di Patrizia Rettori
Abbiamo una new entry nel lessico degli insulti politici: l’aggettivo “antitaliano”. Intendiamoci: è roba vecchia, fa parte del repertorio fascista ed è stato largamente usato, insieme a “disfattista”, per bollare gli oppositori del regime nei tempi oscuri della guerra. Era ben trovato: eccitava il patriottismo popolare liberandolo dal fastidioso onere di rispondere nel merito alle obiezioni critiche. Poi sappiamo come è finita, ma per Silvio Berlusconi quella magica paroletta rappresenta un vero colpo di genio: offre ai tifosi una nuova arma dialettica e costringe gli avversari a discolparsi dall’infamante accusa di tramare contro il loro paese. Come sta puntualmente avvenendo.
Bene: questo giochino va spezzato. Prima di tutto bisogna notare che, parlando di antitalianismo, il Cavaliere ammette di sfuggita che contro l’Italia berlusconiana si sta coagulando un sentimento planetario di disprezzo che solo una puerile minimizzazione può attribuire alle trame della sinistra nazionale. E poi bisogna chiedersi (e chiedergli): ma che vuol dire antitaliano? Vuol dire sperare, e magari lavorare, perché il paese crolli? Ma l’unica forza politica che si è pubblicamente data questo obiettivo è la Lega. Tutto quello che Bossi dice e fa, tra gli applausi dei fans e l’indulgente sopportazione degli alleati, è volto in questa direzione.
Si sa che Berlusconi non si cura delle contraddizioni, forte com’è di una potenza mediatica che travolge ogni distinguo e azzera ogni tentativo di ragionare. Ma il fatto è che nella categoria degli antitaliani il premier iscrive chiunque non sia d’accordo con lui, dai giornalisti ai politici. Se i giornali stranieri raccolgono le critiche, questo diventa la prova del complotto. E pazienza se i leghisti smitizzano il Risorgimento, boicottano le celebrazioni per l’unità d’Italia e ne sbertucciano gli artefici, da Mazzini a Cavour passando per Garibaldi.
Dunque è la sinistra ad essere antitaliana? Può darsi che nell’animo di qualcuno alberghi una segreta soddisfazione nel vedere l’Italia perdere stima nel mondo oppure nel profetizzare che la crisi economica mal contrastata dal governo porti il paese alla rovina. Del resto qualche cuore di destra nutriva lo stesso sentimento quando Prodi portò l’Italia nell’euro. E, per inciso, ricordiamoci che quella Finanziaria fu votata con la destra fuori dalle aule parlamentari, immaginandoci subito dopo dove staremmo oggi se avessero vinto loro.
Ma queste, il “tanto peggio tanto meglio, il “muoia Sansone con tutti i Filistei”, sono le conseguenze di un popolo trasformato in tifoserie contrapposte. Forse in questa degenerazione la sinistra ha le sue responsabilità, soprattutto quella di aver seguito Berlusconi sulla via degli insulti invece di incalzarlo nel merito delle questioni. Massimo D’Alema, probabilmente, questo intendeva quando ha citato la categoria dell’antitalianità attribuendola (con scarso senso dell’opportunità) agli eccessi dell’antiberlusconismo. Ma non è antitaliano chiedere conto al governo dei suoi errori: il mondo della scuola in rivolta (e nessuno ne parla), la vergogna dello scudo fiscale, la disumanità verso l’immigrazione, le tasse che salgono, e via elencando. Su queste cose bisogna pretendere chiarezza. Antitaliano non è chi fa le domande, ma chi non vuole dare le risposte. Facendo male al paese pur di far bene a se stesso.
sabato 26 settembre 2009
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