Postato il 07 luglio 2009 da Francesco Contini
La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera.[...]
Così esordisce Benedetto XVI nella sua lungamente attesa, ed oggi pubblicata, “Caritas in veritate”, ultima enciclica del pontefice che aveva già dedicato alla carità la sua prima “Deus caritas est“. Per i profani la carità, insieme a fede e speranza, è una delle tre virtù teologali, e tradotta in termini moderni si può intendere come l’amore disinteressato per il prossimo, quello stesso amore per l’umanità che avrebbe condotto il Cristo al supplizio. Spesso la terminologia teologica, ed in questo caso cristiana, è fuorviante, e fa apparire come innocue, o addirittura stimabili, affermazioni che da un punto di vista più disincantato possono essere preoccupanti. Procedendo con la lettura:
[...]Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale.[...]
Quando il pontefice parla di verità, ovviamente intende quella rivelata dalle Scritture. Dunque secondo il Santo Padre se non si crede in quello che affermano le scritture secondo l’interpretazione del catechismo cattolico non si è capaci di amare davvero. Si è capaci soltanto di “sentimentalismo”. Da questo assunto derivano una serie di conseguenze di seguito espresse.
[...]La verità, facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose. La verità apre e unisce le intelligenze nel lógos dell’amore: è, questo, l’annuncio e la testimonianza cristiana della carità. Nell’attuale contesto sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero, vivere la carità nella verità porta a comprendere che l’adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale.[...]
Questo passaggio mi fa venire in mente una risposta di Bush padre al giornalista Robert Sherman, quando gli chiese se ritenesse la dignità civile ed il patriottismo degli americani atei di egual valore di quelli degli americani cristiani: “No, credo che gli atei non vadano considerati né cittadini né patrioti. Questo è un paese sotto l’egida di Dio!“. Infatti tutte le religioni propriamente dette sono discriminatorie, o credi o non vali nulla. O credi o non sai amare. Se hai opinioni, se relativizzi, non sei degno di essere cittadino. O aderisci ai valori del Cristianesimo, oppure non costruirai una buona società.
Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c’è coscienza e responsabilità sociale, e l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali.
Dunque tutti coloro che non accettano la verità rivelata e interpretata sono incoscienti, irresponsabili. Secondo Benedetto XVI la società dovrebbe essere fondata sul riconoscimento di questa supposta “verità”. E guarda caso chi è il portatore della verità? La Chiesa da lui guidata. Dio lo vuole! Gridavano i crociati in partenza per il massacro.
La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende « minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati ». Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione. Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori — talora nemmeno i significati — con cui giudicarla e orientarla. La fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr Gv 8,32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale.
Se possibile in maniera ancora più esplicita si palesa il pericolo che la religione rappresenta per l’umanità. La fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità. Di nuovo, il presupposto della conoscenza della “vera verità” esclude qualsiasi possibilità di tolleranza, facendo cadere la libertà di scelta e di opinione sotto la scure del “sommamente giusto.”.
Successivamente il pontefice affronta, poste queste terribili basi, le problematiche di attualità, richiamando ad una vita sessuale moderata, e ricordando il dilemma dello sviluppo versus la povertà. Non dimentica di affrontare il tema della libertà religiosa, e con queste parole tratta gli atei:
Quando lo Stato promuove, insegna, o addirittura impone, forme di ateismo pratico, sottrae ai suoi cittadini la forza morale e spirituale indispensabile per impegnarsi nello sviluppo umano integrale e impedisce loro di avanzare con rinnovato dinamismo nel proprio impegno per una più generosa risposta umana all’amore divino.
Di nuovo c’è il luogocomune ateo = dissoluto. Si continua ad affermare che senza un Dio non esiste una morale, una tesi che andrebbe abbandonata per decenza ed onestà, ma che fa molto comodo ribadire. Il pontefice però dimentica come gli anni dell’amministrazione Bush siano stati caratterizzati da una forte impronta confessionale, appoggiata dallo stesso Vaticano, e che proprio quegli anni hanno prodotto le devastazioni morali e materiali che Benedetto XVI tanto vitupera nei passaggi precedenti.
Questo significa che le valutazioni morali e la ricerca scientifica devono crescere insieme e che la carità deve animarle in un tutto armonico interdisciplinare, fatto di unità e di distinzione. La dottrina sociale della Chiesa, che ha « un’importante dimensione interdisciplinare » può svolgere, in questa prospettiva, una funzione di straordinaria efficacia. Essa consente alla fede, alla teologia, alla metafisica e alle scienze di trovare il loro posto entro una collaborazione a servizio dell’uomo.
Dunque la scienza dovrebbe essere regolata dalla dottrina della Chiesa, e dalla sua supposta funzione interdisciplinare, in grado di coniugare tecnica e umanesimo. I risultati si sono visti nel passato, dall’alto delle competenze la Chiesa ritiene di avere tramite la lettura di un testo scritto nell’età del bronzo, e pieno di assurdità.
