giovedì 10 settembre 2009

La crisi e la difficile ricerca dell’equilibrio

Scritto da Claudio Novembre
La grave crisi economica e finanziaria che stiamo vivendo, come da molti mesi fanno notare autorevoli commentatori ed esperti, è da attribuire essenzialmente ad un processo abnorme di accumulazione finanziaria e ad un sempre più scollato rapporto tra economia reale (economia della produzione) ed economia finanziaria (economia del denaro che fa altro denaro).
Le risposte finora adottate per contrastare la crisi, prima crisi del credito e crisi finanziaria e poi sempre più crisi economica, si sono concentrate su aspetti di breve periodo, realizzate con l’intento primario di salvare gli istituti di credito e le aziende in crisi dando così nuova fiducia ai mercati finanziari. Questo a grandi spanne è successo un po’ in tutto il mondo con diverse gradazioni e adottando differenti soluzioni pratiche di natura tecnica.
La domanda però da porsi è questa: si sta utilizzando la crisi per discutere seriamente e approfonditamente sulle motivazioni strutturali che hanno portato a questo crash? Oppure si pensa che tutto si aggiusta, paradosso dei paradossi, con una grande iniezione di denaro pubblico e poi torna tutto come prima e si ricomincia allegramente con il libero mercato senza regole e senza controlli?
Il bivio che è davanti a noi è di questa natura e se la crisi, come credono in tanti, debba essere vissuta come occasione per ridiscutere i paradigmi di un certo modello di sviluppo economico che ci ha portati fino allo schianto allora non può che essere questo il momento per rimettere le cose a posto e interrogarci fino in fondo rispetto ai mali del turbocapitalismo, della finanziarizzazione dell’economia, dell’iperliberismo tanto decantato negli ultimi trent’anni e quindi, senza giri di parole o piroette intellettuali, della stessa idea di “crescita infinita” come destino obbligato delle economie e delle società contemporanee.
I fatti e i volti di questa grande crisi internazionale ci hanno presentato, con grande impatto mediatico, la demoralizzazione dell’economia e la perdita di senso etico generalizzato come conseguenza diretta dei legami rotti o fortemente allentati tra gli uomini e il loro vissuto, il prodotto e il profitto. Si è avuta invece la percezione plastica che le sorti e i destini di gran parte delle nostre economie sono tenute in mano da speculazione e rendita finanziaria finalizzata esclusivamente all’accumulazione e ad una corsa velocissima senza limiti di velocità e soprattutto senza meta.
Detto questo, per ridare senso, valore etico e credibilità alla nostra economia dovremmo forse cercare, come ha scritto Giorgio Ruffolo nel suo ultimo libro Il capitalismo ha i secoli contati di sostituire all’ideale della crescita l’ideale dell’equilibrio; ideale dell’equilibrio che diventa perfettamente compatibile con una concezione del capitalismo inteso non come mera accumulazione finanziaria ma come un sistema altamente competitivo di accumulazione di tecniche e di conoscenze.
Si tratta, come dice Ruffolo, “di spostare le motivazioni del capitalista dall’accumulazione quantitativa al perfezionamento qualitativo” non facendo in modo che si accontenti di bassi profitti ma bensì trovando nella ricerca, nel continuo miglioramento e perfezionamento, la motivazione ultima di un capitalismo che ritrova la sua funzione sociale ed etica.
Il capitalismo e il libero mercato ritrovano così la loro vera funzione se la direzione di marcia è quella di uno sviluppo equilibrato della società dove il fine ultimo non è quello di ricavare profitto privato da un processo produttivo segnato dal lavoro ridotto a merce e dalla natura ridotta a merce ma bensì il fine ultimo diventa quello di assicurare un risultato produttivo netto in condizioni di equilibrio ecologico e naturale. Questo vuol dire che conservare il capitale naturale diventa la fondamentale legge dell’economia e che i risultati da raggiungere sono di tipo qualitativo e quindi si tratta di lavorare e operare, come ci ricorda sempre Ruffolo, su qualità da aggiungere e non su quantità da sottrarre.
