di Rodolfo Roselli*
Con il termine paradiso fiscale s'intende un paese ove il carico fiscale sugli investimenti o sui depositi è minimo o addirittura nullo, ebbene se esiste un paradiso fiscale per contro esistono allora paesi da definire inferni fiscali, ove le tasse si accaniscono sia sui redditi che sugli investimenti, e sono degni di essere chiamati tali anche perché, di tutta questa massa di denaro estorta, non se ne vedono i benefici.
Inutile dire che il massimo inferno fiscale in Europa è l'Italia , che per quanto riguarda le tasse sul lavoro è al primo posto con una aliquota del 44%. E il titolo d'inferno fiscale se lo merita sul serio perché non solo supera largamente la media dei 27 stati dell'unione europea(23,5%), ma anche la media dei 16 paesi appartenenti all'eurozona.(25,9%). A questo si aggiunge che, mentre queste medie negli anni tendono a diminuire, da noi una riduzione delle imposte è solo un sogno.
Parliamoci chiaro, il risultato è che tutto questo significa semplicemente disoccupazione, abbassamento del PIL, riduzione delle esportazioni. Una cosa tanto ovvia che non meriterebbe di essere sottolineata neanche dal fatto che, di conseguenza, il costo del nostro lavoro è circa il 5% più alto della Germania, 13% più della Spagna, 18% più della Gran Bretagna, circa 20% più dell'Irlanda. Queste cifre non solo ci dicono che i nostri prodotti, almeno solo per questo fatto, costano di più, ma significa dire che è pienamente giustificata la delocalizzazione delle nostre aziende all'estero, dove esistono inferni fiscali meno inferni del nostro, e che non deve destare meraviglia se le aziende estere si guardano bene dal collocarsi in Italia, vanno altrove.
Se poi a tutto questo quadro infernale aggiungiamo il fatto che l'Italia detiene il primato europeo del debito pubblico, cioè il 113% rispetto al PIL, che costituisce un debito permanente su ogni testa di circa 30.000 euro, neonati compresi, e che nessun governo è mai riuscito a ridurlo,allora veramente ci si domanda da quali mani da decenni è gestita la nostra economia, perché questi risultati disastrosi non sono solo di oggi, ma solo il risultato dell'accumulo di errori, incompetenze e malversazioni di vecchia data. Qualcuno potrebbe obiettare che siamo in un periodo di crisi finanziaria, ma lo sono anche gli altri paesi che ci precedono in questa desolante classifica, paesi che addirittura, come il Belgio, sono riusciti a ridurre notevolmente il loro debito pubblico, mentre da noi è solo in grado di crescere.
(...)
Ma poi abbiamo ben chiaro dove siano i paradisi e le evasioni fiscali? Se vogliamo avere una prova di quanta doppiezza esista sia nelle dichiarazioni dei politici, e sia sull'affidabilità delle notizie divulgate da alcuni organi d'informazione, possiamo riferirci all'evasione fiscale di capitali italiani verso l'estero recentemente messa in evidenza, solo perché deve servire come "buttafuori" dello scudo fiscale ter, gli altri due quasi falliti.
Sulla stampa sono apparse notizie come "sono triplicati, rispetto al 2007, i redditi non dichiarati scovati dalla guardia di Finanza" oppure "all'estero evasi 5 miliardi", oppure "nel G20 lotta ai paradisi fiscali off-shore", oppure "abolire il segreto bancario" e così via. Indubbiamente la Guardia di Finanza fa il suo dovere e tra finte residenze e organizzazioni fasulle, e includendo anche i controlli frontalieri e di riciclaggio, nel 2008 ha individuato circa 15 miliardi di euro imponibili all'estero. Queste cifre fanno veramente impressione, anche perché si può dedurre che la realtà sia ben più rilevante, ma poi tra la loro individuazione e il reale beneficio per il fisco, la strada non è agevole. Infatti contro veti,segreti e mancata collaborazione si deve spesso ricorrere alla rogatoria internazionale, ove possibile, e comunque abbiamo tempi lunghissimi per le procedure.
