Postato il 08 settembre 2009 da Luca Rinaldi
Le indagini indigeste sono sempre le solite per il sistema di potere “Italia”, soprattutto quando si cerca di ricostruire cosa sia avvenuto nel biennio delle stragi 1992-1994, le quali sarebbe un errore definirle “stragi di mafia”, dal momento che potrebbero tranquillamente essere definite “stragi di Stato”. Ed è proprio per questo che fanno paura le inchieste per individuare quei “pezzi” di Stato collusi con la mafia che avrebbero contribuito alle stragi di Capaci e Via d’Amelio prima ed alle bombe a Roma, Firenze e Milano poi.
Perchè i politici della Seconda Repubblica dovrebbero temere queste indagini? Su cosa poggia tutto il palazzo della cosiddetta Seconda Repubblica, nata dopo tangentopoli ed inaugurata dal primo governo Berlusconi?
E’ importante accertare la verità su quegli avvenimenti, importante per un paese come l’Italia infetto da una corruzione secolare e strisciante, un paese infetto da un parlamento “sporco” che doveva essere ripulito con l’inizio della Seconda Repubblica che altro non è stata che una struttura poggiata sul sangue di quelle stragi dove la procura di Palermo oggi intende fare nuova luce per risalire ai mandanti occulti, ai colletti bianchi, ai soliti ignoti che in quei giorni sono stati protagonisti silenziosi, mandando in avan-scoperto i Riina, i Provenzano, i Brusca e la mafia della lupara. Oggi infatti le procure di Palermo e Milano lavorano congiuntamente, e non per attaccare un governo, per sancire le responsabilità e l’irresponsabilità con cui si sta governando un paese e si è governato per oltre vent’anni. Non è un attacco diretto è un indagine con tanto di nomi e cognomi, con picciotti legati a teste di ponte che legavano Palermo a Milano passando per tutta Italia. Storia di mafia, non quella delle fiction, quella reale, dove il colletto bianco tiene in mano anche i comandi a distanza degli ordigni e i fucili.
Tant’è che a Palermo e Caltanissetta i pm Lari, Gozzo, Marino, Luciani, Ingroia, Scarpinato, solo per citarne alcuni, stanno sentendo collaboratori di giustizia e testimoni per ricostruire questa verità, la verità sulla cosiddetta “saldatura” Stato-mafia, consumata tra la notte della Prima Repubblica e l’alba della Seconda. Verità in cui sparì la “scatola nera” della Seconda Repubblica: l’agenda rossa di Paolo Borsellino, ancora oggi nelle mani di non si sa bene chi e tenuta ben nascosta, una bomba ad orologeria pronta a smantellare un intero sistema politico. Pochi però sono a conoscenza di queste indagini e dei nomi riportati al loro interno, anche se basterebbe leggere i vari decreti di archiviazione e la sentenza in primo grado che condanna il senatore Dell’Utri (ideologo e fondatore di Forza Italia) a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Per non parlare che poi dei nuovi atti e prove acquisite nel procedimento del ricorso di Dell’Utri in secondo grado troviamo il “papello” che sancirebbe l’effettivo contatto tra Cosa Nostra ed i salotti del “buon governo” della Seconda Repubblica.
Ecco che in queste inchieste i nomi della Seconda Repubblica sono parecchi, troppi e troppo in alto, così capita che i rappresentanti dello Stato stesso si dicano sconcertati e si oppongano a queste inchieste, affermando per esempio che l’istituto del concorso esterno in associazione mafiosa andrebbe eliminato. Dopo il ‘92-’93 la mafia è stata ridotta ad una sorta di covo di “orchi e mostri cattivi”, quando invece il fenomeno si estende ai salotti buoni e borghesi-cattolici della politica. Il tutto aiutato poi dalle fiction sulla mafia che poco ed erroneamente rivelano su questi intrecci che si rinuncia a combattere visti i continui bastoni tra le ruote tra leggi e leggine.
Queste inchieste devono arrivare in fondo ed accertare le verità, verità di Stato che non devono essere più identiche alle verità di mafia a cui siamo ormai completamente chinati ed assuefatti, da Palermo come a Milano, passando per l’Italia intera. Berlusconi dice che i processi ad Andreotti e Dell’Utri sono stati e sono uno spreco di soldi pubblici, così come affermare, allo stesso modo, che il reato di “concorso esterno in associazione mafiosa” (unica fattispecie che permette di incriminare i colletti bianchi per mafia) non può essere applicato in uno stato di diritto.
Queste inchieste sono condotte per l’accertamento della verità e le sentenze emesse “in nome del popolo italiano” contribuiranno, se condotte liberamente, ad accertare se effettivamente questa classe dirigente della Seconda Repubblica, abbia veramente il diritto e la capacità di governare nell’interesse del cittadino.
Spesso il lavoro di questi magistrati viene addirittura definito criminoso da alcuni notabili (Cuffaro docet), veramente criminoso è invece opporsi a questo tipo di indagini, questo è un vero crimine nei confronti della società intera.Il “marciume” non si è chiuso con mani pulite, è forse soltanto iniziato, e dopo 20 anni occorrerebbe accertarlo definitivamente e fare uscire dalla porta i collusi.
“So che ci sono fermenti nelle procure di Palermo e Milano che ricominciano a guardare a fatti del ‘92, del ‘93 e del ‘94. E’ follia pura e quello che mi fa male e’ che facciano queste cose con i soldi di tutti, cospirando contro di noi che lavoriamo per il bene del Paese” (AGI). Oggi con questa frase il Presidente del Consiglio, personaggio che dovrebbe tutelare inchieste di questo titpo ed essere per l’accertamento delle verità di Stato, getta ancora fango sulle procure che lavorano ai casi sopracitati. Forse è più pura follia che con i soldi di tutti si facciano procedimenti contro i giornali (le cui diffamazioni sono ancora tutte da verificare), si facciano volare le frecce tricolore ad una festa per il golpe in Libia, si favoriscano le solite imprese del cartello commerciale o si utilizzino per pagare ingiunzioni dell’Unione Europea come quella sul caso Rete4 che costa agli italiani 300.000 euro al giorno, cioè 187 euro a testa.
mercoledì 9 settembre 2009
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