giovedì 30 luglio 2009

Un profilo di storia critica del socialismo italiano e la proposta liberalsocialista

11 setttembre 2006.
La storia del socialismo italiano, vista nella lunga durata bisecolare, si presenta oggi come una matassa ingarbugliata, di cui è arduo, quasi impossibile trovare il bandolo.

Gli uomini e le donne di sinistra liberalsocialista devono fare un ennesimo tentativo, mettendoci tutta la serietà possibile, tutta la più coraggiosa autocritica possibile, tutta l'umiltà possibile, ma tutto l'orgoglio doveroso di un ideale nobile, il socialismo liberale e democratico, che ha dato tanto nella storia italiana, europea, mondiale per l'emancipazione degli uomini e delle donne, in particolare dei più deboli, dei più umili.

Secondo noi le cause delle crisi, delle divisioni, delle cadute, delle sconfitte, dei fallimenti, dei tradimenti, della fine storica di tante strutture partitiche socialiste, sono state l'individualismo presuntuoso e distruttore, il professionismo burocratico-politico con l'egemonia degli apparati, gli sbandamenti delle collocazioni e delle alleanze politiche. Quelle cause mescolate insieme hanno portato ad una scissione tra etica e politica, in nome di un malinteso realismo, e ad un rapporto confuso, e spesso masochisticamente e tragicamente conflittuale, nei confronti dell'istanza liberale, del valore della libertà, frutto del mondo moderno, dell'Umanesimo, della Rivoluzione Scientifica, delle Rivoluzioni politiche in Inghilterra e negli Stati Uniti, della Rivoluzione francese coi suoi principi immortali, che sono stati, sono e dovranno essere sempre i nostri, in cui sono collocate le nostre radici: "Libertà - Eguaglianza - Fraternità", testimoniati tra i primi in Italia nel 1799 dai Martiri della Repubblica Napoletana (tra i quali Eleonora Pimentel Fonseca, Domenico Cirillo, Mario Pagano, Vincenzio Russo, il vescovo Michele Natale).

Fino alla svolta marxista nella storia del socialismo italiano, che ha la sua data nel Congresso operaio e socialista del 1892, quando si verifica la prima scissione marxista (e non la nascita del socialismo italiano), il panorama ideale ed organizzativo era vario e plurale.

Se si prende come data di nascita del socialismo italiano il 1869, quando viene aperta a Napoli la prima sezione della Prima Internazionale, fondata a Londra nel 1864, molte erano le linee ideali e organizzative socialiste e tutte conciliate profondamente con le istanze liberali e libertarie del mondo moderno: il socialismo liberaldemocratico, il socialismo libertario, il comunismo libertario, il socialismo operaista, il socialismo sperimentale, in collaborazione/intreccio con le forze liberaldemocratiche, sia quelle intransigentemente repubblicane e antiparlamentari, legate al profeta del Risorgimento Giuseppe Mazzini, sia quelle più realistiche e mediatrici, legate a Giuseppe Garibaldi, l'eroe dei Due Mondi, riunite in Parlamento e nel paese nella Sinistra Estrema Democratica Radicale, che aveva le sue personalità più importanti, dopo Garibaldi, in Agostino Bertani e Felice Cavallotti.

I primi deputati sostanzialmente socialisti, prima di Andrea Costa, furono dopo l'Unità Giuseppe Fanelli di Napoli e Saverio Friscia di Sciacca (Agrigento). Giuseppe Fanelli (collaboratore del martire napoletano Carlo Pisacane, morto nel Cilento nel 1857, uno dei primi socialisti liberali italiani) partecipò con Garibaldi nel 1860 all'impresa dei Mille, fu anche uno degli apostoli del socialismo liberale e libertario in Spagna, che deve proprio a queste origini liberali e libertarie la sua difesa dal marxismo, che non a caso non ha mai attecchito in Spagna, come dimostrano le vicende storiche di quel paese, tra cui la gloriosa rivoluzione del 1936-1939 e l'ispirazione della sua tradizione socialista fino ad oggi.

Fanelli e Friscia fondarono a Napoli nel 1867 l'associazione democratico-sociale, con relativo periodico, "Libertà e Giustizia", dal programma sostanzialmente socialista liberale e democratico, e che appoggiò, tra le altre iniziative, la candidatura di Cattaneo a deputato.

Se il realismo, anche di origine positivista, quindi non solo marxista, rese l'azione politica turatiana concreta e vincente a livello amministrativo - sindacale, essa creò una tradizione di dogmatismo, pur raffinato (es. quello di Rodolfo Mondolfo), e di diffuso professionismo politico, che è stata la causa non secondaria delle tante crisi del socialismo italiano.

