venerdì 18 settembre 2009

Germogli contro il pensiero unico

di Emilio Carnevali

Che nel nostro Paese le "polarità" del dibattito pubblico intorno alle politiche economiche e sociali in tempi di crisi siano costituite dal tributarista teocon Giulio Tremonti da una parte e dal côté di economisti liberisti alla Giavazzi & C. dall'altra, è una delle tante anomalie con cui ci troviamo a fare i conti (non tutte e non sempre direttamente correlate a quella "anomalia delle anomalie" rappresentata dall'attuale inquilino di Palazzo Chigi).
La recente eclissi della sinistra politica dal Parlamento - ovvero dal luogo che a tutt'oggi continua ad incarnare l'articolazione simbolica del dibattito pubblico, quantomeno agli occhi di chi ha il compito di riassumerlo e riferirlo (gli operatori del sistema mediatico-giornalistico) - non ha certo aiutato a veicolare letture e punti di vista fuori dal coro mainstream a proposito della recente crisi economica globale e delle sue implicazioni sul "paradigma economico" dominante, sia dal punto di vista teorico che dal punto di vista delle misure politiche concrete.
Eppure, anche a partire dal circuito mainstream della politica è possibile intravedere ultimamente qualche timido ma inequivocabile segnale che indica, se non proprio una "riapertura dell'universo del discorso", quantomeno il ritorno di temi e proposte derubricate fino a poco tempo fa come stravaganze controculturali.
Volendo citare un esempio di livello europeo, è il caso del dibattito sulla Tobin Tax (dal nome dell'economista premio Nobel James Tobin), cavallo di battaglia del movimento altermondialista nei primi anni del 2000 e rilanciata al vertice di Bruxelles in vista del G20 di Pittsburgh dal ministro degli esteri tedesco - nonché candidato socialdemocratico alla cancelleria - Franz Walter Steinmeier. L'idea di un prelevo dello 0,05% su tutte le transazioni finanziarie internazionali con finalità antispeculative ha trovato il consenso anche di Angela Merkel secondo la quale la Tobin è "una tassa ragionevole". "Vedremo", ha aggiunto la cancelliera tedesca, "se qui troveremo una posizione comune. Se così fosse sarei soddisfatta".
Intanto il suo omologo francese, il presidente (anch'egli di centrodestra) Nicolas Sarkozy ha presentato un rapporto sulla "misura delle performance economiche e del progresso sociale", frutto del lavoro di un gruppo di economisti guidati da Joseph Stiglitz. Premio Nobel per l'economia nel 2001, Stiglitz fu tra i pochi accademici di fama mondiale ad aprire un credito e un canale di confronto verso i movimenti di contestazione della globalizzazione neoliberista. Nel 2002 uscì il suo libro La globalizzazione e i suoi oppositori (in Italia per Einaudi), ricco di spunti ed analisi ancora molto attuali, dei quali si trova un'eco anche nel rapporto commissionato dal premier francese. Due le idee di fondo che rappresentano il contributo più significativo del lavoro della commissione Stiglitz (291 pagine suddivise in 12 raccomandazioni e 3 messaggi): la necessità di superare la "dittatura" del Pil quale unico parametro di valutazione del benessere e della ricchezza sociali; la rinnovata centralità attribuita alla "ripartizione dei redditi" e quindi alla distribuzione della ricchezza oltre che alla sua creazione. Sono i due pilastri sui quali dovrebbe rifondarsi anche una sinistra moderata che voglia liberarsi da quella subalternità al pensiero unico neoliberista denunciata recentemente con lucidità (e con colpevole ritardo) da Romano Prodi in un articolo sul Messaggero (15/8).
In attesa di questa rivoluzione culturale, in quel della "sinistra riformista" potrebbero leggere l'intervento di Carlo De Benedetti pubblicato sul Sole 24 Ore dello scorso 12 settembre: "Un'imposta sui patrimoni per detassare le busta paga". "In Italia", scrive De Benedetti, "secondo i dati di via Nazionale, il 10% delle famiglie detiene oltre la metà della ricchezza patrimoniale. È su questa base imponibile che si dovrebbe incidere" al fine di "spostare il peso del fisco dalla produzione e dal lavoro alla rendita improduttiva". "È una riforma liberale, non certo vetero-comunista", scrive ancora De Benedetti. "Perché favorire fiscalmente chi produce e lavora, penalizzando chi accumula, come ci ha insegnato Luigi Einaudi, è l'essenza stessa del liberalismo".
È vero, è una riforma liberale e di buon senso. È possibile che il futuro segretario del Pd la faccia propria?
(18 settembre 2009)

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