L’enciclica prosegue dilungandosi sul tema del progresso economico, e la sua coniugazione col progresso sociale e quello della povertà. In particolare un passaggio riguarda la cosiddetta “finanza etica”. Benedetto XVIsente l’esigenza di rimarcare come la Chiesa debba avere la priorità sul come definire questa etica. Secondo il pontefice:
Molto, infatti, dipende dal sistema morale di riferimento. Su questo argomento la dottrina sociale della Chiesa ha un suo specifico apporto da dare, che si fonda sulla creazione dell’uomo “ad immagine di Dio” (Gn 1,27), un dato da cui discende l’inviolabile dignità della persona umana, come anche il trascendente valore delle norme morali naturali.
Dovremmo dunque basarci su Dio e sull’uomo creato a sua immagine per regolare la nostra morale, due assunti quantomeno discutibili, se non assurdi.
Si prosegue discettando di ambientalismo secondo il principio che la natura è creazione e dono di Dio, e va dunque rispettata. I capitoli successivi affrontano di nuovo i temi dello sviluppo economico e della globalizzazione. Quest’ultima, in particolare, genera un sincretismo religioso, ed una serie di religioni personali che infastidiscono il pontefice, che ci tiene a ribadire la supremazia che la sua fede deve avere sulle altre.
La libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali.
Il discernimento circa il contributo delle culture e delle religioni si rende necessario per la costruzione della comunità sociale nel rispetto del bene comune soprattutto per chi esercita il potere politico. Tale discernimento dovrà basarsi sul criterio della carità e della verità. Siccome è in gioco lo sviluppo delle persone e dei popoli, esso terrà conto della possibilità di emancipazione e di inclusione nell’ottica di una comunità umana veramente universale. « Tutto l’uomo e tutti gli uomini » è criterio per valutare anche le culture e le religioni. Il Cristianesimo, religione del « Dio dal volto umano » (134), porta in se stesso un simile criterio.
Guarda caso dunque, il “discernimento” della religione più giusta per uno stato che funzioni scopre il Cristianesimo.
La religione cristiana e le altre religioni possono dare il loro apporto allo sviluppo solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica. La dottrina sociale della Chiesa è nata per rivendicare questo « statuto di cittadinanza » (135) della religione cristiana.
Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la ragione e la fede religiosa. La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede, e questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente.
Pare dunque che il papa non si rassegni allo stato laico, al di sopra di tutte le religioni, che non ne preferisce nessuna ed agisce secondo ragione, e mai secondo “fede”. Se fosse altrimenti avremmo uno stato confessionale, che in base alla fede in un qualche dogma, uno qualsiasi, potrebbe discriminare a piacimento tutti i cittadini che in quel dogma non si riconoscono. L’enciclica prosegue con l’analizzare la tecnica, ed i temi della bioetica, sui quali il Santo Padre dimostra una volta di più di avere una mentalità fortissimamente limitata e superata. Basti pensare a come introduce la “tecnica”:
La tecnica, pertanto, si inserisce nel mandato di “coltivare e custodire la terra”
rivelando una concezione del progresso tecnologico così antica da non aver fatto progressi dall’età del bronzo ad oggi.
Al contrario, la chiusura ideologica a Dio e l’ateismo dell’indifferenza, che dimenticano il Creatore e rischiano di dimenticare anche i valori umani, si presentano oggi tra i maggiori ostacoli allo sviluppo. L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano. Solo un umanesimo aperto all’Assoluto può guidarci nella promozione e realizzazione di forme di vita sociale e civile — nell’ambito delle strutture, delle istituzioni, della cultura, dell’ethos — salvaguardandoci dal rischio di cadere prigionieri delle mode del momento.
Infine l’enciclica chiude con una speranza che sarà naturale per i cattolici, ma agli occhi di un laico fa rabbrividire.
L’anelito del cristiano è che tutta la famiglia umana possa invocare Dio come « Padre nostro! ». Insieme al Figlio unigenito, possano tutti gli uomini imparare a pregare il Padre e a chiedere a Lui, con le parole che Gesù stesso ci ha insegnato, di saperLo santificare vivendo secondo la sua volontà, e poi di avere il pane quotidiano necessario, la comprensione e la generosità verso i debitori, di non essere messi troppo alla prova e di essere liberati dal male
mercoledì 8 luglio 2009
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Parole Parole!!! impariamo ad usare la nostra testa non quella della Chiesa!!!
RispondiEliminaParole sante, direi! Di certo nè io nè tutti gli altri azionisti rinunceremo a dire ciò che pensiamo in merito alle attività e alle cose che dice la Chiesa. La libertà va conquistata anche intellettualmente.
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