Nessuno può e dovrà dimenticare la tradizione socialista riformista italiana, anche nella sua variante espressamente socialdemocratica, da Turati e Matteotti a Pertini, Nenni e Saragat, nelle sue pagine più nobili, ed il nostro tentativo ne riconosce espressamente i valori, le esperienze, le testimonianze alte fino al martirio da essa incarnate.

Ma il dogmatismo marxista, specialmente nelle versioni massimaliste, e il professionismo burocratico-politico allontanarono dal socialismo uomini come Gaetano Salvemini, che pur vi aveva aderito. Egli definiva il marxismo una droga ideologica, che all'inizio ti dà un'ebbrezza, una forte emozione intellettuale, poi crea una dipendenza pericolosa e tragica, tra il dogmatico, il religioso, con rischi di settarismo e anche fanatismo, ed accusava il classismo operaista di Turati e del PSI, che implicava l'abbandono del Mezzogiorno contadino alle clientele spesso mafiose del giolittismo.

Ogni tentativo di rinnovare il socialismo marxista italiano, portato avanti da Francesco Saverio Merlino, Gaetano Salvemini, Carlo Rosselli, dal Movimento Liberalsocialista, dagli esponenti socialisti liberali del Partito d'Azione (1942-1947) prima e dopo la confluenza nel Partito Socialista, ha conosciuto ostracismi, condanne, emarginazioni, e questo è stato causa non secondaria della scomparsa ideologica ed organizzativa del PSI e del PSDI italiani, che fino ad età recentissima erano fermi al programma del 1892.

Il coraggioso tentativo fatto in età craxiana di liberarsi di quel condizionamento e rinnovarsi a tutto campo (famoso il saggio su Proudhon), con il contributo anche del gruppo di Mondoperaio, non è riuscito a svilupparsi, essendo il partito finito nel gorgo della corruzione, dello sbandamento della collocazione e delle collaborazioni politiche.


Ma le responsabilità maggiori, quasi assolute, della tragica, imbrogliata matassa della storia della sinistra italiana socialista sono da addossare alla tradizione marxista-leninista dal 1918 fino ad oggi.

La realizzazione di uno stato operaio socialcomunista autoritario, marxista-leninista, fondato sulla dittatura del proletariato, e la nascita della Terza Internazionale Comunista hanno prodotto degli effetti devastanti nella storia del socialismo italiano.

I giovani socialisti italiani, Gramsci, Togliatti, Terracini, Bordiga e Bombacci (finito fascista e con Mussolini a Piazzale Loreto), abbagliati dalla Rivoluzione d'Ottobre (in realtà colpo di stato militare leninista-bolscevico, con l'appoggio degli anarchici e dei socialisti rivoluzionari, contro la Repubblica liberaldemocratica, nata nella grande Rivoluzione di Febbraio 1917, che aveva abbattuto la monarchia assoluta zarista, e che era guidata dal socialdemocratico Kerenskij), portarono alla nascita non di una delle tante formazioni prodotte da altre scissioni, quali si erano verificate o si verificheranno (es. quella di Bissolati-Bonomi del 1912, che portò alla nascita del Partito Socialista Riformista Italiano, così ricco di spunti moderni, per far uscire il partito da posizioni massimaliste), ma a quella del Partito Comunista.

La scissione comunista marxista-leninista terzinternazionalista e la nascita del Partito Comunista Italiana (PCI) al Congresso Socialista di Livorno del 1921 furono l'inserzione nel corpo del socialismo italiano, di tutta la sinistra italiana, del panorama politico italiano, di una forza settaria, millenarista, in scontro frontale contro tutto e tutti, ma con una forza d'urto fortissima, sia per la sua presa ideologica quasi religiosa, sia anche per l'appoggio e il finanziamento (fino a qualche anno fa) di una potenza straniera di peso planetario, l'URSS (Unione delle Repubbliche "Socialiste" Sovietiche), stato esterno al nostro paese.

Tra i paradossali effetti di questa inserzione nel corpo della sinistra italiana ci fu la seconda scissione del 1922 al Congresso di Roma, quando furono espulsi dal Partito Socialista massimalista di Menotti Serrati e Nenni Turati e Matteotti, che fondarono il Partito Socialista Unitario (PSU), il primo partito sostanzialmente liberalsocialista nella storia italiana, che si presentò alle drammatiche elezioni del 1924 (con Mussolini al potere, le squadracce fasciste nelle piazze, le forze dell'ordine e i prefetti compiacenti, i liberali moderati alleati coi fascisti) con il simbolo storico del sole nascente e la grande novità dell'abbinamento delle parole in esso contenute "Libertà" "Socialismo".

