giovedì 3 settembre 2009

Quel che resta dell'acqua

I ricercatori del Lens di Firenze sono riusciti a ottenere idrogeno con un sistema più efficiente, economico ed ecologico di quelli oggi in uso. Lo studio su Pnas

Ottenere idrogeno da utilizzare come carburante dall'acqua, con un sistema efficiente, economico e decisamente ecologico. Ci sono riusciti Matteo Ceppatelli e gli altri ricercatori dello European Laboratory for Non-Linear Spectroscopy dell'Università di Firenze, che aprono la strada a una attraente alternativa ai sistemi utilizzati oggi.

In realtà il sistema, spiegato su Pnas di questa settimana, è stato messo a punto per far reagire tra loro elementi molto inerti, come l'azoto e il monossido di carbonio. Il prodotto secondario di questo processo, però, è tutt'altro che da scartare.

“Quello che facciamo è lavorare in condizioni di pressione elevate (circa mille atmosfere, ndr.) per portare le molecole tanto vicine tra loro da indurle a reagire”, spiega a Galileo Roberto Bini, coordinatore dello studio. “Abbiamo già studiato in questo modo moltissime reazioni di polimerizzazione, senza utilizzare alcuna sostanza chimica intermediaria. Questo significa non avere sostanze da dover trattare o smaltire”.

In effetti, il sistema ricorre soltanto a intermediari fisici, pressione e luce: una volta compattate, le molecole vengono colpite con un fasci laser e cambiamo la loro geometria, diventando ancora più reattive.

“In particolare, in questo studio abbiamo fatto una cosa un po' diversa”, continua Bini: “Per convincere l'azoto - che è moto inerte - a reagire, abbiamo pensato di usare l'acqua come una sorta di miccia”. Una volta che la molecola di acqua viene spezzata dalla luce ultravioletta, si viene a creare atomi idrogeno (H) e radicali (HO-). In natura questi due pezzetti si ricombinano in una frazione di secondo per ridare l'acqua. Ma a pressioni di circa un migliaio di atmosfere si guadagna abbastanza tempo per indurre HO- a combinarsi anche con le altre molecole presenti. L'“effetto collaterale” positivo, è che gli atomi H in eccesso si uniscono tra loro per dare la molecola di idrogeno (H2).

Perché è interessante? “Abbiamo lavorato con molecole difficili, non le più idonee per produrre idrogeno, ma abbiamo dimostrato che è possibile utilizzare questo tipo di processo per produrre idrogeno. L'industria chimica già lavora a queste pressioni e, ipoteticamente, potrebbe usare anche la luce solare al posto del laser”, risponde il ricercatore.

Certamente l'idea va testata, ma ha il suo fascino. Attualmente, infatti, il 95-96 per cento dell'idrogeno utilizzato come vettore energetico proviene da fonti non rinnovabili (idrocarburi e fossili). In questo caso invece, servirebbe solo acqua e il processo sarebbe più efficiente dell'idrolisi (il noto sistema utilizzato dai chimici per scindere l'acqua e ottenere H2), che costa tre volte l'energia che l'idrogeno prodotto riesce poi a trasportare.

Lo studio fa parte del progetto Firenze Hydrolab finanziato dalla Cassa di Risparmio di Firenze, che ha riunito più laboratori dell'area fiorentina per mettere a punto nuovi sistemi di sintesi, stoccaggio e trasporto dell'idrogeno. (t.m.)

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