni tende invece a rivolgersi (spesso esclusivamente) verso chi li ha scelti e messi in cattedra: i propri vescovi. Situazione acuita dal fatto che nei paesi civili “religione” significa “storia delle religioni”, mentre nelle nostre istituzioni scolastiche il tutto si riduce a “dottrina di Santa Romana Chiesa”.
Sicché ne risultano stravolti i criteri stessi d’insegnamento. Per cui il “sommo Dante” è tale perché sbatte gli eretici all’inferno, non in quanto straordinario esponente intellettuale della propria epoca (che talvolta era capace di inserire lampi di poesia in un ragionamento tra il politico e il teologico); Galileo Galilei viene misurato esclusivamente sul metro dell’ortodossia e dell’abiura, a prescindere dal valore intrinseco del suo contributo rivoluzionario.
Per cui la nobiltà della didattica risulta troppo spesso svilita a puro indottrinamento, agit-prop. Come ne danno preoccupante testimonianza recenti casi di “questioni sensibili” affrontate nelle nostre aule in discussioni che hanno visto gli ex professori (e professoresse) di religione, ormai ascesi al rango di tuttologi, fare sovente la parte del leone; quali cinghie di trasmissione delle tesi dell’alto clero vaticano presentate come verità indiscutibili: dalle vicende drammatiche di Eluana Englaro, costretta a vegetare in una sorta di non-vita imposta dall’alimentazione forzata a mezzo sondino, alle posizioni del papa in Africa riguardo alla contraccezione per i malati di AIDS.
Insomma, un’evidente e permanente minaccia per lo spirito critico, matrice in prospettiva di obbedienti greggi papiste.
Bene ha fatto il cattolico Franceschini a porre il problema. Resta da vedere quanto i maggiorenti del suo partito intendano seguirlo. Quegli stessi che sfilarono all’UDC una fanatica religiosa anti testamento biologico, tal Dorina Bianchi, per metterla al posto del cattolico laico Ignazio Marino.
Sul governo in carica è inutile far conto, visto il suo ostentato disinteresse per i principi repubblicani. Cui antepone quanto gli conviene e i relativi sondaggi.
mercoledì 10 giugno 2009
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