La ritrovata simbiosi tra socialismo e libertà non fu più ripresa successivamente, data l'egemonia che permase del socialismo marxista. Solo Carlo Rosselli (che aveva aderito al PSU e fu il figlio spirituale di Turati, che aiutò, con Pertini e Parri, a fuggire in Corsica nel 1926, conoscendo poi per questo carcere e confino) in Francia, dopo la leggendaria evasione dall'isola di Lipari con Emilio Lussu in motoscafo nel 1929, col lavoro organizzativo del Movimento 'Giustizia e Libertà' e col lavoro teorico col suo libro fondamentale 'Socialismo Liberale' del 1930, il Movimento Liberalsocialista di Guido Calogero ed Aldo Capitini dal 1937 in poi, le componenti liberalsocialiste del Partito d'Azione citato, l'esperienza del rinnovato Partito Socialista Unitario del 1949-1950, lavoro legato ai nomi di Codignola, Silone, Vittorelli, Garosci, anche Ciampi (fondatore della sezione del Partito d'Azione a Livorno e collaboratore nel 1946 della rivista 'Liberalsocialismo' diretta dal suo maestro, Calogero), cercarono disperatamente, senza riuscirvi finora, a raddrizzare il socialismo verso il nesso con l'istanza liberale.

I paesi che avevano avuto partiti socialisti di forte impronta marxista hanno subito gli effetti più drammatici, a differenza di quelli nei quali l'influenza marxista è stata minore (es. Inghilterra e Spagna).

Così in Italia è nata una guerra politica tra comunisti e socialisti, i cui effetti sono ancora presenti nel fondo della vita politica italiani, coi post-comunisti dei Democratici di Sinistra ad esempio, che, pur aderendo all'Internazionale Socialista e pur membri del Partito Socialista Europeo, non hanno avuto e non hanno il coraggio di presentarsi in Italia come "socialisti", e mettere all'ordine del giorno ad es. la nascita di un unitario partito socialista liberaldemocratico, annegando la loro storia complessa, anche tragica, e la loro mancanza di coraggio e di chiarezza in contenitori generici, tipo 'democratici', 'riformisti', 'ulivisti'. Gli espliciti 'comunisti' continuano ad avere il radicale riflesso antisocialista, sempre di origine marxista e leninista, in Italia, in Europa, nel Mondo.

La storia del comunismo italiano e russo richiede comunque un giudizio articolato: le testimonianze personali dei carcerati, dei confinati (es. Gramsci, Terracini, Giorgio Amendola, figlio del martire liberaldemocratico Giovanni), dei torturati, degli assassinati, dei partigiani delle formazioni "Garibaldi" (pur machiavellico recupero della tradizione nazionale risorgimentale, così ferocemente criticata da Marx e marxisti vari come 'borghese'), per abbattere la dittatura fascista e restituire all'Italia la democrazia, il voto comunista per l'avvento della Repubblica del 1946, il contributo per la stesura della Costituzione, pur nel tradimento dei principi liberali col voto positivo sull'art. 7 con la Democrazia Cristiana, che ha permesso l'inserzione dei fascisti Patti Lateranensi, del Concordato, con la Chiesa Cattolica nel cuore della nostra carta costituzionale, il contributo per portare alla partecipazione politica milioni di contadini e di operai nel cinquantennio repubblicano, il buongoverno in migliaia di situazioni locali, la promozione cooperativistica e sindacale per l'emancipazione dalla miseria e dalla subalternità storica delle classi lavoratrici, i venti milioni di morti tra militari e civili che l'Unione Sovietica di Stalin machiavellico, oltre che tiranno, alleato con gli Stati Uniti e con l'Inghilterra (dopo essere stato alleato di Hitler e Mussolini dal 1939 agli inizi del 1941) dalla metà del 1941 al 1945, per liberare l'Europa dai mostri disumani, demoniaci del nazismo e del fascismo, meritano rispetto. Le truppe che liberarono Auschwitz erano sovietiche. Questo spiega anche la collaborazione durante la Resistenza e nei primi governi del dopoguerra fino al 1947 col Partito Comunista Italiano della Democrazia Cristiana, del Partito Socialista Italiano, del Partito d'Azione, dello stesso Partito Liberale.

Ma effetti perversi ha prodotto la presenza di forti partiti comunisti nei sistemi politici pluralisti e democratici, drammatizzando ogni elezione non in termini di serena scelta tra classi dirigenti nelle loro virtù e nei loro limiti di governo, ma di quasi - referendum ogni volta tra sistema liberaldemocratico e sistema monopartitico-totalitario, incancrenendo sempre di più, in una spirale perversa, fino alla quasi impunità, il governo cattolico, ad es. in Italia, con le appendici subalterne di liberali conservatori e repubblicani sempre più nel tempo coinvolti dalla corruzione, non essendovi altro sbocco democratico, dato il congelamento comunista di milioni di voti.

