di Luca Tescaroli - 22 luglio 2009
Vorrei prendere le mosse dal mio ricordo su quel che accadde il 19 luglio 1992. Distruzione, palazzi sventrati, macchine in fiamme, decine di feriti, i brandelli dei corpi irriconoscibili di Paolo Borsellino, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Eddie Walter Cusina...
...condomini scioccati, sgombero di edifici, ambulanze, parenti delle vittime che piangevano, una folla di gente scomposta che affluiva per curiosare e per capire il perché di quel botto, tentativi di prestare soccorso ai feriti e di transennare la zona. È lo scenario che si presentava agli occhi di chi si trovava in via Mariano d´Amelio il pomeriggio del 19 luglio 1992, poco dopo le 16,58. Immagini strazianti frutto della ferocia mafiosa dure da svanire. Le rivedo, soprattutto, nei momenti di scoramento, di difficoltà che incontro nelle giornate di lavoro che si protraggono sino a tarda notte e che iniziano alle prime luci dell´alba.
INTERROGATIVI SENZA RISPOSTE SULLE STRAGI DI COSA NOSTRA
Serve la resistenza civile di fronte al sistema mafioso e al suo potere che convoglia appartenenti a tutte le classi sociali Con la richiesta di impegno alle istituzioni
Immagini che mi hanno offerto e mi offrono la forza morale e l´energia per continuare nell´impegno quotidiano e per testimoniare i valori in cui credo anche dentro le aule di giustizia. Noi tutti dobbiamo ricordare quel che accadde 17 anni fa. Serbare la memoria di coloro che il 19 luglio 1992 sono morti significa riportare in vita il loro spirito e il patrimonio dei valori morali che ha permeato la loro esistenza. È con l´impegno quotidiano, e non solo in occasione delle commemorazioni, che si deve dimostrare che Borsellino e i valorosi ragazzi della sua scorta sono vivi. Un impegno tanto più importante oggi dinanzi alla crisi di legalità e allo strapotere della criminalità organizzata e della corruzione politica. La mafia e i suoi garanti avvertono preoccupazione e temono la repressione, ma ancor di più l´impegno dei cittadini che rifuggono il compromesso, l´indifferenza, rispettano anche le leggi che impongono sacrifici, rifiutano di trarre benefici dal sistema mafioso (aiuti, posti di lavoro, raccomandazioni), collaborano con la giustizia, si impegnano sul territorio, nella scuola, nelle associazioni, nelle parrocchie in attività educative e culturali, di costruzione di reti sociali e di una cultura della legalità.
Quel che serve è una resistenza civile di fronte al sistema mafioso e al suo meccanismo di potere, che convoglia appartenenti a tutte le classi sociali. Una resistenza a cui dev´essere affiancata una forte e pressante richiesta di impegno da parte delle forze dell´ordine e della magistratura nel non dare tregua ai mafiosi e a chi condivide con loro interessi. In questa direzione bisogna puntare senza riguardi e senza le eccessive prudenze che spesso si sono registrate. L´attentato di via d´Amelio rimane il più misterioso e inquietante dell´intera campagna stragista dei primi anni Novanta, che cambiò il corso della storia, riuscendo a condizionare i mutamenti degli equilibri di potere, creando le premesse per l´affermarsi di nuove forze politiche e assetti istituzionali.
Sono stati compiuti passi importanti nella ricerca della verità. Abbiamo provato con certezza piena il coinvolgimento di Cosa nostra. Alcuni interrogativi però sono rimasti aperti sulle modalità operative di quell´agguato: chi azionò il telecomando che provocò l´esplosione, come fu procurato l´esplosivo collocato nella Fiat 126 rubata dai membri del commando operativo. Nessuna certezza è stata raggiunta sulle responsabilità dei cosiddetti "mandanti altri". Gli esiti dei dibattimenti celebrati hanno indicato la via da percorrere in questa difficile ricerca della verità nelle crepe del potere politico-istituzionale-finanziario. Una verità sulla quale non può calare una cortina. L´impegno dei magistrati induce a ritenere che la partita non possa ancora considerarsi conclusa, nonostante il lungo lasso temporale. Ma l´Italia è pronta ad accettare che comportamenti devianti siano addebitati a esponenti della classe dirigente, tanto più se accostati a eventi stragisti? Per ottenere i risultati non è sufficiente investigare con convinzione e serietà, senza compromessi e incertezze. Occorre la tensione e la partecipazione attiva del popolo del mondo politico e della comunicazione. Io credo che i cittadini non possano accettare che permangano su quel passaggio cruciale della nostra storia recente lati oscuri e che taluni quesiti non trovino risposte. Perché vi fu l´accelerazione della strage di via d´Amelio? L´accelerazione è correlata alla trattativa che i vertici di Cosa nostra stavano portando avanti con rappresentanti delle istituzioni per condizionare la politica legislativa del governo in cambio dell´interruzione delle stragi? Perché la stagione stragista basata su azioni eversive e terroristiche - che oggettivamente contribuirono a disarcionare le classi dirigenti - si fermò e il fallito attentato allo stadio Olimpico, programmato per domenica 31 ottobre 1993 in via dei Gladiatori a Roma, non venne replicato? Mi auguro che l´anniversario appena passato sia l´occasione per rilanciare un impegno investigativo e che si possa scoprire tutta la verità perché senza verità completa non può esserci giustizia. Spero, al tempo stesso, che il legislatore, impegnato in una nuova riforma della giustizia, nella sua ansia di neutralizzare l´azione dei pubblici ministeri, non impedisca il necessario sviluppo investigativo. Non può sfuggire il fatto che i pubblici ministeri siano oggetto di una campagna di demonizzazione e delegittimazione senza precedenti nella storia europea. Un attacco fagocitato da uomini che detengono il potere, i quali paradossalmente si spingono a indicare taluni mafiosi come eroi. E ciò deve rappresentare un motivo di riflessione per tutti i cittadini.
Tratto da: la Repubblica
mercoledì 22 luglio 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento