Postato il 21 luglio 2009 da Luca Rinaldi
Due giorni fa, 19 luglio, era il diciassettesimo anniversario della strage di Via D’Amelio, qualche dichiarazione, servizi marginali sui TG. D’altronde che l’Italia sia un paese dalla corte memoria è riconosciuto, sia per mentalità, sia per la lobotomia mediatica che avviene sul mezzo televisivo.
Non è su questo che vorrei concentrarmi quest’oggi, avendolo già in fatto in un recente post. Vorrei tuttavia porre l’attenzione sulle notizie da “ombrellone” che arrivano dalle procure di Palermo e Caltanissetta, notizie che escono sempre quando l’Italia è più impegnata a mangiare insalate di riso in spiaggia e l’interesse verso le vicende interne è sempre scarso, praticamente nullo.
In realtà stiamo vivendo un’estate di forti dichiarazioni e forti segnali, con le cantate di Ciancimino, Spatuzza ed in una certa misura Riina, cone le deposizioni di Genchi che da la sua versione sui riscontri di quel 19 luglio. Perchè se su Capaci, dove perse la vita Giovanni Falcone, si hanno elementi più chiari, su via D’Amelio esiste e resiste una zona d’ombra sempre estesa. Non è un caso infatti che Gioacchino Genchi, giunto sul posto due ore dopo l’esplosione, ancora oggi abbia qualcosa da dire a riguardo, dato che l’indagine fu archiviata e riaperta solamente da qualche giorno.
Genchi individua nel castello Utveggio uno dei punti di osservazione e smistamento delle informazioni sui movimenti di Paolo Borsellino, fino alle 16:58 e 20 secondi, quando l’ordigno, azionato a distanza, forse proprio da quel castello. Tutto però iniziò ben prima della strage di Capaci e via D’Amelio.
Infatti proprio al castello Utveggio il Sisde impiantò una sede sotto copertura e questa è a tutt’oggi verità processuale. Pochi secondi dopo la strage, come ricostruisce Genchi, parte una telefonata a Bruno Contrada, all’epoca capo del Sisde a Palermo, da un’utenza intestata a Paolo Borsellino. Già uno dei primi misteri s’impone all’attenzione degli investigatori: un’untenza clonata, ma da chi?
80 secondi dopo Contrada contatta Narracci, il cui numero di telefono combaciava con lo stesso rinvenuto, scritto su un foglietto di carta, nel covo di coloro che azionarono la bomba di Capaci fra Punta Raisi e Palermo. Giustificato poi da un alto funzionario di Polizia che testimoniò di aver perso il foglietto durante il sopralluogo. Ad ogni modo una leggerezza imperdonabile. In quei momenti il Sisde è già pienamente operativo, mentre dalle ricostruzioni la polizia, ancora deve essere allertata e capire il luogo dell’esplosione. E’ domenica quel 19 luglio del 1992, di solito il Castello Utveggio è vuoto, totalmente. Eppure quel giorno il movimento è tanto, troppo.
All’epoca a seguire questa pista tra Via D’Amelio, Castello Utveggio e contatti tra utenze telefoniche dubbie fu proprio Gioacchino Genchi, all’epoca dirigente irigente della Polizia di Stato a Palermo con l’incarico di direttore della zona telecomunicazioni del ministero dell’Interno per la Sicilia occidentale. Come riportato poi dalla sentezna del processo Borsellino bis: “l dr. Genchi ha chiarito che l’ipotesi che il commando stragista potesse essere appostato nel castello Utevggio era stata formulata come ipotesi di lavoro investigativo che il suo gruppo considerava assai utile per ulteriori sviluppi; essa tuttavia era stata lasciata cadere da chi conduceva le indagini al tempo”.
Allo stesso modo Genchi poi individua anche connessioni con il c.e.r.i.s.d.i, individuandolo come punto di triangolazione tra servizi segreti e Cosa nostra, dove agiva Gaetano Scotto, che, illegalmente, mise sotto intercettazione la famiglia Fiore-Borsellino, per individuare l’orario in cui il giudice si sarebbe recato in Via D’Amelio. Scotto, dipendente della compagnia telefonica Elte è fratello di Gaetano Scotto, appartenente alla cosca degli Acquasanta, il primo a mettersi in contatto cone le strutture del C.e.r.i.s.d.i alcuni mesi prima dell’attentato. Nonostante tutte queste connessioni ed intuizioni investigative, Genchi e La Barbera vengono trasferiti ad indagini in corso.
C’è un passaggio nella sentenza Borsellino bis della Cassazione (3-7-2003) che chiude, il “profilarsi di interessi” , ed è proprio questo passaggio che oggi cone le dichiarazioni sul “papello” tra Stato e mafia e i documenti di Massimo Ciancimino le ricostruzioni di Genchi potrebbero trovare riscontri che giustificherebbero la riapertura delle indagini ed una paura diffusa del mondo politico odierno che fu coinvolto a “tangentopoli”, sempre più vicina alle stragi del 1992.
Dalla sentenza borsellino-bis della procura di Caltanissetta (18-3-2002), ovvero, prima di quella di cui sopra della cassazione: “Per arrivare ad ipotesi molto concrete riguardo un possibile coinvolgimento del dottore Contrada, che riceve pochi minuti dopo, mi pare un minuto e dieci secondi dopo, una chiamata sul proprio cellulare dalla sede SISDE, dove sicuramente esisteva un presidio il giorno di domenica e dove fu accertato negli altri giorni di domenica non esisteva traffico telefonico, perche’ acquisimmo i tabulati. Ecco, questo insieme di cose che sto sintetizzando, ma che hanno formato oggetto di lunghi approfondimenti e acquisizioni investigative, era per me un… il punto, diciamo, di interesse investigativo, era l’ambito del quale io mi occupavo in prima persona insieme con il dottore Arnaldo La Barbera.
Il SISDE. Ha chiaramente smentito all’inizio questa ipotesi che quei soggetti fossero ancora appartenenti, diciamo, ufficialmente alla struttura. Sta di fatto che nel giro di pochi giorni da che si avviano le indagini, siamo nel dicembre del ‘92, questi da li’ smontano, proprio mentre noi stavamo facendo l’indagine, e se ne vanno. E li’ c’erano degli insediamenti e delle apparecchiature SIELTE, della stessa azienda presso cui lavorava lo Scotto, che comunque era un semplice operaio.”
Gioacchino Genchi, aveva già tracciato un quadro piuttosto chiaro della situazione, poi, come detto sopra, venne trasferito ad indagine in corso, con tutta probabilità da coloro che oggi chiedono la sua testa per le intercettazioni ai politici all’interno dell’inchiesta “Why Not”.
Addirittura nella borsellino-bis della procura di Caltanissetta la sentenza riporta, in seguito alla deposizione di Genchi ul metodo dell’intercettazione illegale di Scotto che: “L’apporto di Genchi è di notevole significatività perché l’autorevole testimone introduce la presenza di possibili registi esterni che si sarebbero innestati sull’operatività della squadra mafiosa incaricata di portare materialmente a termine l’attentato”.
Genchi, nella sua deposizioni afferma: “il Castello ha anche un punto di osservazione ben preciso – io invito anche, se la Corte volesse, a verificarlo – dal quale era possibile, con un binocolo anche di modeste dimensioni o addirittura ad occhio nudo, potere premere tranquillamente il comando, determinare l’esplosione, senza subire nessuna conseguenza, per la posizione orografica e planoaltimetrica nel quale questo punto e’ posizionato”.
Qui una ricostruzione sulla visuale di Via D’Amelio dal Castello Utveggio, che conferma i pareri di Genchi e La Barbera
Versioni che peraltro trovano valido riscontro anche nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ascoltati nell’ambito delle varie inchieste.
Che le delegittimazioni di Genchi non riguardino solo Why Not, ora non sono nemmeno da ricercare, perchè sono insinuate tra queste righe. Perchè queste notizie escano sempre nel disinteresse dei TG e dell’Italia, è scritto tra le righe di queste sentenze. Le ultime cantate di Ciancimino e le testimonianze sul papello, sulle connivenze con i servizi segreti ed esponenti della classe politica, diventano a questo punto, una minaccia ad una parte di quella classe politica, che rientrò evidentemente nella cosiddetta “zona grigia” di quelle stragi.
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