Gli effetti nella storia della sinistra italiana dei comportamenti politici del PCI sono stati negativi nel vedere i compagni diversi come sostanziali nemici da combattere in modo subdolo e machiavellico, senza pietà e spirito di autocritica, fino alla distruzione morale, psicologica, a volte peggiore di quella fisica (così coraggiosamente descritta ad es. dal grande scrittore Ignazio Silone, uno dei fondatori del PCI, poi espulso nel 1930), da stalinisti ed eredi dello stalinismo, di quello Stalin, che viveva nell'ossessione non soltanto del capitalismo, ma dei compagni del suo stesso partito da distruggere fisicamente, come Bucharin o peggio Trotskij.

In questo contesto il Partito Socialista e Nenni si allearono con Togliatti e con lo stalinismo, ponendosi fuori anche dell'Internazionale Socialista fino al 1956, quando coi fatti d'Ungheria, coi comunisti stalinisti che sparavano sugli operai che chiedevano libertà e democrazia, oltre che più umane condizioni di lavoro, si aprirono gli occhi anche ai ciechi. Si giunse al punto di ricevere nel PSI finanziamenti dall'Est sovietico.

Tragici effetti di quella scelta sciagurata stalinista del PSI furono la giusta scissione socialdemocratica di Saragat del 1947, l'emarginazione delle correnti e figure autonomiste e liberalsocialiste di Silone, Garosci, Codignola, del Partito Socialista Unitario citato, di Unità Popolare, al tempo della lotta contro la legge-truffa del 1953, la fine dell'unità sindacale con la nascita prima della CISL e poi della UIL.

Ma non bisogna dimenticare, per onestà storica doverosa, che il PSI di Nenni e Pertini, insieme alla componente socialdemocratica, ha saputo dal 1956 recuperare una sua autonomia e scrivere, nella collaborazione con le più serie forze progressiste italiane (dai cattolici democratici ai repubblicani, ai liberali, ai radicali) le più alte pagine nella storia repubblicana, dai diritti civili ai diritti sociali (ad es. la scuola materna statale, la scuola media unica, il divorzio, l'aborto, lo statuto dei lavoratori, il buongoverno in tantissimi enti locali, l'impegno sindacale diviso tra CGIL e UIL).

Ma l'effetto più nefasto della tradizione marxista nella storia sia riformista (con l'eccezione del PSU di Turati-Matteotti) e massimalista, che comunista del socialismo italiano è stata la rescissione del legame/osmosi del socialismo con i valori e le istanze liberali.

Il socialismo senza la libertà è la peggiore forma di tirannia. Lo avevano profetizzato già i socialisti liberali e libertari tra Ottocento e i primi del Novecento. La profezia si è avverata al di là dell'immaginazione con le tragedie disumane e i morti provocati a milioni, a milioni, a milioni.

Ancora oggi stati sedicenti 'socialisti' in Cina, a Cuba, nel Vietnam, in Corea del Nord esemplificano tragicamente gli effetti della tragica scissione tra l'istanza socialista e l'istanza liberale. Per non richiamare paradossalmente Hitler e il suo 'nazionalsocialismo', anche Saddam Hussein si chiamava 'socialista'.


Il socialismo ha senso e futuro, può riprendere il suo posto e il suo cammino in campo politico e nel cuore della gente solo se è liberale, se è 'liberalsocialista', se sa tenere insieme, specialmente nell'Italia delle confusioni e degli sbandamenti, congiunte, nello spirito e nella lettera, giustizia sociale e libertà, socialismo e libertà.

Ecco perché è preliminare, fondamentale che LETTERALMENTE i termini 'socialismo', 'socialista' non possono stare da soli, per i motivi storici e logici sopra ampiamente argomentati, e vanno integrati con quello 'liberale' e le espressioni 'liberalsocialismo', 'liberalsocialista' stanno proprio ad indicare proprio questo nesso e la consapevolezza definitiva dell'indissolubilità tra l'istanza socialiste e quella liberale.

Tra i tanti effetti nefasti della confusa tradizione marxista italiana, nelle sue varie innumerevoli versioni, c'è stato quello della collocazione politica. Scissa l'istanza socialista da quella liberale, l'istanza etica da quella politica, in nome di un preteso socialismo ‘scientifico' contrapposto a pretesi socialismi 'utopistici', è divenuto il realismo machiavellico il metodo di fondo dell'agire politico, sono stati inevitabili quindi la spregiudicatezza, i funambolismi, i trasformismi, le acrobatiche posizioni e alleanze. Anticattolici e alleati coi cattolici, antisocialisti e alleati dei socialisti, anticomunisti ed alleati coi comunisti, antidemocratici ed alleati coi democratici. Comportamenti politici sconcertanti, guidati quasi sempre dall'ago della bussola del potere amministrativo, sindacale, parlamentare da impadronirsi o da spartire. Si è giunti finanche ad allearsi con la destra, con i post-fascisti, coi dichiarati fascisti, coi secessionisti.

