venerdì 3 luglio 2009

Autonomismo, riformismo, liberalsocialismo

Niente di nuovo. Sotto il sole regna sovrana la confusione. E mentre diventa ineluttabile il permanere del mattarellum per la prossima tornata elettorale, si continua a fantasticare di fusioni, federazioni, alleanze, nell’illusione di una sommatoria di zeri e zerovirgola che produca un 4% che è la soglia di sbarramento. Tutto ciò, non solo non porta a niente, ma è di ostacolo all’organizzazione di un Partito Socialista che, partendo dal basso, riprenda il cammino del filone rosselliano liberalsocialista tragicamente interrotto e fraudolentemente archiviato. In tale contesto, anche le parole assumono significati ambigui alimentando la confusione, che favorisce solo i famelici falascià in crisi d’astinenza che mirano all’unico scopo di una carica pur che sia, infischiandosene del progetto collettivo. E’ necessario pertanto cominciare a puntualizzare. Innanzitutto l’autonomismo. Autonomo da che? Storicamente, dai comunisti. Nel senso però di perseguire lo Stato dei Soviet con lo strumento di un’organizzazione autonoma e non unitaria con altre forze cosiddette proletarie. Si vuole questo? Credo di no, e l’autonomismo deve corrispondere a un progetto politico e a un modello propositivo di società ,originale e distinto da quello degli altri. E se è così, indispensabile è produrre il progetto, non anteporre etichette che ingenerano confusioni. Né progetto è il riformismo, altro vocabolo usato a sproposito e entrato ormai nel patrimonio comune a tutte le forze politiche. C’è qualcuno forse che non si dichiari riformista? E allora anche qui va fatta chiarezza. Riformismo è termine che, per i socialisti, è storicamente contrapposto a massimalismo, per indicare due correnti di pensiero che, schematizzando, privilegiavano l’una, le riforme, l’altra la rivoluzione, come tattiche per conseguire lo stesso obiettivo strategico che per entrambe coincideva: anche qui lo Stato socialista dei Soviet. Pure in tal caso dunque l’utilizzo del termine pare improprio. Già a suo tempo Turati negò la contrapposizione massimalisti/riformisti da intendere piuttosto come “minimalisti”. “Non vi è socialista serio e onesto che, in dati casi, non sia disposto a transigere, ossia a contentarsi di un meno in attesa e in preparazione del più, anziché allontanare o compromettere il tutto per volerlo conquistare d’un colpo”, precisava il vecchio patriarca. E aggiungeva “vi è un solo socialismo. Quello di chi sa cosa è il socialismo” che si contrappone a “chi non lo sa… chi professa il socialismo in buona fede, e….chi si serve di una male appresa fraseologia socialista come di un trampolino elettorale, come di una scaletta per salire. Vi è insomma il socialismo dei socialisti, e quello degli imbecilli e dei ciarlatani”. Al tempo in cui si discettava in tal modo dunque la sinistra con tattiche differenti, mirava , pur nelle diverse articolazioni, al medesimo obiettivo: la repubblica dei Soviet che poi vuol dire “Consiglio”, e nel caso in specie, associazione operaia. Andava di moda infatti il “socialismo scientifico” di Marx che aveva soppiantato e accantonato quello umanitario dei Saint Simon, Fourier, Le Blanc che, in Italia, si era incarnato nelle storiche figure di De Amicis e Garibaldi. Fu poi Carlo Rosselli a riprendere il filone iniziale e, criticando ferocemente il marxismo, indicò una nuova strategia, il socialismo liberale, quale completamento naturale e sviluppo della rivoluzione francese: l’estensione a tutti i cittadini dei diritti riservati a pochi. In altri termini, il pieno dispiegarsi del principio di uguaglianza. Carlo Rosselli fu ucciso, col fratello Nello dalla cagoule, un’organizzazione criminale di destra, ampiamente infiltrata dai servizi segreti bolscevichi, e il liberalsocialismo fu archiviato e seppellito con disprezzo in particolare dai comunisti, ma anche col complice silenzio di Nenni che ancora correva dietro all’unità del proletariato. L’invasione russa dell’Ungheria indusse Nenni alla rottura coi comunisti, recuperando le differenze fondamentali indicate da Turati: il rifiuto della violenza, della dittatura del proletariato, della coercizione del pensiero. Ma fu solo con Craxi che il pensiero rosselliano tornò d’attualità e nacque il vero autonomismo socialista: una chiara strategia incarnata in un’organizzazione indipendente. Intini esplicitò il progetto in un libro intitolato “Lib-Lab”, e venne il pentapartito nel quale, i liberali, fino ad allora tenuti ai margini del discorso politico e bollati come “destra” poterono liberamente esplicitare la loro cultura che cominciò ad armonizzarsi con quella socialista anche in alcune importanti realizzazioni, come la legge sull’aborto che porta appunto il nome di un socialista (Fortuna) e di un liberale (Baslini). In tal senso aveva ragione Berlinguer quando accusava i socialisti di una “mutazione genetica”, era infatti cambiata completamente la strategia, dal socialismo scientifico al liberalsocialismo. Ed è questo il filone che si intende ripristinare. La via italiana al socialismo che non ripudia affatto De Amicis e Garibaldi di cui, tra l’altro, Bettino fu un estimatore, ma che lo arricchisce dell’obiettivo rosselliano, indicando anche la tattica, pur essa, in questo contesto, precisa, quella delle riforme.In tal senso tutto quadra. Autonomismo indica la forma partito orgogliosa e indipendente, che stipula alleanze politiche, ma che conserva una sua precisa identità. Riformismo è lo strumento operativo per costruire l’obiettivo strategico di una società liberalsocialista. E se lo strumento è comune ad altre forze politiche non importa, perché la strategia è diversa e originale. Tattica e strategia sono chiarite, più complesso è il discorso sull’autonomismo, in particolare sulla forma Partito. In Italia si è diffuso il modello leninista del Partito-Stato, e ciò per necessità storiche di contrastare il più forte Partito Comunista dell’Occidente. Oggi forse è il caso di ripensare il tutto, e pare più rispondente ai tempi un Partito leggero, in cui sia forte la testa pensante, ma che sia esentato da un corpaccio ipertrofico, tra l’altro dai costi insostenibili, e privato dal gioco dell’azionariato (tessere dei morti, degli ignari e dei non paganti) che mina alle fondamenta il ragionamento politico. Pochi dunque, coesi e solidali, i latini direbbero “electi”. Ci induce a questa soluzione anche la dotazione tecnologica dei tempi (informatica, telematica, televisione) che favorisce la comunicazione e la circolazione delle idee, a tutto svantaggio di sezioni, federazioni e circoli che, non è un caso, laddove esistono, costano troppo e sono poco frequentati. A capirlo ci costringeranno, malgrado le interessate o ottuse resistenze, le circostanze. Come si diceva una volta, il contesto.

Torinolì,13.6.2000 Riccardo Nigro

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