A volte arrivano anche le buone notizie: è il caso dell’ordinanza del tribunale di Bologna, depositata due giorni fa, che fornisce nuove interpretazioni alla contestata legge 40 sulla fecondazione assistita. Una legge che è stata criticata da più parti e che sembra quasi essere stata costruita senza prendere in considerazione il corpo della donna.
D’altronde cosa si poteva aspettare da una maggioranza che della donna deve avere scarsa considerazione se finisce per far parlare di sé più per le foto scandalistiche e per i rapporti poco chiari del suo capo del Governo con un numero infinito di giovani fanciulle, piuttosto che per le sue scelte politiche.
Il Tribunale di Bologna ha stabilito che da oggi le tecniche di procreazione assistita potranno essere applicate non solo a chi non può avere bambini a causa della sterilità del coniuge ma, in base all’ordinanza, anche alle coppie non sterili che hanno già avuto figli ma che sono nati con gravi patologie.
L’ordinanza non fa altro che aggiungere chiarimenti ad una sentenza dello scorso marzo della Corte Costituzionale che aveva già abbattuto alcuni limiti ritenuti sbagliati dalla comunità scientifica. E spiega anche perché il divieto imposto alla diagnosi prima dell’impianto, salvo poi consentire alla donna di abortire dopo la fecondazione, è sbagliato. “Il divieto di diagnosi preimpianto pare irragionevole e incongruente col sistema normativo se posto in parallelo con la diffusa pratica della diagnosi prenatale, altrettanto invasiva del feto, rischiosa per la gravidanza, ma perfettamente legittima”.
Da oggi questa procedura sarà quindi considerata ammissibile così “come il diritto di abbandonare l’embrione malato e di ottenere il solo trasferimento di quello sano”.
L’ordinanza firmata da Chiara Gamberini ha così dato una risposta a una coppia fiorentina che si era rivolta al centro Tecnobios di Bologna per avere un secondo figlio dopo aver provato il dolore di un bambino colpito da distrofia di Duchenne, trasmessa dalla madre.
La risposta del centro, legge alla mano, era stata di non poter analizzare l’embrione prima dell’impianto. La coppia, però, ha deciso di non arrendersi e ha presentato ricorso, ottenendo, oggi, un’ordinanza molto importante per quanti grazie a questa legge rinunciano, ogni giorno, ad avere dei figli.
Nell’ordinanza si dispone anche di procedere alla diagnosi preimpianto di un numero minimo di 6 embrioni e che il medico deve eseguire i trattamenti “in considerazione dell’età e del rischio di gravidanze plurigemellari pericolose” e deve provvedere al congelamento “per un futuro impianto degli embrioni risultati idonei che non sia possibile trasferire immediatamente”.
Così ci vuole una nuova sentenza (dopo quella del Tar del Lazio e le due ordinanze del Tribunale civile di Firenze) per ricordare al mondo politico che ogni donna è diversa e ognuna ha diritto ad un trattamento adeguato.
E’ molto probabile che la decisione del tribunale farà discutere e c’è da augurarsi che i politici, presi dal disastro ferroviario, dal g8 e dalle gaffes, si dimentichino di tutto questo. Nel frattempo una coppia potrà finalmente procedere alla diagnosi genetica sugli embrioni per riuscire ad avere un figlio sano.
Marianna Lepore
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