di Pietro Orsatti su Terra - 1 settembre 2009
Giuseppe Lumia si candida alla segreteria regionale in Sicilia ma vuole proporre un modello nuovo di partito nazionale che vada oltre i gruppi di potere interni e al gioco degli schieramenti. Spezzando ogni equilibrio.
Il dibattito congressuale nel Pd in Sicilia assume caratteristiche particolari. In primo luogo perché uno dei candidati alla segreteria regionale, Giuseppe Lumia, ha scelto di farsi avanti fuori dal gioco delle varie mozioni e correnti come indipendente e spezzando quindi i già fragili equilibri interni al partito sia a livello nazionale che isolano. «La mia candidatura intende rompere con il centralismo correntizio – spiega Lumia – . Quello che guarda i territori con lo schema del capo corrente nazionale, del sotto capo corrente regionale e del sotto sotto capo corrente territoriale. Il nostro è un tentativo di proporre un modello di profonda mutazione organizzativa interna del partito».
Una proposta, la sua, che sembra guardare oltre al piano siciliano. Si sta rivolgendo al livello nazionale del Pd?
Certo. Partendo da qui intendo proporre un modello di partito “Paese” e non di un partito “corrente”. Il partito “Paese” è quello che si organizza sui territori, e che li responsabilizza, a radicarsi, a progettare, ad essere soggetti con un respiro oltre al livello locale anche a livello nazionale. Il modello a cui penso deve tenere insieme due cose: apertura verso la partecipazione e capacità decisionale.
Quindi un livello di autonomia più netto di quello esistente tuttora?
Facciamo l’esempio della Sicilia. Con un modello simile non esisterà più la relazione esclusiva fra capo corrente nazionale e sotto capo corrente regionale e così via. Dobbiamo pensare a un partito regionale che negozia, che non si fa calare dall’alto le candidature, che entra dentro le scelte di fondo che nel nostro Paese e in Europa bisogna assumere. Radicato quindi sul territorio e che diventi finalmente forte.
La sua scesa in campo per la segreteria regionale sembra voler dare un segno di discontinuità.
Non vorrei sembrare presuntuoso, ma quello che stiamo cercando di fare può avere una portata storica. Siamo davanti all’emergere di una classe dirigente nel Pd che sa coniugare legalità e sviluppo, una moderna visione di legame fra legalità e sviluppo che ritengo che sia la migliore soluzione per spazzare via la mafia, non solo contenerla. E nello stesso tempo creare lavoro, moderno e innovativo, far crescere la cultura dei diritti e dei servizi, promuovere uno sviluppo solidale.
Alcuni hanno segnalato, in questo dibattito congressuale, una sua vicinanza con Bersani.
Le dico con molta onestà che fin dall’inizio ho avanzato una proposta che prescindeva da una collocazione negli schieramenti. È nata così e così si è sviluppata. C’è stato un dialogo con l’aria Franceschini e in modo particolare, lo debbo dire, con l’area Bersani. Però alla fine ho deciso di fare una scelta di mettere al primo posto la Sicilia, e di lanciare una sfida al Paese.
Inflazione che riparte in controtendenza dal livello nazionale, crisi occupazionale e sociale. Cosa sta succedendo in Sicilia?
Il centro destra in questi anni ha rovinato la Sicilia. Ha costruito una occupazione della società da parte della politica attraverso il meccanismo perverso dell’intermediazione. Tutto è intermediato dalla politica, come i bisogni e le opportunità. Una catena perversa che parte dalla burocrazia, passa per la clientela e arriva alla mafia.
La questione morale. Da porre anche nel Pd?
La politica ha l’enorme responsabilità nel nostro Paese di non aver mai posto come priorità la lotta alle mafie. La politica al massimo è riuscita a fare un po’ di antimafia del giorno dopo. La politica fa la furba, delega tutto alla magistratura, per poi stracciarsi le vesti e gridare al complotto quando si svelano sistemi di collusioni. La questione morale può essere invece un grande strumento di innovazione e per trovare autorevolezza e credibilità.
giovedì 3 settembre 2009
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