Le seguenti riflessioni furono pubblicate nel numero 2 della rivista ’Liberalsocialismo’(vedi la news specifica ad essa dedicata in questo sito), fondata e diretta proprio da Calogero nel 1945.
Esse costituiscono la seconda parte dell’articolo di nove pagine dal titolo ’Dal Congresso comunista al Congresso del Partito d’Azione’, posto all’inizio della rivista..
“…Lungi dunque dal lasciarsi sedurre dalla vieta formula (del resto di eredità marxistico-storicistica), secondo la quale il mondo moderno va ormai sempre più eliminando i partiti a base ideologica, per far luogo, in cambio, a partiti costituiti solo come rappresentanze d’interessi, bisogna ripetere energicamente che non c’è partito serio il quale possa prescindere da una salda base ideologica, e che se in Italia oggi non ci sono partiti con salde basi ideologiche, questo significa appunto che oggi non c’è ancora, in Italia, una politica seria.
I partiti sono come gli uomini: devono avere uno stato civile, un biglietto da visita, e si deve poter prevedere con sufficiente sicurezza (se si vuoi far conto su di essi) quello che faranno negli anni e nei decenni venturi, e non soltanto fino alla prossima crisi ministeriale.
Di qui l’interesse che presenta l'imminente congresso del Partito che, quando nacque, manifestò veramente l'intenzione di essere, in questo senso, un partito serio, un partito non disposto più a credere alle vecchie ideologie, ma neppure a lasciar disperdere la politica in una mera tattica contingente: il Partito d'Azione.
Bisogna pur dire che, quando esso si costituì, sul principio del 1943, mercé la fusione dei diversi movimenti che già da lunghi anni avevano in vario modo propugnate le sue idee nella propaganda e nella lotta clandestina, anche tra le sue fila non mancavano alcuni che, timorosi delle precisazioni programmatiche, non tanto per le divisioni che avrebbero potuto provocare fra gli aderenti, quanto per l'impegno pratico che ne sa¬rebbe scaturito circa l'avvenire, avrebbero preferito non formulare alcun programma, e caratterizzare il partito solo attraverso l’indicazione della provenienza storica di chi lo componeva.
Ma chi allora assistè e cooperò ai primi passi della vita del nuovo Partito, ricorda bene come ciò non fu possibile, e come solo una più esatta precisazione ideologica e programmatica, data sul secondo numero dell “Italia Libera” clandestina, nella primavera del 1945, permise di superare le controversie e le minacce di crisi determinate dalla pubblicazione del primo numero.
E la precisazione ideologica e programmatica fu, allora, del tutto conforme a quelli che erano stati i motivi ideali di «Giustizia e Libertà», del “socialismo liberale” e del «liberalsocialismo», cioè, insomma, ai motivi di Gobetti e di Rosselli, che ciascuno di noi, qualunque fosse la sua specifica provenienza, riconosceva come suoi ideali maestri.
Dopo d'allora, il Partito d'Azione passò attraverso vicende varie.
Sopravvennero il 25 luglio, l’8 settembre, il 4 giugno, e ciascuna di queste date pose i suoi dirigenti di fronte a compiti nuovi, in cui si manifestò largamente la loro capacità direttiva della evoluzione democratica della nazione.
Ma per ciò stesso, questa fu anche una fase di relativa incertezza per la vita e per la fisionomia del partito.
Specialmente il periodo della lotta clandestina, nel Centro e soprattutto nel Nord, che doveva richiedergli tanto tributo di sangue e assicurargli tanto onore, accanto al Partito Comunista, lo condusse piuttosto a fare una politica di C.L.N., cioè di coesione democratica delle forze di tutti i partiti antifascisti, che giovò molto all’Italia e a tutti, ma non in particolare alla sua caratterizzazione quale partito nuovo.
Il C.L.N. centrale assicurò, e ancora assicura, la possibilità di un governo democratico, così come i C.L.N. del Nord sembrarono attuare il grande sogno della «rivoluzione democratica».
Sia, ora, quest’ultima una rivoluzione mancata, o semplicemente (come alcuni vorrebbero) una rivoluzione sospesa, certo è che il Partito d'Azione, il quale per lungo tempo è stato il più nobile alfiere del C.L.N. e dei C.L.N., non può più restringere il suo orientamento programmatico a tale motivo, e deve piuttosto tornare a quella più larga piattaforma, che già era venuto provvisoriamente delineando nei «Sedici Punti», e che lo stesso Congresso di Cosenza non aveva sostanzialmente modificata.