Allo sbandamento ideologico ed organizzativo hanno contribuito anche l'egemone individualismo presuntuoso e distruttivo. Ambiziosi di carriera politica senza merito, esistenze mancate, gente senza arte né parte, gente che non ha mai lavorato e non aveva voglia di lavorare, incapaci di vivere anzitutto da sé, onestamente, si sono buttati negli apparati, governandoli per la loro sistemazione, per quella degli amici e clan, riducendo l'ideale socialista e la sua storia a parole scritte sui manifesti.

Questo è un abbozzo della nostra laica interpretazione della storia del socialismo italiano, discutibile, ma per noi preliminare punto di partenza, altrimenti si cadrà, secondo noi, in un ennesimo tentativo sterile.

Per noi è preliminare andare alle radici con coraggio, per vedere le cose come sono andate, con autocritica accettazione del tribunale della storia e delle sue obiettive sentenze.

Quando una struttura di partito muore, non è colpa di un solo uomo, spesso ridotto a ingiusto capro espiatorio, o di pochi, ma di comportamenti diffusi di sbandamento ideologico-politico e di costumi.

Un partito, una formazione politica vecchi o nuovi senza memoria e con un passato rimosso non hanno futuro.

Da dove ripartire dunque ?

Anzitutto dal coraggio della verità, dal coraggio di fare i conti fino in fondo con la propria storia, senza nascondere nulla di ciò che nel bene e nel male la propria tradizione ha commesso, accettando con umiltà e onestà le sentenze del tribunale della storia e ripartendo da esse, con la disponibilità e l'impegno a non cadere negli stessi errori e nelle stesse tragedie.

Come si è detto, dopo tante tragedie e tante confusioni, ancora permanenti, occorre
preliminarmente partire da una più chiara, precisa identità, dallo stesso nome. Non più solo 'socialista, ma 'liberalsocialista.

Poi forza dichiaratamente di 'sinistra', per impianto ideale e naturale posizione storica, con qualificazione necessaria, giacchè nel panorama politico nazionale e locale si sono visti e si vedono cosiddetti 'socialisti' collocati a destra o annebbiati in posizioni centriste.

Poi riferimento al nuovo, ineludibile orizzonte europeo, con il collegamento anzitutto con le tradizioni laburiste del mondo anglo-sassone, per le loro storie così profondamente e sostanzialmente liberalsocialiste, che possono quindi aiutare a precisare e consolidare una definitiva e solida posizione liberalsocialista.

La collocazione di una posizione di sinistra liberalsocialista è, non può non essere, pertanto, assolutamente autonoma dalle confusioni permanenti dell'Ulivo, dallo SDI, che si è annegato in esso, dalle posizioni dei Comunisti Italiani nell'Ulivo, dal Partito della Rifondazione Comunista, che sta abbandonando (vedi le elezioni Europee), la stessa non sostenibile denominazione 'comunista' per un un generico 'Partito della Sinistra Europea', esplicitazione a livello delle competizioni nazionali del gruppo nel quale sono collocati nel Parlamento Europeo i rappresentanti dei partiti comunisti europei, da quello italiano a quello francese a quello tedesco, a quello spagnolo, a quello austriaco, a quello ceco, a quello slovacco, a quello greco, a quello estone, ancora poco chiaro nella ispirazione di fondo, come dice la sua stessa denominazione, ancora incapace di fare i conti con la storia (e che conti le tradizioni comuniste europee devono ancora fare!), ma comunque in cammino, anche nella direzione del riferimento alla nonviolenza.

E' naturalmente in contrapposizione storico-ideale, democratica, ma non demagogica, alla Casa delle Libertà, alla Lega Nord, con le sue sciagurate tendenze secessioniste, che offendono le conquiste fondamentali del Risorgimento e dell'Antifascismo repubblicani liberaldemocratici, liberalsocialisti, con le sue argomentate ispirazioni anche federaliste, da Cattaneo al Partito Sardo d'Azione di Bellieni e Lussu del 1921, al Manifesto di Ventotene.

Gli uomini e le donne di sinistra liberalsocialista hanno l'ambizione di radicarsi a partire dalla gente, dai problemi concreti, specialmente dei più umili, dei più deboli socialmente, per dimostrare nei fatti, sperimentalmente, lo stile di governo di una sinistra liberalsocialista. Essi si alleeranno solo con quelle forze e con quegli uomini di sinistra-centro, che siano stati e siano di altrettanto rigore autocritico e lo dimostrino nei fatti, e non solo a parole.

