di Emilio Carnevali
Il 20 gennaio scorso, nel giorno dell’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca, Paul Krugman aveva scritto una lettera aperta, per nulla formale, al neopresidente Usa. “Forse è meglio che si sieda prima di leggere quello che segue”, aveva avvertito il premio Nobel prima di comunicare l’entità degli stimoli fiscali che la nuova amministrazione avrebbe dovuto mettere in campo per contrastare la devastante recessione e la connessa emorragia di posti di lavoro che hanno colpito l’economia americana (e mondiale). “Bene, ecco qui”, aveva aggiunto poche righe sotto Krugman immaginando il suo interlocutore accomodarsi sulla confortevole poltrona dello studio ovale. “‘Piena occupazione’ significa un tasso di disoccupazione del 5% al massimo e forse anche meno. Nello stesso tempo, al momento siamo su una traiettoria che spingerà il tasso di disoccupazione al 9% o più. Perfino le stime più ottimistiche indicano che ci vogliono almeno 200 miliardi di dollari l'anno in spesa governativa per tagliare il tasso di disoccupazione di un punto percentuale. Faccia i conti: Lei dovrà probabilmente spendere 800 miliardi di dollari l'anno per ottenere un completo risanamento economico. Qualsiasi cifra al di sotto dei 500 miliardi l'anno sarà davvero troppo piccola per produrre una vera inversione economica”.
Come aveva previsto Krugman, il piano di stimoli e quello per il salvataggio del sistema bancario varati da Obama non sembrano esser stati sufficienti a tamponare la crisi, tanto che “i cosiddetti ‘germogli’ della ripresa si stanno seccando sotto lo spietato sole estivo”, per citare l’inquietante espressione utilizzata da Robert Reich.
Negli Usa il numero dei disoccupati viaggia verso l’abisso simbolico di quota 10% (attualmente è al 9,5%, il livello più alto dal 1983), superata la quale sarebbero veramente guai. Ecco perché anche all’interno dell’amministrazione Obama c’è chi comincia a parlare di un nuovo piano di stimoli: i soldi stanziati finora – sono parole di Laura Tyson, membro dell’Economic Recovery Advisory Board della Casa Bianca – “sono troppo pochi per avere un effetto positivo sull’economia”. Anche Larry Summers, capo del National Economic Council, ovvero capo dei consiglieri economici di Obama, ha dichiarato sul Financial Times che “il peggio non è finito, è possibile che perderemo altri posti di lavoro e non deve sorprendere che il Pil non abbia ancora toccato il fondo”.
Qui da noi, invece, la crisi nemmeno la si può nominare, e già c’è qualcuno che comincia addirittura a parlare di exit stategy. Se fosse italiano probabilmente Krugman sarebbe bollato dal nostro presidente del Consiglio come un “bolscevico menagramo”.
Si susseguono intanto misure demenziali (per usare un termine caro al nostro ministro dell'economia) come quella della “regolarizzazione selettiva” degli immigrati impiegati nel lavoro domestico, che sarà probabilmente inserita in un emendamento al disegno di legge anticrisi. Le conseguenze di questa norma, che non permette la regolarizzazione di tutti quei lavoratori immigrati attivi in impieghi diversi da quelli di colf e badanti, sono facilmente prevedibili. I datori di lavoro che vorranno regolarizzare il rapporto con un proprio lavoratore troveranno un soggetto terzo che dichiari di aver assunto come collaboratore familiare il lavoratore in questione. Una volta ottenuto il permesso di soggiorno l’immigrato potrà dimettersi il giorno dopo dal proprio impiego fittizio ed essere regolarmente assunto dal proprio reale datore di lavoro. A rimanere tagliati fuori da questo obbligato meccanismo truffaldino (la condanna da 1 a 6 anni di carcere per dichiarazione mendace che sarà inserita nelle norme della sanatoria ricorda molto le grida di manzoniana memoria...) saranno quei lavoratori (e quei datori di lavoro) che hanno già inoltrato le domande di regolarizzazione e attendono l’ok alle quote flussi 2007 e 2008. Le loro generalità sono già state acquisite dal ministero degli Interni e non potranno certo permettersi di inventare un rapporto di lavoro fasullo per aggirare la “regolarizzazione selettiva” inventata dal fantasioso razzismo di Stato imperante nell’Italia berlusconian-leghista.
Lo scudo fiscale che il governo si appresta a varare sarà l’ennesimo premio a furbi e furbetti. Ma la profonda sensibilità riformista di questa maggioranza non si accontenta. Ha scritto Guido Calogero che “non si realizzerebbe nessuna politica se non si lavorasse sul possibile, cioè se non si operasse in base alle forze sussistenti e con l’aiuto degli uomini che ci sono e non di quelli che si desidererebbe ci fossero; ma neppure si creerebbe nulla se ci si contentasse delle forze quali sono, e non si cercasse di migliorare la civiltà migliorando l’orientamento degli uomini”. Questo governo sta facendo una cosa molto simile, sebbene del tutto rovesciata nei fini, al riformismo auspicato da Calogero. Non si accontenta degli uomini così come sono (dei tanti furbi e furbetti dei quali è già piena l’Italia), ma si preoccupa di crearne di nuovi, obbligando chi non lo è ancora a diventare “furbo” per aggirare le assurdità delle leggi.
(14 luglio 2009)
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