Essi si richiamavano, di fatto, alla vivente tradizione ideologica del liberalsocialismo rosselliano, e il Partito avrebbe potuto bensì rinvigorirli ed approfondirli, ma non mai trascurarli, perché con ciò avrebbe smarrito la sua stessa prima ragion d’essere.
La realtà è, infatti, che o il Partito d'Azione si presenta come portatore di una nuova concezione politica e sociale, destinata a conquistare gli spiriti e a tradursi così in forza politica, o non ha ragion d’essere.
Nell’imminenza del Congresso, da molte parti si viene discutendo della natura del Partito d’Azione: e quel che soprattutto si ricerca è se esso debba essere un partito di ceti medi o non di ceti medi, proletario o non proletario, se debba limitarsi ad essere partito di governo, o se debba addirittura cedere il campo di fronte alla progressiva democratizzazione del socialismo.
Ma la novità del Partito d’Azione consiste proprio nel fatto che esso non si pone,marxisticamente, come il rappresentante di un ceto o di una coalizione di interessi, bensì appunto come il creatore o il risvegliatore di nuovi interessi, cioè come il richiamo, rivolto a tutti gli onesti e laboriosi cittadini della Nazione, a scorgere veramente quali sono i loro interessi, e a non crederli più senz'altro interpretati dalle concezioni ideologiche e politiche dei partiti tradizionali.
La profonda serietà del Partito d’Azione sta in questo suo superiore senso di intelligenza politica, per il quale esso avverte l’inderogabile necessità della sua presenza nella vita democratica del paese: e della sua presenza non soltanto quale una specie di mastice democratico o di Stato- cuscinetto capace di far stare insieme destra e sinistra o di evitare fra loro conflitti irreparabili, bensì quale portatore di una parola nuova, di un’esperienza e di una speranza nuova, destinata a conquistare il più largamente possibile gli animi.
Di fatto, come si può sperare che il Partito d’Azione possa assolvere un compito di semplice coesione e risoluzione democratica, senza nello stesso tempo avere la forza a attirare a sé un largo consenso di votanti ?
Se non avrà questa forza, esso non potrà certamente essere il partito della garanzia democratica e costituzionale; e neppure potrà essere un partito di governo, quando è ormai facile vedere come i partiti di massa, in più paesi d'Europa, siano bene in grado di fare i loro governi, senza andare a chiedere ad altri partiti intermedi di fungere da cemento per le loro combinazioni.
Senza dire, poi, che non si vede perché si sarebbe dovuto dare tanto tributo di libertà personale e di sangue per diffondere nuove idee e per provarsene degni anche attraverso la lotta armata, se la conclusione di tutto ciò dovesse ridursi alla formazione di un modesto partito di governo.
Tanto valeva, allora, combattere nelle formazioni di altri partiti, e contribuire, per ciò che modestamente si fosse potuto, all'arricchimento dei loro quadri dirigenti.
Anche soltanto al fine di diventare «l’organo intorno a cui si stringa l’accordo delle correnti sinceramente democratiche per dar vita alla nuova società italiana» (come dice Mario Boneschi in ‘Realtà politica’, n. 23-4, p. 5), è quindi necessario che il Partito continui ad aver fiducia in sé stesso, e non dia per perduta, prima ancora di averla veramente tentata, la prova di «realizzare un grande partito di democrazia attraverso le adesioni personali di cittadini.”.
Di fatto, quello «stringere accordi» è cosa per cui, in certi momenti, possono bastare dieci persone, anche senza aver partiti alle spalle: ma se esse vorranno agire con efficacia sufficiente, dovranno ben avere questa forza alle spalle, e quindi non cominciare col mettersi in una situazione psicologica che è la più adatta per perdere anche la forza che si ha, o per non accrescerla mai.
La più sicura maniera di distruggere un partito è quella di cominciare a pensare che esso si fonderà con altri.
Molte fusioni avverranno nel futuro, e potranno essere utili.
Ma, di fronte a questo Congresso, il problema del Partito d’Azione è anzitutto il problema della natura e della vita sua.