Gli uomini e le donne di sinistra liberalsocialista non hanno fretta.
La fretta è cattiva consigliera.
Occorre, come diceva Salvemini, il maestro di concretezza e di rigore ideale socialista liberale, un lavoro di anni a pane e acqua su alcuni punti concreti fondamentali, che condizionano in modo negativo la vita della gente, del paese, battendoli e ribattendoli, articolandoli a livello locale soprattutto, per aprire spazi di liberazione reale nell'ansimante vita quotidiana della gente umile ed onesta ed evitare il declino, in cui la nostra cara Italia si sta incanalando.

Solo alle condizioni sopra indicate possiamo rialzare, a testa alta e con orgoglio, la bandiera antica e nobile del socialismo, che non può che essere, per chiarezza e verità, 'liberalsocialismo', con una formazione federale e federativa, rispettosa ed esaltatrice delle varietà regionali e locali, senza centralismi e burocrazia professionistica, che, nel nome e negli intenti, vuole essere erede e riattualizzare nel presente e per il futuro il meglio che ha espresso la complessa, complicata, a volte tragica, storia del socialismo italiano. Diretta democraticamente dai suoi promotori e responsabili legali, che si impegnano a non allontanarsi mai dalle sue linee ideali, politiche e programmatiche, liberamente accettate, a farlo vivere organizzativamente, ad uniformarsi alle sue deliberazioni.

PUNTI FONDAMENTALI DELL'ORIENTAMENTO POLITICO LIBERALSOCIALISTA

1. Le istituzioni repubblicane, liberali e democratiche vanno difese contro i fanatici di ogni colore, ogni giorno, vanno rispettate e fatte funzionare al massimo delle loro potenzialità nel riferimento alla Costituzione scritta, limitando, eliminando la costituzione materiale che si è stratificata nel tempo.
Le istituzioni liberali e democratiche non sono né borghesi, né proletarie, ma sono conquiste di civiltà, che riguardano tutti gli uomini, prima di ogni fede e distinzione politica. Come dice Carlo Rosselli esse sono "una sorta di patto di civiltà che gli uomini di tutte le fedi stringono fra loro per salvare nella lotta gli attributi della loro umanità. "
Senza la libertà e senza la democrazia c'è solo la tirannia.
Questa dura lezione, mai da dimenticare, è stata appresa ad esempio a duro prezzo dall'Italia sotto il fascismo, dalla Russia sotto lo zarismo e sotto il comunismo.
L'Italia repubblicana liberaldemocratica con il lavoro e il sacrificio quotidiano degli operai, dei contadini, degli artigiani, dei tecnici, degli intellettuali, dei servitori dello stato, degli operatori della scuola, degli imprenditori e commercianti onesti e seri, di diversi settori responsabili del mondo sindacale, politico, culturale, con il contributo di milioni di emigrati dal Sud al Nord e fuori d'Italia è diventata la settima potenza al mondo ed ha una ricchezza ed un peso politico, quali mai ha avuto nella storia.
Ma molte questioni importanti restano aperte: dalla disoccupazione giovanile, specialmente meridionale, alla criminalità organizzata, alla confusa immigrazione, fatto nuovo nella storia d'Italia, al disordine urbanistico ed ambientale, alla mancanza di una diffusa moralità pubblica e civile, alla crisi della scuola, alla diseducazione dei mezzi di comunicazione di massa, alla perdita di competività nel mondo vorticosamente globalizzato..

2. Per la nostra fede nella dignità di ogni uomo, di ogni donna, per far vivere, far amare poi concretamente il bene della libertà, non possiamo, non dobbiamo, non sappiamo accettare che lo stato di libertà si accompagni alla miseria, all'ignoranza, alla disoccupazione, alla prepotenza. Noi vogliamo incarnare una libertà sempre disperatamente mobilitata, che ogni giorno crea nuovi spazi di liberazione, una ‘incessante libertà creatrice e liberatrice', una libertà che rispetta il libero lavoro, la libera impresa e i suoi frutti, ma che sappia intaccare decisamente e senza violenza gratuita i privilegi, le ricchezze, le sopraffazioni, raddrizzando secolari ingiustizie.

