di Gian Mario Gillio*
Il Corano, nella sura II, versetto 256, recita: «Non vi è costrizione nella fede»; nella sura XVIII, versetto 29, dice anche: «Di’: La verità viene dal vostro Signore: chi vuole creda, chi non vuole non creda». Posizioni fondamentaliste queste? Coercitive? Certamente no! I fondamentalismi, tuttavia, sono il vero pericolo della nostra società, e a volte chi cerca di combatterli rischia di essere più «fondamentalista dei fondamentalisti». Così potremmo definire alcuni atteggiamenti, commenti, considerazioni, riflessioni e soprattutto titoli usciti in questi giorni su la Padania: “La Sharia fa un’altra vittima al nord – amava un cristiano, il padre la uccide” oppure “Gli islamici okkupano il Piave”, strilli, questi, pericolosi e devianti. Il delitto della giovane Sanaa molto probabilmente poco o nulla aveva a che vedere con la religione islamica, più corretto sarebbe stato trattare l’argomento come un caso di cronaca nera evidenziando il raptus di follia di quell’uomo e, in seconda analisi, della sua errata interpretazione religiosa che lo ha spinto a tale gesto. Anche molti cristiani, come ben sappiamo, hanno compiuto tremendi atti di violenza e omicidi, ma mai abbiamo letto in prima pagina titoli simili a quello della Padania. Pensate cosa accadrebbe se si titolasse in prima pagina: “La religione cattolica fa un’altra vittima al nord – amava un musulmano, il padre la uccide”. E gli “okkupanti del Piave” che hanno così spaventato il quotidiano leghista per l’improvvisa invasione (mamma li turchi!), che cosa avrebbero mai fatto? Stavano semplicemente manifestando per esprimere il loro dissenso verso la politica governativa in materia di immigrazione e di respingimenti.
Altro tema di questi giorni, i provvedimenti amministrativi che alcune città italiane vorrebbero attuare per impedire l’uso del chador o burqa (ancora poco visibile in Italia) alle donne di fede islamica. Per “sensibilizzare” l’opinione pubblica su questo tema è “venuta in soccorso” l’ex parlamentare Santanchè, che a Milano, in occasione della chiusura del Ramadan, ha cercato di impedirne l’uso ad alcune donne islamiche. Perché lo avrebbe fatto? Per difendere la «laicità» dello Stato? La nostra Carta costituzionale, laicamente, già lo fa, riconoscendo alle religioni uguale diritto d’espressione. Oppure si è sentita investita del ruolo di portavoce di un comune disagio del popolo italiano, in particolare femminile, per il fatto che alcune donne islamiche, proprio come avveniva in passato in Italia, ed ancora oggi in molte regioni del sud della nostra penisola, indossino il velo? Non possiamo saperlo, ma una cosa è certa: moltissimi italiani non si sono sentiti affatto rappresentati dalle eroiche gesta della ex parlamentare. La questione del velo, in seno al mondo femminile musulmano, già da molti anni sta assumendo un valore simbolico fondamentale. All'interno della diaspora musulmana insediata in Europa ci sono donne che lo considerano come un simbolo negativo che ostacola l'emancipazione e l'affermazione della laicità e delle istanze pubbliche. Ci sono altre che lo ritengono rilevante come simbolo identitario e di appartenenza in una società plurale.
La discussione è dunque aperta. Portare ad una violenta divisione fra oppositrici e sostenitrici del velo rischia in qualche modo di creare una spaccatura all'interno della realtà femminile musulmana e di distogliere l'attenzione su questioni ben più importanti quali la situazione della donna nel mondo islamico, i suoi diritti e la sua emancipazione come soggetto sociale che ha pari diritti, dignità e doveri rispetto all'uomo. Alcuni movimenti, oggi, in nome della libertà religiosa e della laicità – che essi stessi, spesso negano agli altri – cercano di consolidare un consenso populista pericoloso e fuorviante. La questione non è: velo sì, velo no, ma garantire la libertà d’espressione a tutti, anche alle diverse espressioni di fede, proprio come dice la nostra Costituzione e come avviene per i nostri simboli religiosi. Al di là di quanto detto finora, vanno segnalati anche alcuni gesti importanti di solidarietà indirizzati alle comunità islamiche presenti in Italia, come, ad esempio i messaggi di amicizia del mondo cristiano ed evangelico italiano in occasione delle celebrazioni per la fine del mese di Ramadan. In particolare il 18 settembre (il prossimo 27 ottobre si terrà in tutta Italia la Giornata del dialogo cristiano-islamico), una delegazione ecumenica promossa dal mensile Confronti ha reso visita alla comunità islamica della capitale raccolta presso la Grande Moschea per la preghiera del venerdì. Tra gli altri, erano presenti la presidente dell’Unione cristiana evangelica battista d'Italia (UCEBI), pastora Anna Maffei; la moderatora della Tavola valdese, pastora Maria Bonafede; la responsabile del dipartimento per la libertà religiosa dell’Unione delle chiese cristiane avventiste (UICCA), Dora Bognandi. Il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), Domenico Maselli, ha fatto arrivare il suo messaggio di saluto al segretario generale del Centro culturale islamico d’Italia, Abdellah Redouane, sottolineando "la necessità di rapporti sempre più stretti tra comunità di fede impegnate nel dialogo interreligioso e nell’affermazione del valore del pluralismo. In ogni angolo del mondo – ha sottolineato Maselli – la libertà religiosa resta un valore prezioso ed insopprimibile e per questo sosteniamo le richieste dei musulmani in Italia tese al riconoscimento della loro comunità che, anche in Italia, ha un rilievo sociale sempre maggiore". All’incontro nella moschea di Roma erano presenti anche alcuni politici di fede valdese: il senatore Lucio Malan (PdL) e Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista.
Malan in un comunicato stampa diffuso dall’agenzia Nev in seguito all’incidente scoppiato a Milano che ha coinvolto Daniela Santanché, che protestava contro il chador, e qualche membro della comunità islamica riunita per le celebrazioni di fine Ramadan, ha dichiarato: "Da una parte, se c'è un colpevole di aggressione, va certamente punito, ma dall'altra, bisogna evitare un clima di scontro, che rafforzerebbe gli estremisti… Di certo, deve essere rivista la legge che vieta l'uso di qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. Stabilire se certe tradizioni etnico-religiose sono o non sono ‘un giustificato motivo’ non può essere lasciato sempre al giudice o alle forze dell'ordine presenti sul posto".
Una riflessione seria che passi tra il rigido Burqa, che investe la questione dei diritti, e la lecita nudità minorile sdoganata dalla televisione italiana con la relativa rappresentazione mediatica femminile che ne scaturisce, è certamente utile e necessaria, ma solo se fatta in modo serio e non sensazionalistico. Per ora non abbiamo notizia di provvedimenti amministrativi in atto per impedire che decoltée provocanti, lifting omologanti, aspiranti veline ed escort, possano turbare la quiete pubblica o girare indisturbate per le strade italiane, soprattutto nei pressi di Piazza Venezia a Roma.
mercoledì 30 settembre 2009
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