Ma qui salta fuori la ciliegina sulla torta, perché peccato che sia stata istituita dalla Comunità Europea una ritenuta dello 0,44% su ogni capitale depositato all'estero con la quale viene garantita la totale segretezza nei confronti del fisco del proprio paese, segreto bancario europeo. Infatti il paese che ospita il conto in questione ,preleva il 15% degli interessi maturati, ne distribuisce i tre quarti in Europa, e in cambio blocca sul nascere ogni indagine dello stato dal quale i capitali provengono. Questa ritenuta nel 2007 applicata in alcuni paesi europei ha fruttato circa 880 milioni di euro ,il che dimostra che approssimativamente circa 200 miliardi di euro sono nascosti all'estero,e circa 6 miliardi di relativi interessi pagati, il che fa impallidire i 5 miliardi sopra segnalati. Ma c'è anche spazio per i furbi di aggirare totalmente questa ritenuta che tutela completamente l'anonimato dei conti correnti esteri, perché è una scelta che fa il privato,e se non desidera pagarla è sufficiente che dichiari che ha comunicato i dati al suo paese d'origine.
Ecco perché la vera ragione con la quale si tenta con lo scudo fiscale una sorta di azione di bonario convincimento, perché la stessa Europa non ha intenzione di collaborare. Ma l'estensione vera della quantità di capitali nascosti per questa via è molto più ampia di quello che si possa credere, perché questa ritenuta riguarda solo i conti delle persone fisiche , e quindi basta creare una piccola società nel paese che ospita il conto e la ritenuta non è più applicabile. Ma non basta, perché anche senza ricorrere alla costituzione di una impresa, è sufficiente evitare il deposito bancario e scegliere un qualsiasi investimento alternativo, perché anche in questo caso la ritenuta non è applicabile. Anche i denari appartenenti alle fondazioni, che non hanno finalità assistenziali, possono eludere questa ritenuta e mantenere l'anonimato. E' vero che esiste, nella Comunità Europea, una proposta inviata al Consiglio (dei ministri, ndr) d'Europa, che se approvata, dovrebbe rimediare in parte a questo problema, ma i tempi realizzativi sono lunghi e lo sviluppo è complesso, perché ovviamente le prime danneggiate sarebbero proprio le banche e gli istituti finanziari che ospitano questi conti ,e che metteranno in atto tutti i cavilli per svuotare di significato ogni azione.
Comunque, alla base di tutto, il vero grande problema è la crescente ingordigia fiscale di ogni paese che non riesce mai a farsi bastare i soldi che preleva, e che inasprendo la sua esosità ,spinge chi può, a trovare astuzie sempre più sofisticate di difesa. E' una guerra incessante che, come tutte le guerre, consuma risorse da entrambe le parti, in una competizione che deve solo dimostrare chi è più furbo , ma che poi arriva ad ottenere solo in trascurabile parte, gli obiettivi che si prefigge. Però tutto serve a far credere agli onesti che vale la pena di esserlo, perché solo in questo modo è possibile finanziare il fisco, perché i disonesti riescono sempre, anche con la complicità di regole legali, a non farlo.
E poi andiamo a cercare le evasioni fiscali all'estero, ma perché non diamo una più attenta occhiata e certi tipi di evasioni fiscali dei quali nessuno osa parlare? Ci si meraviglia dei conti segreti svizzeri, o dei paradisi fiscali, ma in Italia la segretezza dei conti esiste di fatto, per impedire al pubblico di poter sapere come vengono spesi i propri denari. In qualunque condominio non vi sono problemi per conoscere la remunerazione percepita dall'amministratore e le cifre relative al bilancio preventivo e consuntivo, e questo non solo perché esiste un obbligo per legge, ma perché il buon senso insegna che chi non ha problemi con la sua coscienza ed amministra soldi non suoi, non ha problemi nel produrre tutti i dati necessari per dimostrare la sua condotta onesta.
Evidentemente chi è restio a farlo, non possiede un bilancio è trasparente, e trasparenza significa anche onestà, responsabilità e merito, e quando si tratta, come nel caso dei bilanci comunali di soldi pubblici, opacità significa anche meritare la sfiducia dei cittadini. Purtroppo almeno il 20% dei comuni italiani hanno bilanci misteriosi, emolumenti ai sindaci e ai consiglieri comunali segreti, e il resto, tranne poche eccezioni, presentano bilanci talmente difficili da capire da incitare volutamente a non leggerli. E' evidente che se tutto questo avvenisse in un condominio l'amministratore rischierebbe di essere messo alla porta, ma nei comuni italiani se i cittadini, in occasione di elezioni amministrative desiderassero sapere se il comune ha amministrato bene le risorse, resterebbero delusi, perché tutto è segreto e misterioso.