3. Un fondamentale obiettivo, accanto alla difesa ed alla promozione delle libertà civili e politiche, è la libertà dal bisogno.
Chi ha fame o è senza lavoro non può godere e apprezzare nessuna libertà, non può essere cittadino democratico libero e responsabile.
Quindi il primo fronte della battaglia politica liberalsocialista è il diritto al lavoro, da garantire a tutti i cittadini, a tutte le cittadine, al compimento del 18° anno di età, usando tutti i mezzi a disposizione, elaborando tutti i tipi di leggi possibili per garantirlo, sottraendo ad ogni corporazione l'attuale monopolio dei concorsi e degli avviamenti al lavoro, pubblici e privati.
Si ripete: non si può essere cittadini liberi e democratici, se non si ha una autonomia economica.
Il diritto al lavoro è possibile: occorre solo un'energica volontà politica di garantirlo, imponendo i sacrifici giusti a tutti e colpendo chi lo ostacola.
E' uno scandalo che una democrazia repubblicana liberale e democratica abbia generazioni che vedono trascorrere gli anni e i decenni in attesa di un lavoro, costringendo giovani e meno giovani all'umiliazione dell'aiuto dei genitori, dei parenti, dell'assistenza privata o pubblica, alla clientela politica, sindacale, privata.
Si appoggerà anche ogni iniziativa di sperimentalismo economico-sociale libertario non capitalistico, come in uno degli orientamenti socialisti di fine Ottocento, che vada nella direzione di offrire alternative quotidiane di vita e di lavoro a chi è liberamente interessato, aggiungendo così ulteriori scelte ai cittadini maggiorenni.

Accanto al diritto al lavoro, si collocano altri punti fondamentali ricorrenti nella nostra tradizione.
4) Anzitutto la religione dei doveri, accanto alla giusta rivendicazione dei diritti (nessun dovere senza diritti, nessun diritto senza doveri), che dovrebbe essere diffusa e praticata specialmente in ambito sindacale, come avveniva agli inizi del movimento operaio e socialista, per non diventare delle corporazioni cieche o peggio strutture clientelari, con fenomeni di professionismo burocratico-professionistico paralleli a quelli dei partiti, di cui si è spesso l'altra faccia nascosta.

5. La laicità dello stato che garantisce la libertà di tutte le fedi, ma non è condizionato da alcuna. Eliminazione del riferimento ai fascisti Patti Lateranensi nell'art. 7 della Costituzione e degli aspetti illiberali nei rapporti tra Repubblica Italiana, Stato del Vaticano, Chiesa Cattolica.

6. Gli Stati Uniti d'Europa e la riforma dell'ONU, per renderlo in grado di governare veramente il destino della nostra cara, piccola Terra, unica nostra casa, così in pericolo di inquinamento e sviluppo irrazionali e pericolosi, di conflitti, di fanatismi spesso di origine religiosa, oltre che ideologica, di terrorismi.

7. L'economia del benessere, da accrescere nel rispetto dell'ambiente e dei diritti delle persone, perché nessuno giustamente vuole tornare alla vecchia miseria e povertà.

8. L'autogoverno locale, onde creare un costume di partecipazione democratica e di controllo del pubblico denaro a livello dei luoghi dove si vive con le proprie piccole storie e le identità culturali, economiche e sociali da difendere e da esaltare nei suoi aspetti positivi.
Ma i Comuni, le Province, le Città Metropolitane, le Regioni che l'attuale art. 114 della Costituzione, riscritto da recenti classi politiche nazionali sbandate o machiavelliche, ambiguamente mette sullo stesso piano dello Stato Liberale e Democratico (che invece dovrebbe contenerle e regolarle), devono rendere conto in modo stringente sul piano istituzionale della spesa pubblica, mentre oggi i controlli si sono allentati e la modifica Titolo V della Costituzione ha creato una confusione di ruoli e di poteri, col rischio di disgregare i delicati equilibri di uno stato liberale e democratico federale.

9. I problemi del Nord e in particolare del Mezzogiorno, mai da dimenticare, coi suoi problemi strutturali di modernizzazione, e soprattutto della criminalità, da combattere in modo radicale, altrimenti non c'è sviluppo e le imprese vanno ad investire altrove, anche fuori d'Italia, accrescendo così la disoccupazione meridionale, abbandonando il Sud all'assistenzialismo e alle clientele.

10. La lotta alle clientele, che rendono servi e non liberi cittadini, e contro la corruzione, sempre così diffusa in mille forme sottili, di affaristi, speculatori, parassiti, e la promozione di valori di legalità da praticare da parte degli organi dello stato e dei cittadini.
Gli 8.101 uffici tecnici, quanti sono i Comuni italiani, coi poteri sui piani regolatori, le opere pubbliche, gli appalti, i cimiteri, la raccolta dei rifiuti, l'acqua sono delicati centri di potere, strettamente collegati con il ceto dei dirigenti e funzionari locali, gli assessori, i sindaci, le classi dirigenti provinciali e regionali, che si riservano poteri di autorizzazioni e di erogazioni, e stendono tutti insieme e collegati una ragnatele possente di condizionamenti sui territori e sulle persone.
Su di essi va promossa una campagna nazionale di trasparenza e di controllo democratici, così come sugli altri uffici (es. quello degli affari generali, quelli finanziari, quelli sui servizi sociali, culturali), dove avvengono sprechi e si consolidano possenti catene clientelari, basi di appoggio poi di tanti partiti e di tante carriere professionistiche politiche a livello comunale, provinciale, regionale, nazionale, europeo.

