venerdì 24 luglio 2009

Quella della mente è la rivoluzione più difficile.

Postato il 23 luglio 2009 da F.Reggio

L’Italia è un paese con potenzialità enormi. Territorio, clima, cultura, arte, creatività, ingegno, talento: queste nostre ricchezze e virtù ci offrono la possibilità di progettare un futuro migliore, che si inscriva all’interno di uno sviluppo equo e sostenibile. Turismo ecologico, energie alternative e rinnovabili, raccolta differenziata dei rifiuti, eco-edilizia, queste sono solo alcune delle opportunità che il presente ci offre. Alla guida del paese abbiamo però una classe politica e imprenditoriale che, nel suo insieme e tranne poche eccezioni, è auto-referenziale, corrotta, rapace, litigiosa e senza una chiara visione del futuro. Questa debole leadership, che ha bisogno di mostrare i muscoli per sentirsi al sicuro, dimostra di non saper cogliere le opportunità, di non essere in grado di trasformare le potenzialità in atto e perciò, in ultima analisi, di non saper rispondere alle sfide che l’economia globale impone. Il paese ne soffre, la stagnazione economica dilaga, la disoccupazione cresce e il crimine organizzato prospera.
Questo ragionamento sembra filare, ma è davvero tutto qui? Si può additare solo l’elite politico-imprenditoriale come causa di tutti i mali? O non ci saranno forse responsabilità più diffuse, atomizzate, sociali e individuali, che contribuiscono a creare il clima in cui questo lassismo, questa cronica mancanza di proposte e di realizzazioni si rafforzano?
Una società che mette alla guida dello stato un imprenditore con un passato torbido quanto il suo presente non si fa certo onore, ma neanche un buon servizio. E se per di più costui controlla la quasi totalità dei media e delle entrate pubblicitarie del mercato interno, quali ne saranno le ripercussioni politico-sociali? L’italiano medio sembra non essere scalfito dal conflitto d’interessi, dalla sua pericolosità, che ha portato tutte le democrazie occidentali a bandirlo. Semplicemente non se ne occupa, non è affar suo, intento com’è ad annaffiare il suo orticello. E neppure si accorge che l’accolita di servi fedeli e di giullari di cui il re-magnate si è circondato, collocati ad arte in posizioni di potere mediatico e politico, su suo mandato e con l’alibi di emergenze e innovazioni, sta in realtà massacrando la convivenza civile, obliterando la giustizia ed imbavagliando l’informazione libera. Questa mancanza di prospettiva sociale, di senso dello stato che affligge quasi tutti, che rende quasi tutti complici, è forse il problema fondamentale della società italiana.
Un problema che parte da lontano. L’avvento del fascismo, un’altra creazione tutta italiana, fu accolto da una società sopita. Pochi coraggiosi si opposero al regime. Carcere, esilio o addirittura la morte furono il prezzo che pagarono. Ma il loro esempio, lo slancio ideale che innescò la Resistenza, e infine portò alla liberazione dal fascismo, oggi purtroppo illumina e guida solo una minoranza. La coscienza nazionale sembra aver dimenticato i pericoli insiti nell’affidare a un uomo solo, a un duce, a un caudillo, le sorti del proprio futuro. Le conseguenze, per chi si opponeva allo status quo, erano allora più feroci e plateali: carcere, azioni punitive, esecuzioni sommarie. Oggi il potere è più raffinato, ha come alleato un benessere diffuso. E allora ti corrompe, ti compra, ti dice cosa devi pensare, cosa ti piace e cosa devi acquistare. Ma se continui a opporti, se non senti ragioni e ti rifiuti di essere un semplice ingranaggio di questo meccanismo, allora non disdegna neppure la violenza. D’altronde il fine giustifica i mezzi.
Con l’avvento di Internet e di un’informazione libera e capillare, nessuno può più giustificare la propria apatia sociale con l’ignoranza, fingere di non sapere cosa stia accadendo qui e ora. Oggi basta avere un computer per confrontarsi con una messe d’informazioni e dati apparentemente illimitata. Certo, bisogna saper discernere, ma questo vale per i libri come per i giornali. La Rete però non è passiva, tutti possono diventare agenti del cambiamento, capaci di intervenire sul presente. La Rete arriva direttamente a casa, mette in contatto persone vicine e lontane, consegna notizie in tempo reale, non filtrate dai professionisti dell’informazione. Non è imbavagliata dal potere, come oggi accade invece alla maggior parte dell’informazione giornalistica in Italia. Permette un confronto con idee simili e diverse, favorisce una crescita collettiva, per arrivare a una società che sia artefice del proprio presente e del proprio futuro, che lo sogna e lo realizza attraverso le istituzioni rappresentative che decide di darsi. E manda a casa chi si oppone al cambiamento.
La classe dirigente nostrana ha basato sul clientelismo il proprio potere, elargendo favori in cambio di voti. Ma perché questo sistema di potere funzioni e prosperi, occorrono “clientes”, dei postulanti, e non dei cittadini consapevoli dei loro diritti e doveri. Occorre che, nella mentalità generale, la furbizia abbia preso il posto dell’onesta’, l’adulazione prevalga sul merito, l’egoismo vinca sull’altruismo, l’eccesso stravolga il senso della misura, la giustizia sia ridotta a tecnicismi di “azzecca-garbugli”.
Bisogna opporsi con forza a questo corto circuito etico, a questo rovesciamento dei valori, resistere a questo degrado, se si vuole sognare e realizzare un futuro migliore. Bisogna cessare di essere “clientes”, emanciparsi, diventare a tutti gli effetti cittadini del nostro paese. Per innescare questo processo è necessario che una rivoluzione della mente avvenga in ciascuno di noi, senza dimenticare che quella della mente è la rivoluzione più difficile.

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