Tutto questo in aperto contrasto con gli standard europei che fanno della trasparenza dei bilanci comunali un fatto di ordinaria amministrazione, da non mettere neppure in discussione. Ad esempio in Inghilterra se si desidera conoscere lo stipendio del proprio sindaco basta entrare via internet nella pagina del "major of London" per trovare non solo la biografia dettagliatissima del proprio sindaco ma anche la tabella del "salary of major" con non solo il salario del sindaco, quello del suo vice, quello del presidente dell'assemblea comunale e quello dei consiglieri. Basta invece andare nei siti dei comuni italiani per imbattersi in valanghe di informazioni marginali ed inutili , ma mai sulle cifre dei compensi, non solo degli amministratori del comune ma nemmeno di quelli degli amministratori delle loro società controllate , e questo sarebbe un obbligo di legge, ma degli obblighi di legge gli enti locali se ne infischiano.
Analoga situazione si trova nella pubblicazione dei bilanci, come dimostra una indagine UIL del 2008 che ha rivelato che su 104 comuni capoluogo, esaminati, soltanto il 69% ha messo sul sito il bilancio di previsione, e su 72 comuni solo 24 hanno pubblicato anche il bilancio consuntivo, ma di questi almeno la metà lo ha posizionato in una pagina interna del proprio sito, difficilmente accessibile al pubblico. I siti più difficili e misteriosi da consultare sono risultati i comuni di Ancona, Avellino, Bari, Cagliari dove il percorso per arrivare al documento è complesso e scoraggiante, e anche quando il bilancio è facilmente accessibile la comprensione delle cifre diviene impossibile perché annegato in un mare di pagine di rendiconto e di rimandi. Tutti i comuni si preoccupano di precisare che la pubblicazione del bilancio su internet non è obbligatoria e neppure i compensi dei sindaci e assessori, il che ci fa sapere che solo un obbligo potrebbe essere necessario per ottenere un semplice gesto di buona educazione nei confronti degli amministrati, e se è necessario invocare l'obbligo…. gatta ci cova!
Ma anche quando esiste l'obbligo, questo viene totalmente disatteso. Due adempimenti obbligatori per legge sono la pubblicazione dell'elenco degli incarichi e delle consulenze esterne e l'elenco degli amministratori delle società partecipate, cose prescritte dalla finanziaria 2007. ma almeno il 35 % degli enti locali hanno ignorato questo obbligo,e naturalmente nessuno lo fa rispettare, perché normalmente i controlli non si fanno. Ma la dimostrazione che non esisterebbe alcuna difficoltà a pubblicare in trasparenza le informazioni per il cittadino , ma tutto questo dipende solo dalla buona o mala fede degli amministratori, la si trova, ad esempio, nel Comune di Trento, che pubblica sistematicamente la comparazione tra obiettivi e risultati, inserisce grafici chiarificatori e riassuntivi degli scostamenti tra budget e consuntivi, dando anche le relative motivazioni. Ma tuttavia anche Trento, come gli altri comuni é carente sulla indicazione delle strutture di controllo e del lavoro da queste svolto. Ma del resto il controllo di gestione e le verifiche reali su obiettivi e risultati sono considerati elementi di poca importanza e del tutto trascurati da queste amministrazioni.
Il motivo di tutto questo non è semplice dimenticanza, ma è ben altro, e infatti permette invece la valutazione di manica larga che le amministrazioni riservano a se stesse. Nel 2007 il 75% dei dirigenti dei capoluoghi italiani ha ottenuto dai nuclei interni di valutazione il voto più alto, e quindi la quota massima di indennità di risultato, dunque per avere più soldi si danno il voto da soli.Sono giudizi che nascono solo da descrizioni formali dell'attività, senza verifiche quantitative sui risultati, e si basano spesso su interviste fatte ai diretti interessati che, le proprie pagelle se le compilano da soli. Il risultato è che, i cittadini devono sapere che , tra il 2005 e il 2007, tutti i 550.000 dipendenti di regioni ed enti locali hanno avuto passaggi di grado o incrementi di stipendio perché considerati tutti dei geni. Ma è evidente che nessuna azienda privata aspirerebbe ad avere questi geni, per non rischiare il fallimento istantaneo.
Come si vede il Ministero delle Finanze se volesse colpire l'evasione fiscale potrebbe giocare in casa, ma siamo sicuri che lo voglia fare?
* intervento su Radio Gamma 5 del 22.7.2009 e su Challenger TV satellitare Sky 922 ogni giorno dal lunedì al venerdi in diretta dalle ore 19,00
domenica 26 luglio 2009
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