11. Il superamento dell'estraneità tra la politica e la cultura, per portare gli uomini di scienza e delle professioni a dare il loro contributo, attraverso i partiti e la dialettica democratica, allo sviluppo economico e sociale del paese e dei governi a livello locale, nazionale, europeo.

12. La difesa della scuola pubblica, luogo di educazione civile, di dialogo e di rispetto tra gli alunni di tutte le fedi, per imparare a stare insieme e vivere il diritto/dovere della verità e della obiettività.

13. La rivoluzione sanitaria ed urbanistica, onde avere la garanzia, anzitutto in strutture pubbliche, fatte funzionare al massimo livello possibile, della fondamentale salute, di abitazioni e città a misura d'uomo, onde vivere la vita già così breve in modo dignitoso e felice, per quanto è possibile. Occorre un democratico regime dei suoli edificatori, che li sottragga all'ingorda e disordinata speculazione privata, che ha devastato il Belpaese e che è stata tollerata dal permissivismo e da assurdi condoni (offensivi dei cittadini onesti) delle forze politiche di ogni colore.

14. Il più ampio riconoscimento alla partecipazione politica, civile e democratiche delle donne, che sono la metà dell'umanità e senza il cui contributo nessun vero problema potrà mai essere risolto.

15. Contro i pericoli dei totalitarismi e i processi di massificazione, occorre potenziare in tutti gli uomini, specialmente nei lavoratori, sentimenti di dignità, di autonomia, di moralità, di cultura, di responsabilità.
Il potenziamento dell'individualità è la barriera più efficace contro le tragedie totalitarie, contro l'emergere di tendenze deresponsabilizzanti, gregarie, disumane. Dice Carlo Rosselli "I regimi di massa, i fascismi, si combattono ridando all'uomo, alla ragione, alla libertà il loro valore; creando in ciascun uomo, nel massimo numero di uomini, e per ora in una minoranza di intellettuali e di lavoratori, una coscienza forte della propria personalità ed autonomia. Rompere la massa e la vita di massa con nuclei pensanti ed agenti."

16. E' giusto rivendicare il rispetto degli aspetti nobili della propria storia e della propria identità linguistica e culturale, ma senza chiudersi in un pericoloso isolamento o in un orgoglio nazionale, che sarebbero la rovina per i popoli, come hanno dimostrato tragicamente gli ultimi secoli.
La tradizione repubblicana liberaldemocratica e liberalsocialista ha indicato, da Cattaneo a Carlo Rosselli, al Manifesto di Ventotene di Spinelli, Rossi, Colorni, al Presidente della Repubblica Ciampi, come fondamentale via di salvezza gli Stati Uniti d'Europa.
Noi crediamo in questa prospettiva, abbiamo dato e diamo ogni giorno il nostro contributo, affinché l'Europa viva e si affermi sempre di più, non solo sul terreno monetario, dove ormai già si è costituita e vive in modo irreversibile, ma sul piano politico, giuridico, sociale, culturale, coinvolgendo sempre più i cittadini, le cittadine, i popoli, specialmente quelli dei 10 paesi che stanno per entrare a maggio 2004, portando a 25 i membri dell'Unione Europea.
Vogliamo un Parlamento europeo investito di maggiori responsabilità legislative e con un governo che, pienamente rappresentativo, decida e controlli per tutti i membri almeno la politica estera, la difesa militare e la sicurezza interna.

17. L'umanità attende ancora l'era della fraternità dei popoli, il terzo grande immortale principio della Rivoluzione Francese del 1789. Occorre costruirla con fede e pazienza, essendo un'opera gigantesca, che richiederà il contributo di generazioni.

18. Alla luce delle argomentazioni sopra addotte, occorrono nuovi orizzonti di dignità e di educazione civile, di liberazione culturale e sociale, di partecipazione democratica, di nuovi governi e di nuove classi dirigenti, non provinciali, perché il mondo si è fatto sempre più interconnesso, complesso e anche tragico, specialmente dopo gli attentati dell'integralismo islamico dell'11 settembre 2001, onde evitare di tornare indietro in termini di benessere e civiltà, come potrebbe avvenire ed è avvenuto nella storia umana.
Il progresso civile, economico, culturale non è garantito, dipende dalla volontà e dalla responsabilità delle generazioni, degli uomini e delle donne tutte, coinvolgendo soprattutto i giovani nella consapevolezza delle sfide difficili e complesse che li attendono.
NICOLA TERRACCIANO

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