E quindi bisogna anzitutto smetterla con l'autolesionismo, e con continuare a presupporre, e magari a dire (con grande divertimento degli avversari, e persino degli amichevoli competitori) che il Partito d’Azione non ha una sua ideologia (magari perché non la vuole, ma intanto anche perché non l’ha); e che quanto al «socialismo non marxista» «è già stato abbondantemente dimostrato che tale formula non significa nulla» (l.c.., p. 4); e via dicendo.
In tutta l'Europa, anzi in tutto il mondo, si vanno sempre più affermando forme di socialismo non marxista: per compiere una simile affermazione occorre quindi (come dire?) un certo coraggio teorico.
Il fatto è che anche il Partito d’Azione ha bisogno di un chiaro biglietto da visita (perché niente
lo ha tanto danneggiato, di fronte al pubblico ignaro, quanto l'etichetta di “azionista”): e questo non può essere che quello di un socialismo qualificato, cioè di un socialismo definito dalla stessa sintesi con la libertà, che è del resto la formula intorno alla quale tutti si aggirano, quando vogliono definire il suo carattere e la sua missione ideale.
In realtà, forse per lo sgomento cagionato in alcuni dalle contraddittorie critiche crociane del «liberalsocialismo », il Partito d'Azione si è trovato nella situazione singolarissima di avere alla sua radice storica e ideologica uno dei più bei libri di dottrina politica che siano mai stati scritti in Italia, il “Socialismo liberale” di Carlo Rosselli, e di essersene valso pochissimo per la sua propaganda.
E come si può organizzare e creare un grande partito, quando si comincia col non aver fiducia nelle idee che lo ispirano ?
Noi ci domandiamo se il Partito d'Azione dev’essere un partito proletario o un partito di ceti medi: se dobbiamo rivolgere il megafono a destra, o a sinistra, o al centro.
Ma nessun vero creatore di partito si è mai domandato cose simili.
Solo i piccoli marxisti si propongono il problema delle forze che ci sono, e che si tratta d’interpretare: Marx, che «non era marxista», non trovò le forze, le creò. Quanti erano gli operai consapevoli dei loro diritti e pronti a rivendicarli, quando Marx cominciò a predicare le sue idee ?
Allo stesso modo, ogni vero creatore di orientamenti politici ha sempre formato le coalizioni di interessi con le sue propagande e con i suoi argomenti e con i suoi miti, benefici o malefici che fossero.
Come se la maggior parte degli italiani non fosse ancora largamente disorientata, di fronte alla scelta che dovrà fare votando !
Datele idee chiare circa l’avvenire; fatele vedere che in base ai più ovvii principi di onestà e di rettitudine e di giustizia le cose, nella loro struttura generale, debbono essere orientate in quel modo e non in quell’altro; dimostratele, con piena cordialità democratica, ma con logica inesorabile e con insistenza assoluta, che le idee degli altri partiti sono meno buone e meno chiare delle idee vostre, e che quanto in esse c’è di meglio e di più moderno è stato proprio desunto dal vostro programma e dalle vostre idee; fate in questo senso propaganda, propaganda e propaganda; occupatevi sì di quel che succede al governo, ma ancora più di quel che succede nel cervello della gente, soprattutto nel cervello della grande massa di uomini che ancora non hanno fatto la loro scelta, e in primo luogo di quelli intel¬ligenti e colti (se volete, del ceto medio, ma ce ne sono in tutti i ceti) che sono in grado di apprezzare la migliore consistenza delle vostre idee a paragone delle idee altrui, e che diventeranno i quadri dirigenti dell’opinione di tutti gli altri; e, soprattutto, state sempre attentissimi alle critiche, d’ognuno, pronti a riconoscere, con la più franca sincerità, che sono sbagliate alcune delle vostre idee: ma fino a quel momento restate ben convinti che esse sono le migliori fra tutte, e che il vostro primo dovere non è quello di stare al governo e di risolvere singoli problemi concreti e neanche, a rigore, di ottenere una vittoria politica che sei mesi dopo può essere nuovamente messa in forse, ma di impiantare quelle idee nel più vasto numero di cervelli possibile.
Se avrete questa fede, potrete riuscire. Altrimenti, no.
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