Il passaggio da consumare e da costruire, quindi, è la modifica del capitalismo da fine della società a strumento ovvero a mezzo per mettere in moto meccanismi che conducano ad un’economia dell’equilibrio che chiaramente non può realizzarsi senza una importante opera di redistribuzione delle risorse economiche e senza il riconoscimento pieno del valore della qualità come stella polare.
Scegliere la qualità vuol dire operare per una più alta qualità dei beni che si producono ma anche per una più elevata qualità del lavoro senza piegare quest’ultimo alle esigenze della mera crescita quantitativa.
Questo passaggio epocale dalla quantità alla qualità chiama in causa anche un problema di equilibrio (economico e geografico) tutto italiano, quella che un tempo si chiamava questione meridionale e che oggi, in tempi di crisi, assume una gravità ancora maggiore.
La crisi economica assume caratteri congiunturali devastanti nella parte forte del Paese, il Nord, ma nello stesso tempo rischia di sbriciolare strutturalmente le ipotesi di sviluppo del Mezzogiorno.
Anche in questo caso pratico di sviluppo regionale, oggi forse è più il caso di ragionare in termini di equilibrio nella qualità che ostinarsi sul concetto di crescita della quantità.
La strada per un equilibrio nazionale e per una rinnovata solidità a livello di sistema Paese passa per politiche della qualità, al Sud come al Nord, da ottenere grazie ad una crescente capacità di innovazione e ad una radicale opzione politica e strategica a favore di interventi di miglioramento del contesto, da realizzare attraverso una migliore formazione delle risorse umane, migliori infrastrutture, servizi pubblici più efficienti, maggiore innovazione e ricerca.
La strada semplice semplice di salari sempre più bassi, di sgravi fiscali e di incentivi alle imprese è una strada riconducibile al modello della crescita quantitativa che non ha prodotto una svolta in termini di sviluppo al Sud e non ha fatto decollare il Nord e in più non corrisponde a quelle che oggi sono le reali esigenze in termini di sviluppo della società e dell’economia tanto meridionale quanto settentrionale.
Investire sulla qualità, sull’equilibrio e sulla fiducia nel futuro significa oggi comprendere appieno e fino in fondo che è molto utile, per esempio, costruire un nuovo collegamento ferroviario tra due città del Sud che non hanno traffico ma che potrebbero averlo una volta collegate e quindi potrebbero nel tempo creare una nuova domanda.
Come scrive Gianfranco Viesti in Mezzogiorno a tradimento “se si è molto ambiziosi, e si guarda lontano nel futuro, si costruisce anche la ferrovia dall’Atlantico al Pacifico quando San Francisco è ancora un piccolo borgo: proprio per farla diventare una grande città”.
Potrei concludere quindi affermando che è l’ideale dell’equilibrio, mediato e rafforzato dai concetti di qualità e di innovazione, che possono rappresentare una possibile via d’uscita per le tante crisi economiche e finanziarie che devastano il mondo tanto nei paesi ricchi quanto nei paesi poveri e aggiungere anche che il superamento definitivo del fine della “crescita infinita” è possibile solo a condizione di immaginare e praticare una partecipazione attiva dei cittadini alle scelte che li riguardano.
Un processo lento ma ben determinato di riforme che possano condurre ad un sistema ampio di autoamministrazione o meglio potremmo dire di socializzazione dell’amministrazione che renda informati e consapevoli i cittadini di fronte allo Stato in termini di diritti e di obblighi.
Se vogliamo ulteriormente semplificare si può dire che senza uno sforzo importante rivolto al rafforzamento della coesione della società, in termini umani, culturali ed economici, vani saranno i tentativi di riportare senso etico nelle scelte economiche e di evitare nuovi shock dettati dall’ingordigia di un modello economico traballante ma sempre imperante, caratterizzato da avidità e da benefici crescenti per pochissimi e non per tutti.
La celebre frase di John Donne “nessun uomo è un’isola” è sempre più che mai attuale per interpretare ciò che accade nella nostra sfaccettata e complessa società contemporanea.

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