di Francesco Palladino
Dopo la pausa estiva, martedì 15 riprende alla Camera, in commissione Affari sociali, la discussione del ddl Calabrò sul testamento biologico, già approvato al Senato. La legge sta diventando, in modo imprevedibile, un passaggio politico molto importante, se non fondamentale, per la tenuta della maggioranza di governo (dopo le parole di Gianfranco Fini, favorevole a modifiche al ddl, con spirito laico e attento anche all'opposizione) e per una distensione nei rapporti tra il Vaticano e il premier, accusato di "libertinaggio gaio".
Ricordo brevemente i punti chiave del provvedimento (che "assume rilievo" nel momento in cui il malato non è più in grado di esprimere la sua volontà): le scelte manifestate nel testamento biologico, o dichiarazione anticipata di trattamento (Dat), non sono vincolanti per il medico curante; idratazione ed alimentazione artificiali non possono rientrare nella Dat, e sono obbligatorie essendo considerate "forme di sostegno vitale finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita"; nella Dat si può nominare un fiduciario che si confronta col medico, il quale valuta le volontà del malato e decide in base "al principio dell'inviolabilità della vita umana e della tutela della salute"; nel caso di controversia tra fiduciario e medico curante, decide un collegio composto da tre sanitari. Naturalmente è esclusa ogni forma di eutanasia "o di assistenza o aiuto al suicidio".
C'è un profilo, sul tema del testamento biologico, che mi pare sia rimasto in ombra nei mesi scorsi: i vertici della chiesa, le conferenze episcopali dei diversi paesi a maggioranza cattolica, singoli autorevoli prelati, non esprimono affatto lo stesso giudizio sul biotestamento.
La Chiesa universale, su un tema grave come quello della vita e della morte, non indica ai fedeli un principio di comportamento comune e indiscutibile.
Secondo la Cei (22 settembre 2008) "la persona non può determinare le modalità della propria fine, perché la vita non è a disposizione di nessuno". Poichè in Italia si sono "creati pronunciamenti legislativi che rendono insicura la fine della vita, allora c'è bisogno di salvaguardarla". Il malato "non può rifiutare l'idratazione o l'alimentazione, che non sono attività curative, ma attività di sostegno vitale". E comunque "l'ultima decisione spetta al medico". E il patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola (luglio scorso), afferma che malati come Eluana Englaro "non hanno bisogno di cure tecnologicamente ipersofisticate, ma di accompagnamento paziente, acqua, cibo,mobilizzazione, igiene". Perchè "sul cosiddetto stato vegetativo le nuove tecniche dicono che la coscienza non è spenta". Eppure il patriarca avverte: "Dobbiamo stare attenti a non cadere in una tentazione prometeica" (come spirito di sfida delle scoperte scientifiche). E forse con una contraddizione intellettuale conclude: "Se tra mezzo secolo vivremo tutti fino a 120 anni, che problema c'è?".
Davvero problematica e carica di sofferenza è la parola del cardinale Carlo Maria Martini che si chiede "fino a che punto può e deve spingersi la medicina?" e si interroga sui casi estremi di vita vegetativa e di quando "è dovere del medico non accanirsi e sapersi fermare, se non c'è più nulla da fare, anche se questo provoca frustrazioni e sconforto".
Mentre in Italia ancora si discute su norme del testamento biologico retrograde e punitive per il malato, senza analogia in nessun paese occidentale, in Germania (il paese di Papa Benedetto XVI) il Bundestag ha approvato, a giugno, una legge che regola la fine della vita: se il paziente lascia un testo scritto, il medico deve rispettarne le volontà (solo in mancanza di una indicazione esplicita, il sanitario e il fiduciario, se in contrasto, si rivolgeranno ad un giudice). Anche la sospensione di alimentazione e idratazione può essere contemplata nelle dichiarazioni anticipate di volontà. Ma già da tempo i vescovi tedeschi (il cardinale Karl Lehmann, presidente della Conferenza episcopale cattolica, e Manfred Kock, presidente degli Evangelici) avevano formulato un biotestamento, addirittura distribuito nelle Chiese:
"Nel caso in cui non sia più in grado di esprimere la mia volontà....non mi si deve applicare alcun intervento che prolunghi la vita, se si accerta che...non c'è alcuna prospettiva di miglioramento e verrebbe solo rimandata la mia morte". Tutti i trattamenti devono essere indirizzati "a ridurre i dolori, disagi, paura".
Con vera pietà cristiana i vescovi tedeschi accettano che i malati inguaribili o terminali chiedano "un dignitoso lasciarsi morire", non iniziando o non proseguendo pratiche mediche come l'alimentazione o idratazione artificiali, respirazione forzata, dialisi o somministrazione di antibiotici.
Anche nella cattolica Spagna è stato approvato (giugno 2008) il cosiddetto Testamento Vidal: l'intento di chi sottoscrive le dichiarazioni preventive di volontà (il modulo si trova perfino sul sito web della Conferenza episcopale spagnola) è quello di "non consentire" che gli siano applicati tutti i mezzi pos-sibili per tenerlo in vita, se non c'è alcuna speranza di miglioramento. Cioè in Spagna si concentrano soprattutto "sulla dignità della persona che muore", se egli così ha voluto disporre. Nel rispetto di tutti gli altri che possono disporre diversamente del proprio finis vitae. In Italia, invece, ci sarà imposto, unico paese democratico al mondo, il sondino obbligatorio per l'alimentazione.
martedì 15 settembre 2009
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